Periodico registrato presso il Tribunale di Palermo al n.6 del 04 aprile 2012

Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno I - Num. 02 - 18 giugno 2012 Politica e società

L’Italia e le vittime dello stato sociale. La Sicilia ancora “al palo”

di Angelo Bondi
         

Crisi economicaLa cronaca ci riporta ormai quotidianamente a storie di persone che decidono di risolvere in maniera drastica, un’umile esistenza, a volte umile da sempre in altri casi florida un tempo, ma, comunque, storie, immagini di vite spezzate non dalla cinica e spietata violenza di uomini contro altri uomini, ma da fatti, circostanze, stati d’animo depressioni interiori frutto di un continuo impatto con quella che è comunemente chiamata “società reale”.

E’ triste la cronaca che ascoltiamo ormai frequentemente, una cronaca che ci racconta di scelte estreme, il suicidio. E la tristezza diventa ancora più profonda se si pensa che la matrice della “scelta estrema” deriva da un diffuso malessere sociale ed economico.

Ritornano alla mente i miei studi sulla Sociologia moderna, in cui uno dei padri fondatori Emile Durkheim nella sua opera “Il Suicidio – 1897”, analizzò in maniera certosina le cause e le concause del suicidio. In particolare quella speciale categoria di suicidio che volle chiamare da anomia: da una parte vi è il gruppo, la società il sistema culturale ed economico, lo Stato con i suoi pilastri e le sue norme, dall’altra il soggetto, il singolo, stritolato da un vortice di egoismo ed indifferenza sociale che nelle forme, appunto, estreme si ritiene soggiogato dalla consolidata prassi di subire sempre e malgrado una esistenza a cui, comunque, per diritto naturale e divino si ha diritto.

La cronaca, effettivamente, ci sta aiutando a capire quanto “bolle sotto il coperchio”. Un numero considerevole di piccoli imprenditori, oltre trentadue da inizio anno, ma anche  numerose persone licenziate, cittadini di questa Repubblica, non importa sapere adesso se onesti ed integerrimi o ladri di professione, hanno deciso di farla finita! Hanno cercato di far capire con tale gesto di evidente visibilità che non ce la facevano più ad andare avanti in questo modo e con queste “regole”. Certo anche in passato molti suicidi avvenivano per motivazioni analoghe, ma non avevano né l’enfasi né la natura di “suicidio di massa per ragioni fiscali”.

Ci accorgiamo che la misura è colma e che più di qualcosa va fatto! Chi non riesce più a pagare le tasse, di solito o non le ha mai pagate, oppure vorrebbe pagarle, ma a condizioni vantaggiose e nel rispetto della concomitante e grave congiuntura economica. Chi perde il lavoro di contro è doppiamente vittima del sistema. Primo perché le tasse le ha sempre pagate alla fonte, ma non avendo più una occupazione non è più in grado di pagare quelle di diversa natura. Qui comincia il cosiddetto “cortocircuito”. Padri di famiglia che si impiccano, altri scelgono la rivoltella per chiudere i conti con il proprio passato. Spesso, alcuni degli imprenditori suicidi hanno indicato in missive o stralci di testo i responsabili naturali delle loro scelte, lo Stato “ladro” e gli enti preposti alla riscossione dei tributi. Precisiamo sin da subito che non crediamo che lo Stato o gli enti preposti siano ladri di professione, o, quanto meno, non crediamo che si esercitino nell’arte di rubare coercitivamente risorse ai piccoli e medi contribuenti italiani. Diciamo che ad oggi questo Stato ed il Governo che lo rappresenta nulla abbia fatto per perseguire il comportamento dei titolari di quei grandi patrimoni che da soli (se realmente perseguiti) potrebbero generare un gettito di imposta tale da riequilibrare di parecchi punti il rapporto debito Pubblico/Pil.

Coloro che si ritrovano in condizione di non poter adempiere ad un debito di imposta, sono spesso coloro che non essendo più in grado di onorare una scadenza di mutuo bancario o un’anticipazione su crediti non riescono a far fronte al dovere di soggetto passivo di imposta. Capita sovente che molte aziende che svolgono lavori in appalto oppure in sub-appalto non incassano i crediti vantati nei confronti della amministrazione pubblica, oppure non ricevono i cosiddetti rimborsi relativi ai crediti IVA vantati nei confronti dell’Erario. Un circolo vizioso e non virtuoso nel quale chi deve adempiere al pagamento dell’imposta si ritrova, quindi, nella condizione di non poter pagare in ragione di inadempienze, spesso, non di propria responsabilità. Se manca l’imponibile fiscale, difficilmente lo Stato può presumere di ottenerlo da un’imposizione dovuta di principio ai sensi dell’art. 53 della Costituzione Italiana.

L’argomento diventa ancor più complesso e di ampia portata se a rimetterci sono i contribuenti delle regioni meridionali ed i special modo la Sicilia, dove, seppur con dei distinguo, si è assistito nell’ultimo decennio ad un notevole rigonfiamento della spesa pubblica improduttiva da un  lato e dall’altro ad un taglio degli investimenti produttivi. Non è un mistero la sproporzionata forza lavoro dei dipendenti pubblici regionali rispetto alle reali esigenze di bilancio. Sono sensibilmente diminuiti i trasferimenti dallo Stato alla Regione e da essa agli enti locali.

Per quanto attiene la spesa pubblica regionale si può parlare solo di tagli. Prima fra tutte la sanità ed il relativo diritto alla salute.

L’attuale Governo regionale, infatti, ha inteso fare una netta ristrutturazione del settore con soppressione di ospedali, funzioni e competenze non sempre a parere di chi scrive, nella direzione dei principi di efficienza ed economicità gestionale. Il diritto alla salute, va migliorato e non ridimensionato!

Le tasse da sempre, nell’immaginario collettivo, costituiscono solo coercizione.

In Sicilia questo concetto viene ancor più ampliato dalla condizione economica già svantaggiata dovuta da un lato all’elevato tasso di disoccupazione, soprattutto femminile, dalla presenza costante nel territorio di una economia sommersa, dalla dilagante cultura del malaffare, frutto di un consociativismo etico tra cittadini apparentemente puliti ed ampie sacche di illegalità.

Ma la Sicilia degli onesti vuole adempiere al proprio impegno civico. Ma per adempiere al proprio dovere civico è necessario lo sviluppo del territorio, delle infrastrutture, delle potenzialità imprenditoriali (realistiche e legali), della cosiddetta fiscalità di vantaggio per chi vuole investire nella nostra “Bedda Terra”. I giovani vanno aiutati a rimanere in Sicilia, con dei progetti imprenditoriali seri accompagnati da una formazione permanente e possibilmente sul territorio.

Occorre riscoprire altresì il concetto di solidarietà nazionale dove chi ha di più deve cedere qualcosa del proprio a chi per adesso ha meno. Una Europa a due velocità è una follia, figuriamoci una Italia divisa in due per iniziativa di qualche organismo sovrannazionale o di qualche buontempone nostrano! Vorrebbero farci rivivere l’esperienza del Far West Americano o della desolante esperienza Castrista?.

No grazie, già l’esperienza americana del dopoguerra in Sicilia di voler installare gli stabilimenti del petrolchimico nel siracusano è progressivamente naufragata in un mare di disoccupazione per non parlare degli elevati livelli d’inquinamento sia delle coste che dei territori abitati.

Lo sfruttamento selvaggio intensivo del territorio, l’abusivismo edilizio, hanno già da tempo fatto il resto. La Sicilia, manca di una vera e strategica scelta industriale. Esistono diverse realtà, le cosiddette ASI i consorzi industriali, in molti casi un esempio di improduttività e di scarsa capacità imprenditoriale.

Per altro verso se ci fosse un’attenta pianificazione su cosa fare su temi territoriali quali la pianificazione culturale e turistica oltre che il ripensamento della competitività della nostra agricoltura nel mercato del mediterraneo (la Sicilia lo è per vocazione), si ridurrebbero le numerose cause di squilibrio dei mercati. Bisogna incentivare nuovi investimenti produttivi anche dall’estero (non quelli mordi e fuggi) e questo sarebbe sicuramente un volano connesso alla riduzione del tasso di disoccupazione. Forse se la politica si svegliasse e capisse che la Sicilia è da tutelare prima ancora che da sfruttare, ci si incanalerebbe in un vero percorso virtuoso.

L’Europa sbloccherebbe con più facilità molte risorse ad oggi congelate nei forzieri di Bruxelles ed i cittadini siciliani crederebbero con più fiducia in uno sviluppo vero.

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