Palermo – Il dibattito ”Antimafia e Antimafie” ha suscitato il vivo interesse della platea, che numerosa è affluita per la presentazione dal volume ”L’Altra resistenza”, di Giuseppe Carlo Marino e Pietro Scaglione.
L’evento, svoltosipresso l’Istituto Gramsci Siciliano (via Paolo Gili, 4) di Palermo, ha visto un rilevanteparterre di relatori: Franca Imbergamo, magistrato della Procura Nazionale Antimafia, Michele Figurelli, membro del Comitato scientifico dell’Istituto Gramsci Siciliano, Nino Fasullo, direttore della rivista “Segno“, Umberto Santino, fondatore e dirigente del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo, Salvatore Nicosia che ha moderato. Tra gli ospiti, l’ex Procuratore Capo, Francesco Messineo.
La pubblicazione del volume è impreziosita dalla prefazione di don Ciotti ed è dedicato a papa Francesco, affinché, come si augura lo stesso don Ciotti, l’esempio del pontefice, così chiaro e netto, possa sgombrare il campo da quei silenzi e quelle ambiguità caratterizzanti in passato l’atteggiamento di una parte di chiesa nei riguardi delle mafie.
Rilevante lo spessore degli interventi succedutisi, il cui focus è stato incentrato sugli aspetti che trasversalmente hanno investito la mafia, l’antimafia ieri e oggi, nonché i suoi protagonisti.
Così, Michele Figurelli ha intravisto nel presente volume il tentativo dicostruire e rinnovare la memoria, utile a ricercare le radici e a individuare e a seguire i tanti fili che legano il nostro presente (e momenti del passato a noi più recente) alla storia della Sicilia nell’Italia repubblicana e, prima ancora, dell’Italia post-unitaria. I tanti fili, tra cui quello rosso delle lotte di emancipazione sociale e di libertà; lotte culturali, ideali e politiche, (così, i fasci siciliani ai movimenti per la terra del 1° e del 2° dopoguerra). Il filo nero delle compenetrazioni di mafia e Stato, il filo nero di quella condizione di doppio Stato che, in forme e in contesti diversi, si è riprodotta lungo 150 anni della nostra storia. I racconti di cronaca di Scaglione, con il suo elenco di nomi – ha ricordato Figurelli – ricordano le manifestazioni di LIBERA, che su iniziativa di Luigi Ciotti vengono letti in maniera mirata, per fare, in ogni manifestazione, un invito a fare memoria. Il Saggio di Marino mi sembra una breve felice sintesi dei suoi tanti lavori di storia della mafia e dell’antimafia, nel quale emerge la critica della mistificazione di mafia ridotta a criminalità e a questioni di polizia. Critica di ipocrisia e mistificazioni che segnano la retorica dell’antimafia, a partire dalla generica e, spesso, assai penosa invocazione della legalità.
La magistrata Imbergamo nel fotografare le storture che si sono strutturate in Italia, ha affermato che Il fronteggiare il cancro delle Istituzioni repubblicane si fa creando buone regole, poche regole, scritte bene, non attraverso un Deus ex machina, che oggi sarà un magistrato piuttosto che l’Autority anticorruzione. E’ un gioco questo, di rimando di responsabilità, un gioco ipocrita. Io ho sempre diffidato di quelli che sono innamorati dei magistrati. Non innamoratevi dei magistrati– ha esordito la Imbergamo-perché la magistratura è un organo, un potere dello Stato. Ci sono magistrati che fanno il loro dovere fino in fondo ma, soprattutto, quello di cui bisognerebbe innamorarsi sono le regole, le leggi, la possibilità che si possa lavorare e che non si possa devolvere grazie all’eroismo di qualcuno, la possibilità di fare qualche passo avanti.La mafia, cosa nostra, ma, anche quelle più sofisticate, come la ‘ndrangheta, la camorra, noi le possiamo affrontare dal punto di vista dell’ordine pubblico, quando con i loro delitti di sangue scuotono l’opinione pubblica. Ma, dal punto di vista della gestione del potere, difficilmente la soluzione, la risposta si può trovarla nelle aule giudiziarie. E’ uno scontro di potere, quello a cui stiamo assistendo non solo della mafia, ma anche dell’antimafia, che sta mostrando adesso alcuni segni patologici. “Forse negli ultimi tempi, il Re comincia a sembrare più nudo – hacontinuato la Imbergamo.Finché la magistratura si occupa di chi lede l’ordine pubblico trova moltissimi alleati sul suo cammino e anche le manifestazioni antimafia rendono meglio se c’è il sangue che scorre nelle strade. Mi piacerebbe un Paese in cui l’antimafia non si abbevera del sangue delle vittime.
La Imbergamo ha continuato con le vicende che stanno interessando le cronache di oggi (EXPO, per esempio), per le quali ha soggiunto forse ci sono responsabilità un po’ più grandi del singolo appalto, della singola mazzetta o altro. Probabilmente, bisognerebbe chiamare in causa la Politica. C’è un gioco ipocrita che viene avallato anche dalla Magistratura. In fondo, ognuno fa il proprio ruolo e, non ti puoi inimicare il potente di turno – ha rilevato la Imbergamo. – Non cerchiamo angeli salvatori. Non ce ne sono da nessuna parte. Pretendiamo che la ricerca della legalità, in senso concreto, non astratto, passi attraverso il rispetto delle regole che abbiamo, il miglioramento di quelle che abbiamo, che si consideri dal punto di vista della responsabilità anche politica e amministrativa, senza aspettare la commissione di un reato che faccia nascere l’allarme.
Umberto Santino attraverso la presentazione del libro ha dovuto parlare, del fenomeno mafioso presente e passato si è richiamato all’antimafia e al rapporto con la Chiesa. Convergendo con la posizione di Marino, Santino ha affermato che mafia non è solo crimine organizzato. Trattasi di un sistema di potere, un modello di accumulazione. Santino ha parlato di mafia come soggetto politico.Non si tratta di un rapporto con qualche boss o qualche politico, episodico, congiunturale. Si tratta di un rapporto organico, di una interazione fra un potere criminale e un potere istituzionale. Si tratta di settori consistenti (non marginali) delle Istituzioni.A proposito di antimafia, Santino si è riferito ai Fasci siciliani, come fatto composito. La componente maggioritaria fa riferimento al partito socialista, nei cui Statuti è prevista la lotta contro la mafia. A proposito della Chiesa, Santino ha evidenziato l’atavica contiguità tra una parte della chiesa con la mafia. Il problema è che la Chiesa – ha riferito Santino – di fronte alle lotte contadine che durarono in varie fasi, fino agli anni ’50, siccome al centro del suo interesse, della sua pastorale c’era la lotta al social-comunismo, questo problema che ci fossero i mafiosi o non se lo poneva o se lo poneva in modo da avallare una oggettiva o soggettiva complicità nei confronti del fenomeno mafioso.
Gran parte dei militanti delle lotte contadine sono stati uccisi perché si opponevano all’ingresso dei mafiosi.
Marino, nel suo intervento ha fatto osservare che la questione della mafia andava colta come una proiezione, come politica, alta, intelligente, dei ceti dirigenti siciliani, segnando una linea interpretativa che è passata anche per la magistratura. Per questo il fenomeno è stato vitale e così vivace. A proposito della Chiesa, Marino ha rilevato che – fintantoché restò l’opposizione della Chiesa che era potere, che era gerarchia allo Stato liberal-massonico, la Chiesa–potere fu in grado di cogliere i rapporti tra la mafia e questo Stato che combatteva. Via via, la gerarchia ecclesiastica si è integrata con quello Stato che prima combatteva, ma che poi diventa una sua stampella o una sua risorsa parallela, indentificandosi in questo potere. Questo potere, la Chiesa – ha continuato Marino – lo sentiva minacciato dai ceti popolari. Il processo di laicizzazione promosso dalla sinistra, che si stava formando, come resistenza nel popolo – ha evidenziato Marino – minacciava la Chiesa non solo nei suoi interessi, ma nelle sue ragioni storiche e ideali. Noi vorremmo la Chiesa di Papa Francesco, ma la Chiesa storica non è stata la Chiesa di Papa Francesco. Il socialismo minacciava la tradizionale egemonia che la Chiesa esercitava sulla società. Questo accade con il socialismo, ma anche successivamente, con l’avanzata dei movimenti popolari, guidati dalla sinistra di classe dei grandi partiti di massa. Da qui – ha aggiunto Marino – la missione prioritaria della Chiesa era la lotta al socialismo e al comunismo, sullo stesso piano della lotta alla mafia.
Fasullo, nel suo intervento, ha fatto osservare che la Chiesa non ha mai parlato di mafia. Nei documenti ecclesiastici non esiste la parola mafia, tranne in un comunicato stampa del 1973. Chi parlava di mafia era il giornale l’Ora a Palermo e l’Unità. Nel resto del Mezzogiorno, in Calabria, totale silenzio. Sino al 1982 si diceva “le cinque lettere”. La parola mafia non si menzionava neppure nel Giornale di Sicilia. Bisognerebbe entrare negli archivi delle diocesi. Vorrei ricordare la famosa strage di Ciaculli del ’63 – ha aggiunto Fasullo. – In quell’occasione, secondo me, ci fu la rottura della Chiesa. Abbiamo avuto la lettera di Paolo VI dell’agosto ’63, rivolta alla Sicilia. Il Cardinal Ruffini – secondo Fasullo – ritenne papa Paolo VI un ingenuo perché, secondo l’insegnamento ricevuto, il diavolo da combattere era il comunismo e il socialismo. Tuttavia, furono i comunisti e i socialisti che ci hanno insegnato l’antimafia – ha ribadito Fasullo. Infine, Fasullo per rilevare le incongruenze che nella storia hanno ispirato alcune scelte della Chiesa, ha aggiunto: Il movimento cattolico in Italia nasce nell’800 per difendere il potere temporale dei papi. Per fare l’Unità d’Italia, bisognava togliere il potere al Santo Padre, il quale non voleva lasciare per motivi storici, politici, pseudo-culturali, non evangelici. Il vangelo è totalmente estraneo al potere. Per il vangelo il potere porta sempre morte. Con un passo del vangelo (Marco 10: 43-44), Fasullo ha ricordato: ”Fra di voi non deve essere così. Chi di voi vuole essere il primo sarà schiavo di tutti”. Infatti il prete, il vescovo e il papa sono ministri e il termine ministro significa servo.
TrinacriaNews.eu ha effettuato interviste a l’ex Procuratore Capo, Francesco Messineo, Umberto Santino, fondatore e dirigente del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo e gli autori del libro lo storico Giuseppe Carlo Marino e l’editore Pietro Scaglione
FRANCESCO MESSINEO
D. Antimafia e antimafie. Qual è la vera antimafia rispetto alle altre?
R. La vera antimafia è quella che combatte attivamente o che, comunque, cerca di suscitare nella società civile una reazione positiva. Quella è l’unica antimafia vera. Le altre non le chiamerei “altre antimafie”. Sono fenomeni fittizi, fondati sul carrierismo, sull’apparenza. Tutte cose negative che dobbiamo sottrarre. Però, credo che sia rilevante sottolineare un concetto: gli eventuali fenomeni deteriori non fanno venire meno la validità della scelta fondamentale di combattere la mafia. Questa scelta è certamente giusta. Poi, i singoli possono anche avere commesso errori e, certamente, dovranno pagare per questi errori, dovranno affrontare le loro responsabilità. Ma, io non getterei via l’acqua sporca col bambino dentro. Gettiamo via certamente l’acqua sporca. La validità di quello che abbiamo fatto in Sicilia negli ultimi anni, sia sotto il profilo della lotta contro la mafia, sia sotto il profilo del progresso della società civile, io credo sia un patrimonio da salvaguardare.
D. Cosa si può fare per dare una marcia in più all’opinione pubblica destabilizzata dagli ultimi arresti, avvenuti a Palermo, riguardanti personalità di rilievo impegnate nella legalità?
R. Qualcosa di molto semplice: avere fiducia e continuare a credere nell’antimafia vera.
D. Come fa l’opinione pubblica a riconoscere l’antimafia vera?
R. Credo che l’antimafia vera si riconosce dal fatto che lavora in silenzio, lavora senza grandi proclamazioni pubbliche, alle quali, poi, non fanno seguito comportamenti adeguati; ottiene quei risultati che è possibile e doveroso ottenere e fa qualcosa per fare progredire la società siciliana.
GIUSEPPE CARLO MARINO
D. Cosa è cambiato rispetto al periodo storico a cui lei si è ricondotto nel libro?
R. Il libro va dalle origini dell’antimafia sino alle sue esperienze più recenti. Ma, nella sostanza, quello che doveva cambiare è cambiato solo dal punto di vista della forma. Sono cambiate le situazioni, i Governi, le persone, però la dinamica dei rapporti tra mafia e potere è rimasta quella di una volta.
D. Lei quale ricetta prescriverebbe per combatterla efficacemente?
R. Non esistono ricette. La ricetta della retorica ci viene somministrata ricorrentemente dalle varie manifestazioni pubbliche. Ricordo che tali manifestazioni hanno una loro importanza, ma occorrerebbe una ricetta di altro genere, cioè la rimozione delle cause del fenomeno mafioso; cioè, un cambiamento radicale del sistema. Perché la corruzione e la mafia non sono fenomeni paralleli rispetto al sistema di potere, ma ne costituiscono gli “ingredienti” fondamentali.
D. Quali resistenze si oppongono alla rimozione delle cause del fenomeno mafioso?
R. Le resistenze sono molto diffuse. Possono essere costituite sia dalla malafede di quelli che colludono, sia dalla buona fede impotente di quelli che, per ignoranza, seguono le opinioni prevalenti e hanno perduto la capacità di orientamento critico rispetto a quello che sta accadendo in Italia oggi.
UMBERTO SANTINO
D. I silenzi e le ambiguità che hanno contraddistinto una parte della Chiesa sono ancora mantenuti o si sta sgretolando questo muro?
R. Io non farei nessuna delle due collocazioni “silenzio e ambiguità”. La Chiesa è stata una struttura di potere, una grande agenzia di costruzione e mantenimento del potere da 2000 anni. Per la fase che qui ci interessa, cioè del rapporto con la mafia, la Chiesa cattolica ha fatto una scelta molto precisa che era quella di mettere al centro la lotta contro l’ateismo, contro il social-comunismo etc. Le scelte che ha fatto la Chiesa nei confronti della mafia sono abbastanza esplicite. Lottando contro il comunismo è stato individuato nel braccio armato della mafia, un soggetto importante per reprimere le lotte contadine e i moti anti-istituzionali. Successivamente c’è stata un’evoluzione. In questo periodo della storia del mio movimento antimafia – io non sono credente – valorizzo molto l’apporto di Don Sturzo nei primi anni del ‘900. Però è abbastanza isolato. Valorizzo molto i casi di preti uccisi dalla mafia, che la Chiesa ha completamente dimenticato; li classifico come preti sociali, preti impegnati nella vita quotidiana a costruire cooperative. La mafia li ha individuati come nemici e li ha eliminati e sono stati dimenticati. Ora ci sono i nuovi preti sociali, Don Diana, Don Puglisi e tra i viventi, Cosimo Scordato ed altri che fanno un certo lavoro all’interno della loro parrocchia, della loro chiesa e lì sviluppano questa antimafia di base. Ma ancora, in larga parte, la Chiesa rimane struttura di potere. Vedi per esempio, il caso in cui, essendo l’Italia uno Stato in cui c’è una Costituzione, che all’art. 7 introietta i Patti Lateranensi, fatti al tempo del Fascismo, la Chiesa per esempio gode di grossi privilegi; per esempio, non paga le tasse e così via. C’è poi, da tenere conto del fatto che c’è stata la Finanza Vaticana, cioè lo IOR e Papa Francesco che si sta occupando di questa tematica avrà grossi problemi. Tutti gli studiosi e gli economisti hanno giudicato per molti anni questo fatto, come “la Finanza nera”, cioè come finanza che operava un matrimonio fra vari flussi di capitale, tra i quali i capitali dei mafiosi.
PIETRO SCAGLIONE
D. Perché un libro dal titolo “L’altra Resistenza”?
R. Si tratta di un accostamento suggestivo in cui da un lato si evoca il 70° Anniversario della Resistenza, dall’altro per fare capire che in Sicilia c’è stata un’altra resistenza, quella contro la mafia, contro i poteri forti, le collusioni tra mafia e politica. Quindi, per valorizzare un po’ le lotte contadine in Sicilia, le lotte dell’antimafia di sinistra e di una parte del mondo cattolico che si è opposto al potere.
D. Si resiste rispetto a che cosa?
R. Al potere, alla borghesia mafiosa, al sistema mafioso e al sistema di potere.
D. Chi ha avuto l’idea di assegnare la prefazione del libro a Don Ciotti e perché?
R. Le Paoline hanno avuto questa idea che si è rivelata importante, perché Don Ciotti ha fondato l’Associazione LIBERA con lo scopo di coniugare la valorizzazione della memoria del passato, in particolare le storie di chi ha resistito al sistema politico mafioso, con il suo grande impegno civile per una società migliore.
D. Il lettore, alla fine del libro, cosa apprenderà ed in cosa viene stimolato?
R. Intanto, cancellerà alcuni pregiudizi e degli stereotipi razzisti secondo cui “il popolo siciliano è mafioso”. In realtà, quando lo Stato non combatteva la mafia, la lotta al fenomeno mafioso avveniva dal basso: i contadini, gli operai, i lavoratori. Questo stereotipo razzista viene cancellato. Rispetto ad altri stereotipi, tra cui quello per il quale la mafia sia un fenomeno di “criminalità”, dimostriamo, invece, che sia un fattore di affari, soldi e potere.