La Commissione Regionale contro la criminalità organizzata e la corruzione ha approvato ieri pomeriggio all’unanimità la relazione conclusiva dell’inchiesta sul cosiddetto “Sistema Montante”.
Il contenuto della relazione (che è disponibile all’indirizzo http://tiny.cc/67683y) risponde all’obiettivo primario che la Commissione si era dato, quello cioè – come ha spiegato il Presidente Claudio Fava – “di ricondurre la politica all’esercizio delle proprie responsabilità, troppo spesso messe in disparte per essere derubricate a una mera presa d’atto all’intervento della magistratura.”
Nel corso di lavori durati circa 10 mesi, sono state audite 49 persone (fra dirigenti politici nazionali, funzionari regionali, giornalisti, giudici, parlamentari, ex ministri).
Gli episodi presi in esame sono del tutto distinti rispetto a quelli al vaglio dell’Autorità Giudiziaria di Caltanissetta. In questo senso rappresentano un punto di vista e di approfondimento assolutamente inedito sul cosiddetto “sistema Montante”, su coloro che vi hanno partecipato, “nonché – afferma Fava – sulle conseguenze devastanti per regole di una democrazia rappresentativa che quel sistema ha determinato, sugli interessi che ha preservato, sulle carriere che ha favorito, su quelle che ha stroncato, sugli affidavit eccellenti che ha ricevuto, sulla sostanziale impunità di cui ha goduto per lungo tempo, non solo nell’opinione pubblica ma anche in ambito giudiziario.” La relazione, che consta di circa 120 pagine oltre numerosi allegati, “è un quadro assai poco rassicurante che descrive minuziosamente la capacità dell’inner circle di Montante di dare forma ad un governo parallelo che ha avocato a sé per molti anni gli aspetti più strategici della governance della Regione, arrivando condizionare (o, quantomeno, a tentare di farlo) processi decisionali, amministrativi e di spesa. Come in occasione dell’Expo 2015 o, ancora, della nascita dell’IRSAP: un paradiso delle consulenze il primo, nato da un protocollo d’intesa tra il Montante, nella qualità di presidente di Unioncamere Sicilia, e l’allora assessore alle Attività Produttive, che era un suo funzionario in Confindustria; una cabina di regia unica, il secondo, sulla quale il cerchio magico aveva puntato le proprie ambizioni.”
Nel corso del lavoro della Commissione, si è cercato soprattutto di capire in che modo Montante e i suoi sodali “si siano, di fatto, potuti sostituire al governo della Regione. Attraverso cioè quale circuito di compiacenze, reticenze, distrazioni e protezioni che hanno attraversato tutte le istituzioni dello Stato e delle professioni, fino ai loro livelli apicali.”
Al termine di centinaia di ore di audizioni e di migliaia di pagine di documenti acquisiti dall’autorità giudiziaria e dall’amministrazione regionale, per Fava “resta la preoccupante consapevolezza che molti sapessero e – pur senza essere parte di quel sistema – abbiano taciuto.”
“È emerso un metodo quasi “militare” di asservimento della funzione pubblica ad interessi privati o elettorali attraverso la forzatura delle procedure, la sistematica violazione delle prassi istituzionali, l’umiliazione della buona fede di tanti amministratori, l’occupazione fisica dei luoghi di governo, la persecuzione degli avversari politici, fino al vezzo di una certa “antimafia” agitata come una scimitarra per tagliare teste disobbedienti e adoperata come salvacondotto per se stessi attraverso un sillogismo furbo e falso: chi era contro di loro, era per ciò stesso complice di Cosa nostra.”
Queste valutazioni sono state fatte anche sulla base della viva testimonianza di alcuni dei dirigenti generali che si sono susseguiti alla guida del Dipartimento di via degli Emiri e che hanno confermato come la funzione pubblica fosse stata di fatto privatizzata a beneficio di un piccolo consorzio di personaggi. A tal proposito, ci si è a lungo interrogati sul fatto che tale atteggiamento non abbia registrato affievolimenti all’indomani del 9 febbraio 2015, data in cui veniva resa nota dai giornalisti Bolzoni e Viviano la notizia di un’indagine a carico di Antonello Montante. Nessun imbarazzo neppure da parte di chi, qualche settimana prima, lo aveva indicato quale componente dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Altro obiettivo, non meno importante, dell’inchiesta è stato quello di far luce sui rapporti tra il “sistema Montante” e i giornalisti: quelli da cooptare al servizio del cerchio magico e quelli da osteggiare, anche con mezzi palesemente illeciti, perché rei di voler fare semplicemente il proprio mestiere.
“Insomma – afferma Fava – uno svilimento metodico dei principi di rappresentanza e di buona amministrazione che non ha avuto in Montante l’unico autore e forse nemmeno il principale regista. Al di là dell’accertamento di eventuali responsabilità penali sue e di altri imputati nel processo in corso a Caltanissetta, il “sistema Montante” chiama in causa un sodalizio all’interno del quale nulla era lasciato al caso, e ciascuno aveva la propria quota di consapevole responsabilità. Un repertorio di fatti e atti non sempre penalmente rilevanti, ma non per questo meno gravi o meno degni di tutela e vigilanza.”
Il Presidente dell’ARS Gianfranco Micciché, presente oggi alla presentazione della Relazione, ha espresso il proprio apprezzamento per il fatto che il voto sia stato unanime “a conferma dello spirito collaborativo di tutti i commissari e della qualità del lavoro svolto, che rafforza l’intero Parlamento siciliano.” Per Micciché “è fondamentale che la Commissione prosegua nel proprio lavoro non per cercare mafiosi, compito che spetta alla Magistratura, per individuare quei fatti e fenomeni corruttivi dell’attività amministrativa, di cui hanno fatto le spese tantissimi imprenditori e, in ultima analisi, tutti i siciliani.”