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Anno XI - Num. 52 - 24 aprile 2023

Anno I - Num. 05 - 16 febbraio 2013 Cultura e spettacolo

“Viva la libertà” ultimo film del regista Roberto Andò. La follia sul palcoscenico della politica.

(Ascolta audio intervista a regista Roberto Andò)

di Giancarlo Pace
         

Palermo – “Viva la libertà” è il titolo del nuovo film di Roberto Andò, presentato il 13 febbraio in anteprima per la stampa al cinema Rouge et Noir.

Roberto Andò regista, scrittore e sceneggiatore palermitano, ha collaborato nel corso della sua carriera con monumenti del cinema mondiale come Francesco Rosi, Federico Fellini e Francis Ford Coppola, e oggi si pone in una posizione centrale nel panorama cinematografico italiano.

Non è facile parlare della crisi d’identità politica italiana eppure Viva la libertà, attraverso l’ambiguo gioco degli scambi, riesce a raccontare con rara maestria l’attuale situazione politica sfociando nella rappresentazione utopica di un “nuovo corso” della società italiana. Vero e falso, realtà e finzione si mescolano all’interno della pellicola del regista siciliano riuscendo a comunicare con ironia e con abile gioco illusionistico l’originario significato della politica, intesa come arte del governare. Andò attraverso rapide pennellate (si perdoni la metafora pittorica) riesce a delineare il disegno della situazione politica italiana nella quale lo scendere a compromessi rappresenta il punto cardine di ogni operazione. In questo quadro generale viene inserita la figura fantasmatica del principale partito di opposizione, ormai privo di ogni forza vitalistica e apparentemente condannato ad un’atrofizzazione di ogni ideale.

Fino a questo punto, se i nomi fittizi dei partiti politici rappresentati fossero sostituiti da denominazioni realmente esistenti, il film potrebbe facilmente inserirsi in ambito documentaristico ma, proprio quando tutte le forze in campo sembrano essersi esaurite, Andò provoca una rottura degli equilibri in gioco: la follia irrompe nel regime della finzione squarciando il “cielo di carta” dell’illusione. Tutto questo avviene rielaborando il tema classico del doppio. Enrico Oliveri (Toni Servillo), segretario del principale partito di opposizione, entra in crisi e decide di auto-esiliarsi in Francia non lasciando alcuna indicazione ai propri collaboratori  ed è proprio in questo momento che entra in scena il fratello gemello del protagonista, Giovanni Ernani, filosofo schietto e geniale con disturbi di personalità bipolare. Il tema del doppio e del gemello, già ampiamente utilizzato nella letteratura e nella cinematografia occidentale, viene presentato sotto una nuova forma inserendo l’elemento della follia, capace di destabilizzare la realtà.

Sul set del film di Roberto Andò

Non è un caso che il sottotitolo della pellicola reciti: “C’è del metodo nella sua follia”. Forse è proprio la metodologia della pazzia una delle chiavi di lettura per comprendere il film. La follia diventa l’unica forza in grado di squarciare il regime della finzione  sia nella politica sia nelle relazioni interpersonali. Forse solo guardando la realtà con gli occhi di un folle è possibile rendersi conto che la realtà storica contemporanea cela al suo interno profonde contraddizioni che affondano le proprie radici nella manipolazione della realtà. Le parole di Giovanni Ernani mostrano la politica del reale e del vero, capace di destabilizzare la fattualità storica del paese.

Il film è, dunque, anche una speranza nel cambiamento, un auspicio che l’onestà e la sincerità della follia possano affermarsi non solo cinematograficamente ma anche all’interno della realtà italiana.

La data di uscita del film è stata il 14 febbraio 2013, e anche questo elemento non è stato lasciato al caso. La vicinanza con le elezioni nazionali del 24 e del 25 febbraio non deve far pensare ad una possibile strumentalizzazione dell’opera, ma semplicemente ad un’amplificazione del messaggio trasmesso. Il discorso politico portato avanti da Giovanni Ernani non si basa sulla retorica o sulla menzogna travestita da verità ma poggia sulle idee del singolo individuo, sui princìpi cardine della società civile, sulla coscienza del “buon politico”. Proprio per questo il protagonista non può esprimersi attraverso il linguaggio ampiamente abusato delle campagne elettorali nel quale le promesse si perdono con la fine del loro stesso suono e la storia viene riscritta migliaia di volte per essere strumentalizzata; in questa “utopia possibile” l’unica lingua capace di arrivare alle menti e ai cuori degli italiani è la poesia. A Roma, sul palco del partito a piazza San Giovanni, il “buon politico” Ernani cita Brecht

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze, ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può più mentire.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.
Che cosa è ora falso di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto?
Su chi contiamo ancora?
Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più
nessuno e da nessuno compresi?
O dobbiamo sperare soltanto
in un colpo di fortuna?
Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.  
(A chi esita, Bertolt Brecht)

Il film è una fonte di interrogativi sul ruolo della democrazia, degli elettori e degli eletti e pur non fornendo delle soluzioni a questi dilemmi forse riesce a donare agli italiani un elemento più costruttivo delle stesse risposte: il punto di domanda. Proprio nell’interrogarsi risiede l’anima della democrazia, nel sapere guardare le cose da punti di vista differenti, nel saper mettere in discussione le proprie idee rifuggendo da preconcetti, ma allo stesso tempo nella forza morale di non scendere a compromessi.

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