Palermo – Si è svolta presso l’Aula Magna di Palazzo Steri, sede del Rettorato dell’Università di Palermo la X Edizione del “Premio delle Associazioni” per il 2014, assegnato al direttore del Museo Diocesano, Mons. Giuseppe Randazzo. L’evento promosso dalle sei associazioni culturali cittadine, quali Forum delle associazioni, Amici dei Musei Siciliani, Anisa, Dimore Storiche, Italia nostra, Salvare Palermo, ha ospitato eccellenti personalità dell’arte e della cultura italiana, financo della Diocesi di Palermo. In particolare, il cultore e critico d’arte e saggista, il Prof. Vittorio Sgarbi, già a Palermo l’11 gennaio scorso per l’inaugurazione, a Palazzo Sant’Elia, della Biennale Internazionale d’Arte di Palermo” e il Cardinale Paolo Romeo. Sono intervenuti il Prof. Maurizio Carta dell’Università di Palermo, il Dott. Pierfrancesco Palazzotto dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici dell’Arcidiocesi di Palermo, il musicologo e saggista, Gioacchino Lanza Tomasi e l’ex Direttore del Museo di Palazzo Abatellis, Vincenzo Abbate. Ha introdotto e condotto i lavori il coordinatore del Forum delle Associazioni, il Prof. Nino Vicari.
L’obiettivo del Forum delle Associazioni, come ha riferito Bernardo Tortorici, Presidente delle Associazione Amici dei Musei Siciliani e dell’Associazione Dimore storiche nasce 10 anni fa quando si decide di premiare quelle personalità che abbiano partecipato alla vita sociale, artistica, economica, scientifica nell’ambito della Regione, operando con manifesti vantaggi per la collettività.Quest’anno si è voluto conferire un riconoscimento – ha ricordato Tortorici – ad una realtà ecclesiastica, all’interno della Curia di Palermo, come se facesse parte della società attiva, non avulsa dalla realtà artistica complessiva, posto che la Curia esercita, con un patrimonio proprio, un ruolo preminente nel recupero del patrimonio storico-artistico dal dopo-guerra ad oggi. Infatti, grazie a questo impegno “ventennale” assunto da Mons. Randazzo si è aperto il Museo Diocesano, l’archivio storico diocesano, si sono restaurati gli oratori di Giacomo Serpotta e di concerto con la Soprintendenza si sono aperte diverse chiese abbandonate e chiuse. Mons. Randazzo ha tenuto i contatti con le Associazioni culturali impegnate nel medesimo settore, chiedendo la collaborazione per la gestione di alcuni beni culturali. Continuando, il Direttore del Museo ha voluto istituire al suo interno un laboratorio di restauro, con annessi corsi di formazione d’eccellenza, organizzati con l’Università, ha promosso l’apertura della sezione didattica estesa ai bambini delle scuole primarie e secondarie, di cui invece non dispone la gran parte dei musei palermitani. Inoltre, Mons. Randazzo ha anche creato una collana editoriale dedicata ai restauri e alle opere d’arte restaurate a Palermo.
La consegna del Premio è avvenuta da parte di Gioacchino Tomasi Lanza, a sua volta premiato per l’edizione del 2013, il quale ha dato lettura ai partecipanti della motivazione del premio, di cui si riporta una traccia della medesima: “Nella rosa delle personalità che hanno contribuito significativamente con la loro opera, alla crescita culturale della nostra società, la Giuria ha soffermato l’attenzione sulla personalità di Mons. Giuseppe Randazzo e sulla sua attività a favore del patrimonio culturale dell’Arcidiocesi di Palermo. Connesso al suo ruolo di responsabile dell’Ufficio beni culturali ecclesiastici e di direttore del rinnovato Museo Diocesano. Va infatti ascritta a suo merito l’avere iniziato da un lato, l’opera di restaurazione di opere culturali istituzionali dell’Arcidiocesi e dall’altro, di avere riaffermato il valore del patrimonio ecclesiastico monumentale della nostra città, patrimonio che lasciato all’incuria, al degrado, conseguenti prima ai danni provocati dai bombardamenti bellici del ’43, poi all’inarrestabile abbandono del centro storico e del suo immenso patrimonio, veniva finalmente riproposto all’attenzione della società e della cultura la sensibilità operativa di Mons. Randazzo, che parallelamente all’azione di salvaguardia e di tutela diede inizio ad un razionale processo di ri-appropriazione, restauro e conservazione di monumenti e opere d’arte restituiti alla fruizione pubblica.In quest’ultima direzione si evidenzia il progetto “100 chiese aperte”, attuato in sinergia con il Comune di Palermo, che per la prima volta garantì la piena fruizione e la conoscenza di chiese e oratori a quel tempo ben poco posti all’attenzione di una vasta cittadinanza”.
TrinacriaNews.eu ha intervistato Mons. Randazzo e prof. Vittorio Sgarbi. Di seguito le interviste.
GIUSEPPE RANDAZZO
D. La premiazione elargitale discende dall’impegno da lei profuso per la conservazione e la fruizione dei beni culturali menzionati. Cosa la spinge a tanto?
R. Il riconoscimento discende non tanto alla mia persona quanto, dal volere lavorare per la dignità dell’uomo, per la promozione dell’uomo, perché l’arte è la più grande espressione della persona, che può dare sicuramente valori alla crescita della nostra realtà umana.
D. Dal punto di vista della fede, a cosa attribuisce il fatto che si assista ad un declino nella crescita dei valori cristiani, benché vi siano innumerevoli espressioni di arte cristiana intorno a noi? Cosa è insufficiente?
R. Il problema è che “purtroppo” ci siamo un po’ lasciati prendere dalle nuove tecniche e ci siamo dimenticati dell’arte, non solo quella antica. Citando il discorso i Vittorio Sgarbi sull’arte contemporanea, che denota una defaillance dei valori dell’arte. L’arte quando è tale deve esprimere i veri valori dell’uomo e non semplicemente certi approcci che non danno valore, sostanza, aiuto per la propria crescita personale.
D. Se volesse riassumere brevemente i valori intramontabili dell’uomo con riguardo all’arte, nella fase contemporanea?
R. Senz’altro, i sentimenti dell’uomo verso il bello, verso il creato e i rapporti con gli altri. Cioè, l’arte che esprime i sentimenti, proprio dei poeti e degli artisti, come diceva il Cardinale Pappalardo, che sanno recuperare e cogliere i veri sentimenti dell’uomo. Questo aiuta sicuramente a recuperare il valore della nostra umanità, della nostra dignità. Purtroppo, la disaffezione deriva anche dal fatto che, siamo un po’ tutti in una dimensione tecnologica che ci fa dimenticare e dipendere, senza sapere pensare più: siamo video-dipendenti, siamo social-network dipendenti e legati alla novità tecnologiche.
D. Lei ha esaltato due realtà, il coordinamento e la rete, trasversali al risultato a cui si è addivenuti in questa sede. Cosa vuole aggiungere in merito?
R. Il problema della trasversalità è che non dobbiamo metterci a fare le cose per i fatti nostri, ma dobbiamo sapere coinvolgere gli altri, ognuno per la propria competenza, nell’intento di portare avanti i valori della nostra realtà. Perché. senza squadra, senza condivisione, non si ottengono risultati, a prescindere dal fatto che si è credenti o non credenti. Ma, per portare avanti certi valori, ci vuole la buona volontà, per sapere cogliere gli aspetti umani, arricchiti per noi che crediamo, dal richiamo al Vangelo e a Gesù Cristo, per gli altri invece, costituire valori portanti.
VITTORIO SGARBI
D. Nella sua relazione lei ha esaltato il credo, essenziale nella rappresentazione dell’arte sacra, che guida l’artista nell’esprimersi. In particolare?
R. Noi abbiamo un patrimonio artistico e architettonico così strettamente connesso alla religione cristiana che io, quando qualcuno mi chiede di fare trasmissioni televisive, io farei una serie “Storia dell’arte cristiana”, benché io che sono una personalità, non particolarmente devota all’apparenza, però mi sono sempre occupato di dipinti e opere d’arte legati a questo tema. Mi pare abbastanza strano che noi, improvvisamente ci siamo staccati da questa tradizione ed abbiamo immaginato che noi esistiamo al di là di questo che l’arte rappresenta. Il concetto che esprimo si richiama alla polemica che ho fatto con Amato e Fini che sono quelli appunto che, al banco della Costituzione Europea hanno ritenuto che il preambolo della civiltà, delle radici cristiane non ci dovesse essere. Immagina che fai un’unione del mondo arabo e non ci metti la religione islamica. Così siamo destinati ad essere travolti; come se ci vergognassimo di quello che siamo. Questo era il senso di ciò che ho voluto dire del Museo Diocesano, che dal punto di vista Istituzionale, non è un museo nazionale che tende a portare le opere d’arte in uno spazio neutrale, come quello del cimitero, dove tu vedi le anime, i morti. Tendi invece, ad utilizzare quelle immagini come immagini vive, anche se si tratta di musei non molto frequentati. Da questo punto di vista il Museo Diocesano è preservato. Spesso si tratta di Musei annessi alle cattedrali, attaccati alle stesse sedi dove quelle stesse opere hanno avuto una funzione liturgica. Quindi, il Museo Diocesano imponeva probabilmente questo discorso che avrei fatto in generale, comunque.
D. Avuto riguardo alle criticità, quali sono quelle da lei ravvisate con riferimento alla Sicilia e al Museo Diocesano?
R. In terra di Sicilia è meglio non fare assolutamente niente. La Sicilia è una terra dannata dalla violenza della criminalità e dalla violenza dello Stato, per cui è meglio andarsene dalla Sicilia.
D. E dal punto di vista del Patrimonio artistico?
R. E’ il caso del Caravaggio. Poi, ci sono mille episodi in cui le cose funzionano o non possono funzionare. A proposito della chiesa di Noto, io ho avuto il destino, con un compito datomi dalla Presidenza del Consiglio in Italia, all’epoca in cui Bertolaso era alla Protezione civile, di occuparmi della restituzione dell’interno della Chiesa ed abbiamo fatto un’opera meravigliosa, totalmente contro qualunque altro criterio. Se avessero chiamato Cunellis, Pomodoro questi avrebbero ceduto il primato della funzione liturgica a quello delle ragioni estetiche. Invece, tutta la chiesa, dalle vetrate, all’abside, alla volta, alla cupola, alla via crucis è stata restituita con un apparato decorativo che è legato alla funzione religiosa.
D. Se lei dovesse dare un imput a chi si occupa di soprintendere ai Beni Culturali, però in chiave innovativa, rivoluzionaria per la Sicilia, cosa farebbe?
R. Io farei dei musei delle alternative alle discoteche. Cioè, li terrei aperti di notte, con un orario che consente alla gente di andarci come quando si va al cinema. Ci sarà un motivo per cui il cinema non lo fanno di mattina, perché la gente lavora. Non ho capito perché il museo deve essere aperto la mattina. Lo apri il pomeriggio, la sera, la notte, ci metti dei ristoranti: crei dei luoghi dove la gente va come in dei luoghi di vita. Se tu vai in discoteca, puoi anche bere. Il museo deve essere qualcosa così, non di funereo dove tu entri, paghi il biglietto. Invece, non devi pagare il biglietto. Devi entrarci gratuitamente e pagherai qualcosa che consumi, legato al fatto che ci vai a mangiare ed a tutti i servizi aggiuntivi. Adesso faccio una mostra a Bologna, di Cimabue, con una navetta che porta in una bellissima villa in campagna, in cui si possono vedere i suoi affreschi meravigliosi ed in cui ci si può fermare a fare colazione, mangiare, prendere un tè e fare qualcosa che faccia diventare normali questi luoghi.