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Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno II - Num. 10 - 24 febbraio 2014 Cultura e spettacolo

Tornatore ospite d’onore alla presentazione docufilm “Mimmo Pintacuda – la mia fotografia”

(All’interno videointerviste a regista Tornatore e sceneggiatore Pintacuda)

di Vilma Maria Costa
         

Bagheria (PA) – Grande emozione per tutta la serata-evento quella che ha avuto luogo al Supercinema di Bagheria e che è stata coordinata dal prof. Mimmo Aiello. Presente il regista Giuseppe Tornatore che abbiamo avuto il piacere di intervistare.

Un evento fortemente voluto dallo sceneggiatore Paolo Pintacuda, figlio del fotografo Mimmo Pintacuda recentemente scomparso che ha realizzato, in ricordo del padre, il docufilm Mimmo Pintacuda – la mia fotografia, un film della durata di 56 minuti tutti dedicati alla vita artistica del padre. Nel docufilm è lo stesso Mimmo Pintacuda che racconta come è nata la sua passione per la fotografia e cosa intendeva carpire dell’animo umano con i suoi scatti e sono state realizzate, inoltre, due interviste, una all’amico e discepolo di Pintacuda, il regista Tornatore, al quale Pintacuda ha donato il suo sapere ed esperienza e l’altra al direttore del Museo Alinari al quale questa volta il fotografo ha donato tutto il suo archivio fotografico, quindi, l’espressione della sua creatività. Un uomo generoso Pintacuda che ha saputo offrire il suo know how al primo e le sue opere al secondo. Generosità di altri tempi!

Un docufilm che ha saputo perfettamente trasmettere alle persone in sala chi era Mimmo Pintacuda: un uomo semplice, di grande talento e professionalità, fortemente determinato e generoso. Un uomo che vedeva sicuramente più di quanto vedono le persone comuni, dotato di un terzo occhio che gli consentiva di diventare testimone di momenti di vita quotidiana e sociale.

Prima della proiezione è intervenuto il regista Tornatore che ha voluto sottolineare l’importanza della sua grande amicizia con il fotografo nata da quando aveva solo 9 anni: Nella mia vita mi sono trovato molte volte a parlare davanti a un pubblico numeroso e me la sono sempre cavata abbastanza bene questa sera non lo so perché è difficile trasmettere agli altri il senso di un’amicizia così articolata e profonda. Alla fine ci si ritrova a raccontare degli aneddoti che non sai mai se la somma di questi aneddoti che nella tua memoria evocano il senso di quella amicizia questa catena di fatti riesce a determinare la stessa consapevolezza. Di certo vi posso dire che all’età di 9 anni, quando ho avuto finalmente la fortuna di mettere piede in un luogo che già tanto desideravo di conoscere: una cabina di proiezione cinematografia, in questo caso quella del cinema Capitol e incontrai questo signore gentilissimo e spiritosissimo non avrei mai immaginato di dover parlare di questa persona quasi mezzo secolo dopo all’imperfetto.

Tornatore ha voluto raccontare di una stranezza che caratterizzava i suoi incontri con Pintacuda, di come il suo amico fosse sempre talmente impegnato e appassionato nel suo lavoro tanto da non averlo mai visto mangiare: Mi chiedevo cosa posso dire di nuovo rispetto a questa straordinaria amicizia che io non abbia già detto, c’è una cosa che non ho mai detto di Mimmo che stupisce me stesso ora che ci penso, in tantissimi anni che l’ho frequentato soprattutto nelle cabine del cinema non l’ho mai visto mangiare, prendere il caffè mille volte, quindi nella mia memoria lo ricordo soltanto nell’atto di lavorare, di fotografare, sviluppare negativi, di studiarli, stamparli, studiare il taglio delle fotografie, di aspettare che si asciugassero, incollarle sui pannelli di legno, cambiare pellicole, caricare la pellicola nelle bobine del proiettore, studiare idee da realizzare, scervellarsi per ricostruire macchine e aggeggi che esistevano sul mercato ma che lui preferiva costruire con le sue stesse mani per adattarle al suo metodo e alla sua sensibilità. E per questo mi sono chiesto, ma non gli portavano mai da mangiare i suoi familiari? Il fatto che io non lo vedessi mai mangiare in fondo mi dà l’idea di una persona che desiderava studiare solo le immagini e il senso vero della sua personalità.

Ha, inoltre, parlato dell’affascinante capacità di Pintacuda di raccontare i film, addirittura ricordando i dialoghi delle sequenze: Dovete sapere che all’epoca, tra il ’66 e il ’69, se non riuscivi a vedere un film al cinema e te lo raccontavano e scoprivi che ti sarebbe piaciuto vederlo tu eri fregato, non c’era il dvd o il film pirata su youtube dove alla fine il film lo trovi. Dovevi avere la fortuna che il destino qualche anno dopo lo facesse riproporre ad un’altra sala cinematografica o alla stessa. Ecco Mimmo spesso mi raccontava film del passato che lui aveva visto a volte riportando i dialoghi di certe sequenze. Anche l’ultima volta che andai a trovarlo a casa mi raccontò il finale e la battuta finale che gli era piaciuta tanto di un film come James Stewart. E ancora ha riferito del suo modo di insegnargli il mestiere e di quello di fare fotografia come un cacciatore in cerca della sua preda e un osservatore che aspetta il momento opportuno per sferrare l’attacco, in questo caso per scattare: Era, insomma, un continuo imparare dove lui non si sentiva l’insegnante ed era quindi il rapporto che mi poneva nelle migliori condizioni per imparare. Era un rapporto paritario. Perché prima c’era il concetto della bottega e il giovane doveva imparare e quelli che conoscevano il mestiere dovevano tramandarlo agli altri, era una legge naturale, ma questo si è perso. Con Mimmo e poi con tutti gli altri proiezionisti che ho conosciuto con lui e grazie a lui, Isidoro Mancino che è qui stasera, Mimmo Guarino, Don Carmelo Gagliano, Pino Puleo, Placido Ferrara, proiezionista del Supercinema ho potuto partecipare a una forma di scuola assolutamente originale e rivoluzionaria. Più tempo passa e più mi rendo conto che Mimmo sembra un personaggio venuto fuori da un racconto Calviniano. Quando me ne sono andato via io sono stato sempre colpito dal fatto che la mattina andasse in giro per le vie di Bagheria a fotografare i suoi concittadini nei loro momenti di vita quotidiana e possibilmente a loro insaputa, poi di pomeriggio si richiudeva in quell’ambiente angusto e ai suoi concittadini, che la mattina aveva fotografato, proponeva storie che avevano raccontato altri, ma che potevano fruire per mezzo di lui. Ho sempre trovato questo cortocircuito narrativo estremamente interessante. Mimmo mi sembrava un cacciatore perché non era solo la capacità di saper captare il momento giusto, lui era un grandissimo osservatore e questa capacità dava al fotografo la possibilità di intuire il momento giusto in cui scattare e alla lunga addirittura di prevenire ciò che stava per accadere e quindi di essere pronto con la macchina fotografica in pugno con l’esposizione giusta, la messa a fuoco giusta a cogliere quell’attimo. I film invece gli consentivano di vivere storie come qualunque spettatore ma anche di partecipare ad un dibattito che andava avanti anche per settimane fra le strade del paese. Con questa persona io ho avuto la possibilità di vedere i film in un modo diverso dal modo tradizionale, quando una scena ci piaceva particolarmente andavamo a guardarcela sulla pellicola e studiavamo gli attacchi di montaggio o la composizione di una inquadratura che poi ritornava apparentemente identica ma che identica non era. La figura del cacciatore mi colpiva perché nel momento in cui Mimmo avvertiva che stava per accadere qualcosa da fotografare era fotografo ed era in quell’istante proiezionista, avvertiva un attimo prima il fotogramma dell’immaginario film virtuale che stava per essere proiettato, in effetti per realizzarsi. Le fotografie che lui scattava della vita reale erano fotogrammi di un film di vita vissuta.

Ha preso poi la parola Paolo Pintacuda, giovane sceneggiatore ma che ha già al suo attivo diversi premi di altissimo livello come, per citarne alcuni, il Premio Franco Solinas 2010 per la migliore sceneggiatura inedita con il film Scuru, Migliore Sceneggiatura Drammatica all’Endas International Screenwriter Expo 2012: Volevo innanzitutto rassicurarvi, mio padre mangiava, anzi diverse volte portavamo sia io che i miei fratelli il cibo al cinema. Ringrazio Peppuccio di avermi riportato con la mente a questi ricordi e di essere qui a ricordare mio padre. Mio padre è passato dall’essere un cacciatore, un osservatore all’essere lui stesso memoria tramite la sua arte. Da quando sono stato testimone dell’ultimo suo respiro ho due modi per incontrarlo, il sogno dove riesco a percepire quasi la sua fisicità e le sue foto, attraverso queste riesco a vedere le sue emozioni. La sua arte è una sorta di ponte che mi permette di incontrarlo tutte le volte che voglio. La bellezza dell’arte è proprio questa, permette all’artista di sopravvivere alla sua morte. E’ così per mio padre, per Ignazio Buttitta, Giacomo Giardina, Renato Guttuso e anche per tutti gli artisti che, sebbene non godano della fama di questi che ho appena citato, hanno nobilitato questo paese che storicamente è un po’ cieco nel valorizzare le potenzialità intellettuali e culturali che ha. L’arte permette a voi di godere ancora della presenza di mio padre e permette a me di avere ancora un padre.

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