Palermo – Alla Feltrinelli è stato presentato il libro di Don Cosimo Scordato Dalla mafia liberaci o Signore. L’autore è un insigne teologo, tra i più noti osservatori della questione mafiosa in Italia. Don Cosimo ha voluto focalizzare la sua attenzione sulla storia travagliata che si vive in seno alla Chiesa Cattolica, in cui alle pericolose complicità con l’ambiente mafioso si contrappongono coraggiose condanne e prese di distanza, come quella di Don Pino Puglisi che ha pagato con la propria vita la sua fedeltà al dettato cristiano.
Ad affiancare Don Cosimo sono stati il Prof. Augusto Cavadi che ha moderato l’evento, Don Franco Stabile e il direttore della Collana Di Girolamo, Francesco Palazzo. Il volume esprime l’acume interpretativo di Don Cosimo Scordato, la densità esistenziale del suo impegno pluridecennale, quotidiano, instancabile, per il riscatto del quartiere Albergheria di Palermo, nel centro storico della città intorno al mercato Ballarò, di cui egli è la massima espressione di rinascita.
Augusto Cavadi ha dedicato delle frasi di apprezzamento sulla coerenza di condotta riscontrata in Don Cosimo nel suo cammino di fede, coltivato in tutta la sua vita con l’agire, oltre che con il pensiero. Questa caratteristica, non tanto frequente negli ambienti antimafia – ha affermato Cavadi – l’antimafia, come abbiamo potuto apprendere dalle cronache, è uno zoo abbastanza variegato. Ci siamo animali di tutti i tipi, e tra questi tipi di “antimafiosi”, ci sono alcuni che sanno agire bene Non sono moltissimi, ma sanno studiare, pensare bene, pochissimi sono quelli che sanno pensare, agendo. E agire in coerenza con il proprio pensiero. Cosimo Scordato è una di queste pochissime persone che riesce ad intrecciare nella sua vita l’impegno pratico, quotidiano, contro la mafia, da quando 30 anni fa ha organizzato con Don Francesco Michele Stabile ed il PCI di allora, la prima marcia antimafia, nel triangolo della mafia Bagheria, Casteldaccia, Altavilla, Villabate, una marcia che creò scandalo, perché preti e comunisti per la prima volta insieme, per le strade a protestare apertamente contro il sistema per il dominio mafioso. Tra l’altro – ha continuato a riferire Cavadi – 30 anni fa significava fare riferimento al sistema democristiano. Questa iniziativa non fu senza conseguenze, né su Cosimo, né su Francesco. Ma Cosimo non è stato solo uno che ha operato e che opera. Dopo quegli anni dalla marcia, insieme ad alcuni di noi ha fondato il centro sociale “San Francesco Saverio”, che vuole essere un modo pratico di lavorare con i bambini, con le donne, con gli anziani, con i giovani, per potere offrire loro un modello di vita alternativo a quello della mentalità mafiosa. Quindi, un luogo con tante fatiche, con tante contraddizioni, in cui si cerca comunque, di fare vedere che un’altra Sicilia è possibile.
Augusto Cavadi ha voluto ricordare un episodio che non è ripreso nel libro di Don Cosimo. In particolare, Cavadi ha riferito di un sacerdote carmelitano del quartiere Kalsa di Palermo, Padre Frittitta, che è stato inquisito e processato in quanto andava a trovare un mafioso in latitanza e poi si giustificava dicendo che andava per convertirlo. E ha raccontato di ciò che chiese a tal proposito a un magistrato e della sua risposta: ma scusate, se un parroco viene invitato, lui non deve essere come un medico che deve andare dappertutto? E il magistrato: Professore, guardi che noi abbiamo intercettato decine di preti che vanno a parlare con i mafiosi. Nel caso di Padre Frittitta, abbiamo avuto le prove che non si limitava a parlare, ma recepiva i messaggi e li andava a portare alla Kalsa. Quindi, il sacerdote lo abbiamo processato perché il suo compito non andava oltre i suoi compiti professionali, istituzionali. Lui è stato condannato in primo grado, poi, assolto in secondo grado. Quindi, ha continuato Cavadi – dal punto di vista giuridico, per quelli che siamo abituati a rispettare le sentenze, era innocente. Allora, questa circostanza sollevò un problema e il Cardinale del tempo, De Giorgi fece stilare una specie di Vademecum per tutti i preti presenti e futuri che stabilisse chi potesse andare a parlare con i mafiosi. Mi ricordo che su questo, organizzammo vari incontri pubblici. Invitammo pure P. Frittitta che si rifiutò di venire a dire la sua opinione. Ma, al posto suo vennero vari preti che difesero ad oltranza, il diritto del prete ad essere al di sopra delle leggi statali; Il Cardinale De Giorgi, istituì una Commissione di cui fecero parte Don Cosimo e Don Franco Stabile. Cavadi ha voluto evidenziare che: A Palermo, per la prima volta nel mondo, una Diocesi ha elaborato dei criteri di comportamento nel caso che un latitante chiami un prete.
Cavadi ha poi chiesto a Don Cosimo: Ci vuoi ricordare quali sono stati questi criteri:
Le indicazioni furono semplici: se il mafioso mi chiama, ci vado. Se vuole fare un gesto di carattere penitenziale, lo aiuto a convertirsi. E quindi, deve venire allo scoperto, perché la riconciliazione con Dio non può prescindere dalla pace con la Chiesa. Don Cosimo ha continuato descrivendo il modello di rapporto con la Chiesa che si proponeva il mafioso, che era basato essenzialmente sul rapporto diretto tra il mafioso e Dio. Per Don Cosimo l’occasione della realizzazione del vademecum fu l’opportunità per effettuare delle opportune precisazioni sul fatto che il mafioso non avrebbe potuto riconciliarsi con Dio, senza accettare: 1. sul versante ecclesiale, la riconciliazione con le vittime che lui ha colpito, 2. sul versante civile, il giudizio della società a cui lui ha recato danno. Il mafioso, viene invitato a presentarsi alla Chiesa per fare un cammino di conversione e quindi, di riconciliazione che metta in conto, non lo scavalcare la storia degli avvenimenti, per avere un rapporto diretto e immediato con Dio, ma incontrando le persone che sono state colpite.
Ha continuato Don Cosimo: nel libro, io ad un certo punto sono inciampato in un testo di Pino Ruggieri, teologo molto bravo. Quando lui insinua che: in fondo, la Chiesa e la Mafia si somigliano. Sembra che la Chiesa sia lo specchio della Mafia, perché è una Comunità parallela allo Stato, che spesso passa per Comunità potente, che ha una capacità di rimodularsi continuamente, di riaggregarsi nelle forme del potere politico e così via. E allora, al di là degli episodi, dice Pino Ruggieri, di singoli mafiosi o di connivenze personali, il problema è di fondo: fino a che punto la Chiesa riesce a presentarsi come una Comunità povera, ricca solo del vangelo che sia per davvero, alternativa a tutte le forme di Dominio dell’umanità? Sul modello di Chiesa, io faccio una serie di semplificazioni: dal modello liberante che è stato ripreso da Rosario, Mazzillo ed altri, della liturgia della Liberazione, di Chiesa capace di incarnarsi, Chiesa che si propone come spazio di apertura per tutti, di partecipazione, di festa, di condivisione, di critica permanente di ogni forma di dominio. Che cosa c’entrerebbe questa Chiesa con quello che ha reso pensabile invece, la costruzione di un sistema mafioso? È stato generato dentro il nostro seno, lo dobbiamo dire – ha asserito Don Cosimo – che ha convissuto per decenni dentro l’Ecclesialità, ma, con ambiguità di grande pesantezza. Quindi, questa decisione la lasciamo aperta, perché deve essere ripresa rigorosamente, perché questa sfida diventa una circostanza importante per una conversione della Chiesa.
Concludendo Don Cosimo ha esposto il modello ideale di comunità ecclesiale con questa parole: Quindi se noi riuscissimo a immaginare piccole comunità, dove si vive democraticamente, insieme decidiamo cosa vogliamo fare, ci muoviamo nel territorio, costruiamo, mettiamo cose belle da realizzare, e sottraiamo la presenza mafiosa, così diamo spazio alle famiglie, ai bambini, di poter stare insieme e di essere capaci di autodeterminarsi, senza che ci siano padroni, padrini di nessun genere, perché tutti dobbiamo essere liberi ed abbiamo qualcosa da dire e da dare, oltre che da ricevere e da mettere in circuito. In fondo se, la piccola chiesa del territorio comincia a riconfigurarsi in questa maniera, questa mi sembra l’alternativa.
Riprendendo la parola il Prof. Cavadi: è la teologia che sta alla base della Chiesa Cattolica che deve cambiare. Riferendosi a Don Cosimo e Don Francesco, Cavadi asserisce “loro due sono convinti di cambiare questa chiesa anche se non si scardina l’idea teologica, lo Statuto, la Costituzione di questa chiesa.
TrinacriaNews.eu ha intervistato Don Cosimo. Di seguito il resoconto dell’intervista.
D. Siamo in una fase in cui il corpo dei Magistrati viene attaccato soprattutto da certe correnti politiche, realizzando da parte dei primi un certo isolamento. Dall’altro c’è la Chiesa che viene considerata quella che potrebbe sostenere anche i Magistrati quali membri del corpo della Chiesa. Quale risposta concreta può dare quest’ultima rispetto al bisogno di protezione dei Magistrati che combattono la mafia e la criminalità organizzata, come fa il movimento “Scorta civica”, per esempio, visto che la Chiesa la si è vista avulsa da questo attivarsi?
R. Credo che la Chiesa dovrebbe cautelare il servizio che la Magistratura rende perché compete proprio alla Magistratura difendere la Comunità dalle infiltrazioni mafiose. Una cosa semplice che si potrebbe fare sarebbe quella di esprimersi pubblicamente e dare la propria solidarietà. Io personalmente l’ho fatto.
D. Ma solo lei? Sarebbe auspicabile un maggior intervento della Chiesa in generale, sia per il PM Di Matteo, che per l’intero corpo dei Magistrati e funzionari esposti a minacce e intimidazioni, considerato che, le prese di posizione ad ora attuate sono state timide e sporadiche?
R. A livello istituzionale, ci vorrebbero maggiori interventi quando avvengono fatti, intimidazioni, minacce, proiettili che vengono fatti pervenire a persone che svolgono il loro servizio ed anche una presa di posizione netta.
D. Qual’ è la risposta dei mafiosi rispetto all’annuncio del messaggio evangelico? Lei ha potuto cogliere un ravvedimento rispetto alle azioni commesse da costoro?
R. Io non ho avuto molti contatti con i mafiosi ed ho l’impressione che, il primo atteggiamento è quello di difesa, come se i mafiosi volessero salvaguardare tutto il sistema che, per loro prevede, non solo l’appartenenza all’associazione mafiosa, ma anche una qualche appartenenza alla Chiesa, che per loro corrisponde ad una struttura parallela allo Stato, tramite congregazioni e cose simili. In tale contesto, i mafiosi, fingendo di fornire dei servizi invece, esercitano il loro dominio. Allora, a questo punto, la mia insistenza si sposta subito nel Vangelo. Faccio loro notare che, appartenere alla Chiesa e non al Vangelo di Gesù Cristo significa illudersi. Quindi, sto insistendo molto, quando mi capita di parlare direttamente o indirettamente, per dire che non basta affermare: io sono cattolico, io ho ricevuto i sacramenti, ma rispondere alla domanda secondo cui, Gesù è morto per i nostri peccati; tra Gesù e la mafia non c’è compatibilità. Gesù ha dato la propria vita per fare vivere gli altri. Il mafioso fa morire gli altri e vuole “campare sugli altri”, o col pizzo, o col dominio del territorio e quindi, metto in evidenza sempre questa inconciliabilità tra l’appartenenza a Gesù Cristo e l’appartenenza religiosa, con cui il mafioso crede di potere “legittimare” la sua appartenenza mafiosa..
D. Ci sono delle problematiche che sono state sollevate, riguardanti il contesto locale in cui la Chiesa si impegna e per le quali si realizza una sorta di impotenza rispetto ad un disagio ed un malessere che sono più grandi delle forze e i mezzi della Chiesa locale. Perché non si è pensato di volere sottoporre tali problematiche così complesse ad un Concilio, in cui il Papa potesse fornire una sorta di decalogo che potesse meglio “disciplinare” il fenomeno di convivenza, all’interno della Chiesa, della presenza mafiosa e prendere una posizione netta di “alto spessore” da diramare poi ai cardinali, ai vescovi etc.?
R. C’è un capitolo nel mio libro in cui si parla proprio delle prese di posizione ufficiali del Magistero rispetto a questo fenomeno che ci sono state, in un crescendo, anche abbastanza articolato, che è partito dai Vescovi, dalla Conferenza Episcopale Siciliana, da quella Calabra, poi dagli interventi del Papa, poi dai documenti della CEI, in un bellissimo documento sulla legalità, e un altro, “Chiesa e Mezzogiorno,” dove si denunciano i mali del Mezzogiorno, la mafia. Queste sono le prese di posizione, nette, chiare. Il problema è un altro.
D. Cioè? Come si traducono queste prese di posizione ad oggi? Possono diventare progettualità pastorali nella vita di tutti i giorni, nella comunità? E’ necessario questo passaggio.” In teoria” ci sono abbastanza prese di posizione. Tuttavia, queste prese di posizione non si traducono in atti concreti?
R. Con Don Francesco Stabile, da anni abbiamo chiesto che “la Chiesa locale faccia diventare progetto pastorale questa scelta del vangelo che neutralizzi la mafia”. Ma non l’abbiamo ancora elaborato.
D. Il titolo che lei ha deciso di dare al libro: “Liberaci dalla mafia, o Signore”, questa esortazione, cosa vuole esprimere?
R. Il titolo vuole esprimere il concetto che la resistenza alla mafia da parte della Chiesa comporta, da un lato, che si disponga ad “”accogliere come dono di Dio questa liberazione”; dall’altro lato, che questa liberazione richiede anche la collaborazione da parte della comunità. Comunità che, se si vuole caratterizzare accogliendo la liberazione come dono di Dio, deve essere una comunità povera, che vive nel servizio, che costruisca, come alternativa alla realtà mafiosa, come luogo di partecipazione, di libertà e di creatività.
D. Parlando dello IOR, lei ha messo in evidenza la necessità di costruire una comunità povera, che si contrappone alla Banca. Questa è stata “ingolfata” di finanziamenti di provenienza illecita e frutto di riciclaggio di danaro sporco, che l’hanno resa tutt’altro che povera. Qual è l’orientamento attuale e quali sono le azioni che si stanno seguendo per rendere tale banca “povera e soprattutto legale ?
R. Già, Benedetto XVI ed ora ancora di più, Papa Francesco, quale vescovo di Roma, stanno facendo di tutto perché lo IOR entri nella “White list”; affinché sia una Banca che, dal punto di vista dell’amministrazione, sia totalmente trasparente. Secondo le indicazioni di Papa Francesco, questa banca deve essere pensata anzi, ripensata al servizio dei popoli poveri.