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Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno II - Num. 10 - 24 febbraio 2014 Politica e società

“Vent’anni contro” il nuovo libro di Caselli e Ingroia presentato a Palermo

Ingroia: "Vent’anni difficili, bui, che coincidono con il ventennio berlusconiano, i vent’anni dell’impunità, della pretesa di una classe dirigente di sottrarsi al principio di responsabilità"

(All’interno videointerviste agli autori Gian Carlo Caselli e Antonio Ingroia)

di Francesca Penzallorto
         

Palermo – Presso la libreria Feltrinelli si è svolta la presentazione del libro Vent’anni contro. Dall’eredità di Falcone e Borsellino alla trattativa, edito da Laterza.

Gli autori, i due ex magistrati Gian Carlo Caselli e Antonio Ingroia, dopo una dozzina di anni dal precedente libro La verità scomoda edito nel 2001, si sono nuovamente ritrovati nel salotto di casa De Luca, giornalista curatore di entrambi i libri, a mettere insieme i ricordi, gli eventi, le delusioni, che hanno caratterizzato vent’anni di una lotta contro la mafia che è ancora lontana dal concludersi.

Il libro ricostruisce, con estrema lucidità e chiarezza, le tappe che caratterizzarono vent’anni di storia della lotta per la legalità, e attraverso citazioni, aneddoti e riflessioni ci fornisce la chiave di lettura delle vicende che in quel lasso temporale hanno interessato il nostro Paese.

La presentazione si è svolta al cospetto di un consistente pubblico che ha seguito con interesse e partecipazione il tema trattato, dimostrando che la cittadinanza palermitana non dimentica e sostiene quei magistrati che hanno dedicato e dedicano l’intera esistenza alla ricerca della verità.

Hanno partecipato, accanto agli autori, anche il curatore del libro, il giornalista Maurizio De Luca, che ha moderato gli interventi, il giornalista Saverio Lodato e la deputata parlamentare Gea Schirò.

Il primo a prendere la parola è stato Maurizio De Luca, che ha ricordato con intensa emozione il lavoro svolto assieme ai due giudici nella realizzazione del libro che rappresenta per lui: Una sorta di conclusione di un lungo cammino svolto nelle vicende del nostro paese.

Gea Schirò ha parlato della sua amarezza e delusione per gli eventi di quegli anni e per la reazione dell’opinione pubblica, che ha subito sedato i propri sensi di colpa dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Come rappresentante della classe politica, ha inoltre ammesso i fallimenti del mondo politico e gli errori, che ancora oggi si fanno, illustrando l’esempio dei reati ambientali: Da poco si sono discussi i reati ambientali, la cosa che mi ha davvero disturbata è che rispetto a crimini nuovi, come questi, che sono un danno all’ambiente, si sono usate tutte le norme sul pentitismo, ribaltandole sui crimini ambientali. Questo è un comportamento che ritengo sciocco, perché ogni crimine necessita di una riflessione e di strumenti adeguati.

Saverio Lodato ha successivamente fornito, in base alla sua esperienza di giornalista, un resoconto dettagliato degli avvenimenti di quegli anni a partire dal 1988 e dai personaggi chiave che: A un certo punto lo Stato apparentemente aveva deciso di schierare nella lotta contro la mafia in Sicilia. Ci ha parlato di Domenico Sica: Uomo di punta dell’Alto Commissariato della lotta alla mafia, mandato a Palermo dal ministro degli Interni Gava,ministro della camorra, che nella conferenza stampa d’insediamento affermò di non sapere nulla della mafia e di essere venuto per apprendere ed ascoltare. Ci ha parlato di Arnaldo La Barbera: Funzionario di polizia giunto, a suo dire, a Palermo per combattere gli intoccabili della mafia e dell’antimafia, in seguito legato alle indagini della strage di via D’Amelio. A partire da questi esempi ha cercato dunque di dimostrare le sue teorie sulla connivenza tra Stato e mafia, affermando: In questi anni in Italia non c’è mai stata una partita a due ma una partita a tre, noi abbiamo avuto lo Stato che aveva dietro le spalle la mafia, abbiamo avuto la mafia che aveva dietro le spalle lo Stato e abbiamo avuto dei rappresentanti dello Stato, magistrati, poliziotti, carabinieri, uomini politici, imprenditori, che individualmente o insieme ritenevano che bisognasse rischiare in prima persona, anche a rischio della vita, per mettere in discussione questa partita truccata. Ha poi distinto quattro grandi stagioni in Italia nella lotta contro la mafia, tra cui la terza fase, iniziata nel 1993, abbraccia i sette anni di Gian Carlo Caselli alla Procura di Palermo, la cattura di Totò Riina, il processo Andreotti, anni in cui si scatenò anche un’accesa polemica contro la Procura di Caselli e contro i collaboratori di giustizia, e un’ultima fase caratterizzata dal processo sulla trattativa Stato-mafia, di cui ha detto: La mafia in quest’ultima fase non ha più un rapporto con la politica, ma si è fatta altro, si identifica direttamente con lo Stato e ha i suoi rappresentanti all’interno del Parlamento e della Camera del Senato. Di questa stagione il maggiore rappresentante è Antonio Ingroia e tutta l’inchiesta, che continua ancora oggi e che ha portato a un processo riguardante la trattativa tra Stato e mafia. Ma secondo voi è un caso che molti intellettuali in questo momento sentano la necessità di usare la loro professionalità per teorizzare che non c’è nulla di male a trattare con la mafia?

Anche Antonio Ingroia ha incentrato il suo intervento sul tema della trattativa Stato-mafia, argomentando le sue tesi con inusitata passione e coinvolgimento, essendo ormai libero di esprimere pubblicamente il suo pensiero. Ha esordito con la spiegazione di cosa rappresenti per lui il libro scritto a quattro mani con Gian Carlo Caselli: Questo libro credo sia stato soprattutto un racconto della nostra esperienza professionale ed umana, che ha attraversato appunto questi vent’anni difficili, bui, che coincidono con il ventennio berlusconiano, i vent’anni dell’impunità, della pretesa di una classe dirigente di sottrarsi al principio di responsabilità. E questi vent’anni partono dal 1992 e si riannodano al patto politico mafioso di convivenza tra Stato e mafia che venne siglata nel 1994 da Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, che è stato soltanto l’ultimo di una catena di uomini politici che hanno semplicemente rinnovato la cambiale della relazione stabile con la mafia. Ha poi descritto, nella storia della lotta contro la mafia, tre cicli fondamentali corrispondenti a tre generazioni di magistrati. Il primo di cui ci ha parlato è Cesare Terranova: Fu il primo a inoltrarsi nelle maxi indagini e nei maxi processi, di Bari e Catanzaro, conclusi però con la piena assoluzione per insufficienza di prove degli imputati. Erano gli anni in cui la società italiana pensava ancora che la Mafia fosse tutto sommato positiva e io ho perfino studiato su dei libri di diritto penale, nei quali si diceva che la mafia forse non è un’associazione per delinquere, ma un’associazione immorale. Il secondo ciclo abbraccia la generazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il maxi processo in cui fu intaccata l’impunità dei boss mafiosi, con gli arresti di Ciancimino e dei cugini Nino e Ignazio Salvo, ma ci furono anche svariati uomini politici indagati per concorso esterno ad associazione mafiosa, tra cui Maurizio D’Ambrosio con quella sua lettera in cui cita il Presidente Napolitano, del quale ha affermato: C’era Maurizio D’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano, che con quella lettera rimasta oscura ha imposto alla Corte d’assise di Palermo di stabilire che il Presidente Napolitano debba essere sentito, per chiarire quale fu l’oggetto della confidenza di D’Ambrosio e cosa gli disse in quel colloquio a cui fa riferimento in quella lettera. Noi siamo sicuri come cittadini, scusandomi per l’ironia, che Napolitano, ossequioso della legge e della verità, non vorrà e non potrà sottrarsi. Il terzo ciclo è quello successivo alle stragi di Capaci e via D’Amelio, che interessa da vicino i due ex magistrati e di cui ci ha illustrato gli stretti e intricati rapporti di convivenza tra Stato e mafia , asserendo: Noi ci siamo trovati di fronte a quello che era un rapporto organico di uomini dello Stato con i poteri criminali, di cui Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio, ne è stato la rappresentazione storica. Quello che è più impressionante nella vicenda della trattativa è che in quella vicenda nessuno è senza colpa. Quello che abbiamo di fronte non è soltanto potere criminale, ma è una compenetrazione fra potere criminale e Stato, che non consente alla magistratura di accertare la verità sulle stragi, di cui c’è una responsabilità di uomini dello Stato nell’interesse dello Stato. A tal proposito ha inoltre espresso la sua opinione riguardo al conflitto di attribuzione sollevato dal capo dello Stato Napolitano in relazione al processo per la trattativa Stato-mafia, dicendo: Io penso che la scelta da parte del Presidente Napolitano di sollevare il conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo non è stata soltanto una scelta gravemente inopportuna, ma è stata una scelta consapevole e intenzionale al fine di fermare l’indagine della Procura di Palermo. E’ stata una scelta dettata non da interessi individuali e personali dell’uomo Napolitano, ma dell’uomo di Stato che ritiene di dover difendere lo Stato e la verità dello Stato dalla magistratura impudente, che va oltre i limiti che le sono assegnati. Ha poi spiegato che l’intervento del conflitto di attribuzione ha causato una battuta d’arresto nelle indagini aggiungendo: da quel momento si è chiusa la pentola, la falla, che si era improvvisamente aperta nel muro di gomma dell’omertà di Stato e di mafia, è stata chiusa e purtroppo non si potranno fare grossi passi avanti in futuro. Però io non sto dicendo che il processo avrà un esito negativo, perché ho piena fiducia in questa corte d’assise che valuterà serenamente le prove, ma mi riferisco alle possibilità di scoprire le altre verità rimaste sottratte alla nostra conoscenza. In conclusione ha anche espresso un suo parere sul nuovo Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in relazione alla sua risposta sul giornale Repubblica alla lettera di Roberto Saviano: Ho letto l’intervento di Renzi pubblicato qualche giorno fa su Repubblica, dove improvvisamente si è ricordato anche della lotta alla mafia per effetto della lettera di Roberto Saviano, ma non ho visto una parola di sostegno dedicata alla magistratura, di attenzione alla Procura di Palermo e di solidarietà al collega Di Matteo, che in questo momento è particolarmente esposto e rischia la vita. Non riscontro alcuna attenzione da parte del mondo politico verso una questione secondo me centrale sul piano democratico, che è il rapporto tra verità e democrazia. Questo paese non è degno di essere democrazia fino a quando non avrà la verità su quella stagione. Noi siamo orfani non solo di due grandi uomini, ma anche della verità; e una politica che si rispetti deve dire chiaramente che è pronta a schierarsi a fianco della magistratura perché si accerti la verità. Solo allora sarà possibile cambiare le cose.

A conclusione degli interventi si è espresso Gian Carlo Caselli, che ha subito affermato di non voler prendere posizione nel merito della trattativa Stato-mafia, ha preso spunto dagli interventi precedenti per commentarli e per parlare anche del libro. Ha esordito col tema della cattiva coscienza, sollevato da Gea Schirò, e a tal proposito ha citato un passo del libro sull’omicidio di Padre Puglisi: Noi nel libro diciamo che occorre da parte di tutti uno scatto di responsabilità, che occorre superare un agire troppo timoroso, talora persino connivente, e poi concludiamo dicendo che la beatificazione di Padre Puglisi non deve assolutamente diventare un comodo lavacro delle coscienze, che faccia dimenticare le responsabilità di chi lascia soli coloro che si impegnano. Ha continuato in merito al tema del concorso esterno, dicendo: Se io non sono partecipante materialmente a un’organizzazione criminale, ma tengo un comportamento che la rafforza dall’esterno, questo è concorso esterno. Tuttavia sembra che i magistrati di Palermo si siano inventati questa figura per mortificare la classe politica e comunque quel pezzo di legalità che con la mafia ha fatto e fa affari e scambia interessi. Ha poi aggiunto alcune considerazioni sulla risposta di Matteo Renzi alla lettera di Roberto Saviano: Va benissimo fare il catalogo dei provvedimenti che si dovranno attuare sul versante dell’antimafia, ma c’è anche un altro problema che secondo me va affrontato ed è il problema del funzionamento della cosiddetta macchina della giustizia. L’antimafia è un pezzo di questa macchina, ma se non funziona l’intera macchina, questo pezzo, per quanto oleato, realizzando le misure di riforma prospettate dal Premier, restando inefficiente la macchina, di passi avanti si rischia di farne davvero pochi. Ha continuato affrontando l’argomento della delega da parte dello Stato: Ci sono dei problemi che tutta la politica non sa come risolvere e allora si limita a delegarli alle forze dell’ordine e alla magistratura. Ma un’anomalia che riscontro nell’anomalia è che se il magistrato , operando su delega, ma pur sempre nell’adempimento dei suoi doveri, si trova a superare certi limiti, ecco che viene accusato di politicizzazione. Riprendendo il discorso di Saverio Lodato sulla partita a tre tra Stato, mafia e magistratura, ha citato un passo scritto da Salvatore Lupo nel 2002 che scriveva di un attacco partito da parte delle forze del centro-destra, durante la campagna elettorale del 1994, contro la magistratura e i collaboratori di giustizia, in un momento in cui la magistratura era sulla cresta dell’onda. Secondo lo stesso Lupo si trattò di operazioni fatte per il futuro, perché la mafia era necessaria, affermazioni che, a suo avviso,contenevano una verità importante. Ha poi concentrato il suo discorso sugli importanti passi avanti svolti dalla Procura di Palermo nell’ultima fase, dicendo: Questa è una fase che inizia dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio,perché queste stragi hanno segnato l’inizio di una nuova era geologica e la dimostrazione è nel tipo di collaborazione che Buscetta ha realizzato prima e dopo le stragi. Dopo le stragi Buscetta ha deciso infatti di parlare perché i tempi erano ormai maturi e anche per rispetto verso quel grande uomo che lui stimava, Giovanni Falcone. In quest’ultima fase non solo si sono fatti enormi passi avanti sulla trattativa Stato-mafia, ma le inchieste e gli interventi investigativi sulla mafia hanno portato ad accertamenti, come mai in precedenza, sulla sua diffusione al centro e al nord del nostro paese. Ha proseguito affrontando anche il tema dei processi a Dell’Utri e Andreotti, affermando: Oggi il silenzio che c’è attorno al processo Andreotti e al processo Dell’Utri è grave, nonostante tutti sappiano della loro colpevolezza. Andreotti è stato dichiarato dalla cassazione penalmente responsabile di aver commesso il reato di associazione per delinquere fino al 1980. Dell’Utri, dopo varie sentenze ,è ricorso in cassazione e nella sentenza di cassazione definitiva si dice che il rinnovamento di appello dovrà avvenire per i fatti successivi al 1978,perché fino a quella data la sussistenza, sul piano soggettivo e oggettivo è provata. Dunque è come se si volesse cancellare queste stagioni torbide della vita nazionale e, cancellandole, si finisce col legittimare una politica che abbia rapporti col malaffare. In conclusione, ha citato le parole scritte in una rivista giuridica da Giuseppe Guido Lo Schiavo, Procuratore generale presso la corte di cassazione negli anni sessanta, secondo cui la mafia ha sempre rispettato la giustizia e non ha mai ostacolato l’opera dei giudici, sostenendo: La tendenza a negare, minimizzare, mettendo così i bastoni tra le ruote a tutti coloro che faticosamente cercano di fare il loro dovere, è vecchissima, si manifesta nelle varie fasi con modalità diverse, ma è una costante della quale purtroppo non possiamo non tener conto e che è un po’, per concludere, il fil rouge che lega le varie parti di questo libro.

Al termine del dibattito una gran folla si è accalcata attorno ai due ex magistrati per complimentarsi con loro ed esprimere solidarietà e gratitudine, segno che la città di Palermo non dimentica ed è coinvolta e partecipe nella lotta contro la mafia.

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