Palermo, 12 maggio 2014. TrinacriaNews.eu intervista, in video, il magistrato Nino Di Matteo nel suo ufficio presso il Palazzo di Giustizia di Palermo.
Nell’ambito della video-intervista concessaci in esclusiva, il dr. Di Matteo, rispondendo alle nostre domande, fa il punto su molte questioni aperte, anche di recentissima attualità, attinenti l’azione di contrasto alla mafia.
Di seguito le domande che gli abbiamo rivolto:
- L’art. 104 della Costituzione stabilisce che la Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere. Tuttavia, oggi sembra che questa autonomia voglia essere viepiù ristretta e il corpo dei magistrati meno tutelato. Come interpreta questo fenomeno, con gli occhi di un magistrato?
- E’ recentissima la notizia secondo cui il Csm ha modificato la circolare sulle Direzioni distrettuali antimafia nelle procure, nel senso di una maggiore restrizione della possibilità di affidare indagini di mafia a magistrati non facenti parte della Direzione distrettuale antimafia. Il documento modificativo in questione, già definito “anti pool trattativa”, potrebbe avere l’esito di togliere al Pool le indagini sulla trattativa. Il procuratore di Palermo, Messineo, si è adoperato affinché le indagini sulla trattativa restino in testa ai pm del Pool, mentre il presidente della 7ª commissione del Csm, Pina Casella, si è affrettato a dichiarare che a breve sarà emanato un documento esplicativo per correggere l’erronea interpretazione dello spirito delle prescrizioni del Csm. Anche in questa occasione lei ha potuto registrare la solidarietà della cittadinanza, per effetto delle manifestazioni di protesta di Agende rosse e di Scorta civica, sollecitate da Salvatore Borsellino che ha invitato la cittadinanza a ribellarsi, cito testualmente, “a chi mette il bavaglio ai pm”. Alla luce di tutto ciò, cosa cambia per lei? Sarà garantita la continuità investigativa sui procedimenti più complessi: falange armata e rapporti di Cosa nostra con interlocutori esterni? E inoltre, fino a che punto lei ritiene che la semplice solidarietà dell’opinione pubblica sia importante per garantire la prosecuzione del suo lavoro?
- A più di vent’anni dall’uccisione, per mano mafiosa, dei Giudici Falcone e Borsellino, ravvisa dei cambiamenti nelle coscienze degli uomini di Stato: indifferenza, ravvedimento o, al contrario, un infittirsi della connivenza/collusione con la mafia?
- Da qualche tempo c’è una tendenza da parte di sociologi, professori di materie giuridiche volta ad effettuare una rivisitazione storica del rapporto Stato-mafia. Una rivisitazione che appare destabilizzante rispetto al sacrificio di tanti martiri ed eroi della giustizia che, incarnando un altissimo senso dello Stato, garante del diritto, hanno pagato con la vita per la loro integrità morale. Tra questi rivisitatori della storia si distingue il prof. Fiandaca che, unitamente a Salvatore Lupo, ha pubblicato un libro, “La mafia non ha vinto”, nel quale viene riportata una sorprendente critica del processo sulla trattativa Stato-mafia, sostenendo che si tratti di un processo ‘illegittimo’ posto che la trattativa fu assolutamente ‘legittima’ poiché servì a salvare la vita dei cittadini italiani, oltre a quella di alcuni esponenti politici. Alla luce di tutto ciò, lei ravvede il rischio, o forse l’obiettivo, di orientare l’opinione pubblica con un giudizio di tipo etico sulla moralità del trattare? E, se consideriamo che Fiandaca è neo-candidato alle europee per il maggior partito della sinistra italiana, ci sono altre valutazioni che possiamo fare?
- Nel suo libro “Assedio alla toga” pubblicato nel 2011 parla di una deriva che sopravvive ad ogni esecutivo e che si traduce in un rischio per la democrazia. Stiamo parlando della: riforma costituzionale della Giustizia, della legge-bavaglio sulle intercettazioni, del processo breve. Cosa possiamo dire in merito ed a chi rivolgerci concretamente per arginare o debellare tale deriva?
- Lei ha tenuto a Torino, nella facoltà di giurisprudenza, una lectio-magistralis in cui ha brillantemente illustrato agli studenti la compenetrazione mafiosa nelle Istituzioni. Ha parlato di un documento, casualmente da lei rinvenuto, intitolato Memorandum della storia della mafia in Sicilia, datato 29 ottobre 1943. Da tale documento, redatto dal Capitano Scotten del Military Intelligence (servizi segreti inglesi), si apprende che ai capi-mafia locali fu conferita la carica di Sindaco per aver agevolato/consentito alle Forze alleate l’attraversamento con le truppe dei rispettivi territori. Il risultato finale fu un’ipoteca della futura democrazia? Quanto c’è di attuale in questo modus operandi degli anni dopo il 1943?
- Durante quella stessa lezione è come se il tempo si fosse fermato, tanto era l’entusiasmo dei giovani studenti universitari verso l’argomento “giustizia” ed anche per il modo in cui lei lo ha saputo loro trasmettere. Visto che l’ordinamento giuridico italiano prevede che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, perché non promuovere la stessa iniziativa negli istituti di pena, per consentire un più autentico ravvedimento nella popolazione carceraria?