Qualche tempo fa, allo scadere del centenario della fondazione del Palermo Calcio (l’anno era il 2000) , il Giornale di Sicilia indisse un referendum popolare sul “Più grande giocatore rosanero del secolo”: vinse nettamente Ghito Vernazza.
Chi era Vernazza?
Julio Carlos Santiago Vernazza, detto “Ghito”, arrivò a Palermo nell’estate del ’57 per uno dei proverbiali “colpi di mano” di Totò Vilardo, che di quel Palermo ufficialmente era solo il segretario ma che, senza di lui, non sarebbe neanche esistito. Faceva tutto lui, formazione compresa, nel senso che se l’allenatore di turno non seguiva le sue “indicazioni” e la partita andava male era già bell’e licenziato. In tronco e senza tante discussioni. Un po’ come lo Zamparini dei tempi che corrono. Anzi di più, perché Zamparini, a differenza di Vilardo, è comunque il “patron” della società.
Eppure quello di Vernazza che arrivava dall’Argentina, era un gran bel Palermo e Vernazza si confermò subito come un vero campione. Tanto da meritarsi , dopo qualche settimana, la fascia di capitano. Che onorò sempre alla grande con i suoi gol e il suo esempio. In campo e nella vita.
Che Palermo e i palermitani lo scegliessero, dunque, come il “più grande giocatore rosanero del secolo”, nessuna meraviglia: raramente un giocatore nella storia ultracentenaria del Palermo è stato così amato dai suoi tifosi.
Eppure, come succede sempre nelle “gare” sul più bravo di tutti, qualcuno storse il muso e disse, per esempio: “E Vicpalek?” Oppure: “ E Fernando?”. E ancora: “E Masci?” E via dicendo. Per conto mio, pur amando alla follia Vernazza e i suoi gol strepitosi, la folgore che era nel suo piede destro, la sua generosità in campo, la sua disponibilità e la sua umiltà nella vita, avrei scelto Cestmir Vycpalek, detto “Cesto”.
Perché?
Perché se è vero che il gol è la sublimazione dei novanta minuti della partita e che, senza, il calcio perde tutta la sua poesia; se è vero che conta, al di là degli altri dieci, soprattutto il giocatore che segna il gol vincente, è altrettanto vero che chi gli fa l’assist decisivo, chi lo sospinge con un passaggio, un lancio, un dribbling davanti alla porta avversaria diventa, solo per questo, altrettanto decisivo. Ecco perché io votai per Vycpalek, che era uno che giocava sempre per la squadra e a tutto campo, la guidava come un regista vero e non solo: quando trovava il varco giusto, si spingeva in avanti e dettava l’assist decisivo. Quanti gol fece Pavesi, centravanti d’altri tempi, l’area di rigore era il suo prato fiorito, non se ne allontanava neanche a morire; lì si piazzava sin dall’inizio e lì doveva arrivare la palla da schiaffare nella rete avversaria. E a quello provvedeva Vycpalek coi suoi lanci col contagiri, dopo un secco dribbling in un fazzoletto di campo. E le rare volte che Vycaplek non c’era (una squalifica, un infortunio) Pavesi e la sua insaziabile smania di gol non bastavano più. Insomma, prima di far gol serve chi te li fa fare. Quindi Vycpalek prima di Pavesi. Ergo: Vernazza era un grande goleador, meritato comunque il suo trofeo di miglior calciatore rosanero del secolo, perché non si limitava a far gol, ma giocava anche dietro, suggeriva, partiva da lontano e da lì spesso segnava con le sue bordate terrificanti, che mettevano paura ai portieri.
E tuttavia, insisto: avrei dato l’alloro di miglior rosanero del secolo a “Cesto” anche se, a pensarci bene, come mi succede spesso, nella mia scelta c’entra non solo il campione Vycpalek ma anche l’uomo, che ho conosciuto da vicino, molto da vicino, così da potere affermare che come persona “Cesto” era addirittura migliore che come calciatore. Era scappato dalla Cecoslovacchia, dalla Praga invasa dai carrarmati tedeschi, e, dopo una sola stagione alla Juve, che lo aveva ingaggiato subito dopo la guerra, venne ceduto in prestito al Palermo. Per lui – me lo confessò solo in vecchiaia – quella cessione fu come una bocciatura. Come se Boniperti, anche allora leader della Juve, non lo considerasse all’altezza di uno squadrone come quello bianconero. Certo è che arrivò al Palermo di malavoglia e: Pensai subito – mi confidò una sera che era in vena di malinconie – di tornare, a fine prestito, alla Juve e invece, dopo due settimane ero già rosanero non solo di maglia, ma anche nel cuore e nell’anima. Mi conquistò il calore della gente, che mi fermava per strada e mi portava al bar. Faticavo a convincerli ad offrirmi solo un caffè, sennò mi riempivano di cannoli e bignè. Quando, invece, mi incontravano a Mondello, dov’ero andato ad abitare, i polipari del lungomare mi facevano rimpinzare di cozze e polipo. Tutta roba mai vista a Praga, non resistevo, come coi cannoli, perché al mare e alle sue delizie può resistere solo un asceta!.
Vycaplek non lasciò più Palermo, tranne i periodi in cui andò ad allenare la Juve e, comunque, d’estate tornava sempre nella sua piccola e modesta villa di Mondello. Dov’era diventato di casa, il rione era ormai il suo rione, i vicini erano i suoi vicini, la spiaggia di Mondello era la sua spiaggia. Da dove, da pensionato, non si allontanava neanche per il pranzo, faceva tutto a due passi dalla battigia, con i suoi compagni di ventura, che erano ex giocatori come lui, diventati ormai fraterni amici. Di gioco, di scopone o briscola a cinque. E, come succede nel gioco, che è la cosa più seria tra le cose che serie non sono, per una carta sbagliata, per un punto sprecato, si va su tutte le furie e anche se l’ avversario è un vecchio grande amico non gli si risparmiano certo urla, strepiti e improperi.
In quelle interminabili e infuocate partite da spiaggia finiva sempre che era “Cesto” a far da paciere col suo vocione dall’accento praghese, rimasto tale e quale nonostante i decenni che viveva lontano dalla sua terra natia: Amunì, picciotti, un c’è nienti, pigghiamunni u cafè!.
Subito dopo quel referendum e il trionfo di Vernazza, dissi a Viycaplek che io avevo votato per lui e lui, bofonchiando compiaciuto, mi rispose: Io ti ringrazio, ma Ghito se lo meritava più di me… anche se….
Anche se? – chiesi.
Anche se io avrei scelto Helge Bronée… Sì, lo vedo, sei sorpreso, ma tu non lo hai visto giocare, quello era un artista, mica solo un giocatore… Mica solo un attaccante. Quand’era in giornata era un’iradiddio, era capace di far gol andandosi a prendere la palla nella sua area e far gol da tutte le posizioni. Un vero fuoriclasse! Solo che era discontinuo e giocava bene solo quando .. voleva lui. Per il resto amava la bella vita e le belle donne: Sapessi quante paternali gli facevo ma lui faceva spallucce e poi mi diceva: “Hai ragione, ma prima viene la mia vita e poi il calcio!”.
Io non posso dir nulla in proposito, ero troppo piccolo e non vidi mai giocare Bronée, però posso affermare con assoluta convinzione che, se avesse vinto lui, Vernazza non avrebbe avuto nulla da ridire. Perché anche Vernazza, come Vycpalek, come succede solo ai grandi, era di un’umiltà pari solo alla sua classe.