Palermo – Presso l’Auditorium SS. Salvatore, alla presenza di un pubblico numeroso, le immagini più significative della vita di don Giussani hanno dato l’avvio alla presentazione del libro Vita di don Giussani, biografia a lui intitolata dal giornalista Alberto Savorana, suo stretto collaboratore e amico, che con scrupolo e precisione documentaria ha dedicato svariati anni alla ricostruzione delle fonti e avvenimenti della sua vita per la stesura del suo corposo e imponente libro.
Don Giussani, uomo di chiesa di grande carisma, ha influenzato e modificato la storia della Chiesa insegnando ai giovani il messaggio delle sacre scritture e, calandosi nella vita reale e quotidiana, li ha guidati nell’incontro con Cristo. Oggi, a nove anni dalla sua scomparsa, egli continua ancora a esercitare la sua paternità su tanti che, pur non avendolo conosciuto personalmente, seguono i suoi insegnamenti attraverso il movimento ecclesiale da lui fondato, Comunione e Liberazione, diffuso in 80 paesi nel mondo.
Durante la presentazione sono stati eseguiti due canti significativi nell’esperienza di don Giussani, il primo, Povera voce, è il primo canto nella storia di Comunione e Liberazione composto nel 1957 da una ragazza di diciassette anni; il secondo, Noi non sappiamo chi era, che don Giussani chiese di ascoltarlo negli ultimi giorni di vita.
Alla presentazione del libro sono intervenuti S.E. Cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo, l’autore del libro, Alberto Savorana, padre Gianfranco Matarazzo, direttore dell’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe e futuro Provinciale dei Gesuiti d’Italia e Albania e il magistrato del distretto di Caltanissetta Giovanbattista Tona. Ha fatto da moderatore Salvatore Taormina, Responsabile Diocesano di Comunione e Liberazione.
Dopo una breve introduzione di Salvatore Taormina è intervenuto S.E. il Cardinale Paolo Romeo che ha rivolto un ringraziamento particolare ad Alberto Savorana, che con il suo meticoloso lavoro è riuscito a far conoscere al mondo don Giussani. Una figura di sacerdote – ha affermato – che ha cambiato il corso della storia, aiutando tanta gente a capire Dio nella quotidianità della vita reale e l’attingere ancora al suo carisma, che è sempre vivo, ci fa vedere come lui continua ad operare oggi dal cielo assistendo e sostenendo il lavoro di coloro che, interpellati da questo carisma, si avvicinano al Signore. Ha poi parlato dell’unica esperienza da lui vissuta personalmente riguardo a don Giussani: i suoi funerali, dicendo: Ero lì nel duomo e ho potuto vedere questa folla immensa che, se da una parte aveva un grande dolore per la sua dipartita, però era la festa della sua ascensione, quella sera non si viveva un dolore disperato perché si sapeva che la sua testimonianza era qualcosa che non finiva quel giorno. La figura di don Giussani, come per noi qui a Palermo quella di padre Pino Puglisi, è una figura viva, che risplende nel mondo intero. Questa è la dinamica del Vangelo, di queste persone sante innamorate di Dio, che riflettono la Sua luce.
Successivamente è intervenuto padre Gianfranco Matarazzo, che a partire dalla lettura del libro ha esaminato vari aspetti del carisma di don Giussani ed esposto dettagliatamente l’importante ruolo da lui rivestito all’interno della Chiesa. Il Cristianesimo – ha asserito – non costituisce un sistema culturale, né un insieme di norme di carattere etico o di riti e pratiche liturgiche. Esso suggella il vangelo,l’incontro personale da parte dell’uomo con Dio. Ma accade ciclicamente che nella storia del Cristianesimo si perda di vista l’essenza della nostra fede. Esistono delle insidie esterne ed interne al Cristianesimo che don Giussani è riuscito ad identificare: una grave ignoranza della nostra fede benché il Cristianesimo sia diffuso in tutte le scuole con i crocifissi e l’ora di religione, lo scetticismo della gente e la non incidenza della fede sul comportamento sociale. Egli ha dunque saputo cogliere le reali esigenze dell’uomo, che avendo esperienza di tante sofferenze e rotture, ha bisogno di trovare nella Chiesa quel permanere della grazia del principio. Così, calandosi nella vita reale e incontrando la gente nei suoi luoghi quotidiani, don Giussani ha scelto di investire nella scuola pubblica e di seguire i giovani. Ha poi concluso riservando una particolare menzione ad Angelina Gelosa, operaia tessile e poi casalinga, madre di don Giussani, affermando: Per lui la mamma ha raccolto la trasmissione della fede degli apostoli in prima persona. Pur non avendo fatto cose grandissime, ha avuto il ruolo importante di occuparsi di lui e dei suoi fratelli. Le sue parole di fede erano parole di fede concrete, pertinenti alla vita. Don Giussani si accorse che la mamma con i suoi giudizi dettati dalla fede era segno di Dio. Ella lo era per la fede di quel ragazzo,la trasmissione della fede si è servita di un’operaia tessile e madre di famiglia.
Giovanbattista Tona ha, invece, espresso l’angolo di visuale laico e da magistrato che si confronta continuamente con la complessità della realtà quotidiana ha colto nel libro un tema che si ripete , che ha caratterizzato tutta la vita di don Giussani. Tutto il racconto – ha dichiarato – è permeato dalla ricerca dell’essenziale, l’intransigente intolleranza di chi non ha un’opinione, una battaglia contro la pigrizia, l’ignoranza, il non porsi il problema del conoscere. La ricerca viene fatta nei momenti di vita quotidiana e la risposta all’interrogativo della nostra esistenza per lui è Gesù.Riguardo poi al tema della giustizia ha affermato: Noi oggi siamo abituati a cercare la soluzione in una regola formale, tendiamo a diffidare della coscienza e il giusto e l’ingiusto lo parametriamo a delle regole. Questo ci ha portato a evadere le domande, ad avere una pretesa di giustizia che prescinde dall’impegno di ognuno di noi, che è una menzogna e che può avere la radice dell’ingiustizia.
In conclusione è intervenuto Alberto Savorana che ha illustrato i punti salienti del libro a partire dal momento in cui è cambiata la vita di don Giussani, dicendo: La vita di don Giussani sbocciò, dopo essere stata coltivata da bambino in famiglia, all’età di quindici anni, quando si è verificato un avvenimento che ha cambiato la sua vita. Un suo professore di liceo, don Gaetano Corti, è salito in cattedra, ha aperto il Vangelo e ha iniziato a leggere il prologo di Giovanni. Quello fu per lui il bel giorno, il giorno in cui egli capì che Cristo è la risposta alle domande e ai bisogni dell’uomo. Tutta la vita di don Giussani fu dunque incentrata sulla ricerca dell’essenziale, perché per lui l’essenziale era Cristo nella quotidianità dell’esistenza. Infatti lui diceva che da quel giorno di quella sua prima liceo, di quella sua scoperta, l’istante non fu più banalità, ogni istante per lui diveniva segno e si caricava di significato. Successivamente ha spiegato le motivazioni della scelta di don Giussani di abbracciare l’insegnamento ai giovani, asserendo: Confessando dei ragazzi liceali di Milano don Giussani si rese conto che tutta la grande e ricca apparenza della Chiesa ambrosiana nascondeva un letargo e c’era qualcosa che si era spento: l’essenziale. Questi ragazzi confessandosi raccontarono che quando i professori a lezione parlavano male dei preti, della Chiesa e della religione, loro non sapevano cosa rispondere. E così ebbe la sua grande intuizione interpretativa: non era colpa loro, questa ignoranza era dovuta a una mancanza di educazione. Nessuno aveva insegnato loro un metodo del verificare se la buona notizia cristiana e la fede fossero utili per vivere la loro vita nella circostanza concreta dell’essere a scuola. Secondo me questo segnò la svolta nella vita di don Giussani, che lo avrebbe portato a lasciare la carriera teologica per abbracciare l’insegnamento della religione al Liceo Berchet di Milano.Questo lo ha portato a confrontarsi per tutta la vita con la realtà, senza alcuna paura del mondo moderno che stava prendendo una strada diversa.
In occasione della presentazione, la redazione di TrinacriaNews.eu ha rivolto alcune domande all’autore del libro Alberto Savorana e a padre Gianfranco Matarazzo, direttore dell’Istituto Pedro Arrupe . Questi i contenuti delle interviste:
Alberto Savorana
Come è avvenuto l’incontro con don Giussani? Ci può parlare di lui come uomo e amico?
E’ stato un incontro assolutamente normale, nei primi anni dei miei studi universitari. Frequentavo l’università a Bologna ed ebbi l’occasione di fare un viaggio a Milano, dove lo incontrai assieme a dei giovani e mi colpì subito l’interesse che dimostrò per noi. Non ci aveva mai visto eppure ci accolse come un padre, mostrando curiosità e interesse verso di noi. Questo fu il primissimo incontro che poi si è approfondito di anno in anno fino al 1985, quando il mio lavoro ha coinciso con un rapporto stretto e stabile con don Giussani, che è durato venti anni, fino al giorno della sua morte.
Leggendo il suo libro si può anche ricostruire la storia del movimento Comunione e Liberazione, fondato da don Giussani e oggi diffuso in oltre 80 paesi nel mondo. Cosa ci può dire di questo movimento ecclesiale e con quale scopo è nato?
E’ nato per la volontà di don Giussani di comunicare a tutti la bellezza dell’esperienza cristiana, che lui per primo aveva scoperto dai genitori e dai suoi anni di seminario. Giussani non voleva fondare il movimento, lo ha detto in più di un’occasione, anche nell’ultima lettera che scrisse a Papa Giovanni Paolo II, oggi santo. Lui non voleva fondare nulla, ma semplicemente comunicare gli elementi fondamentali dell’esperienza cristiana. Questo lo ha reso interessante e affascinante per tanti giovani, che hanno cominciato a muoversi intorno a lui. Così è nato il movimento e don Giussani in qualche modo ci ha sorpreso: che dalla sua vita di insegnante in una scuola di Milano fosse nato per attrattiva e fascino esercitati dalla sua persona un movimento, che lui stesso si è messo a seguire. Il movimento all’inizio si chiamava Gioventù Studentesca e poi, dopo la grande crisi del’68, prese il nome di Comunione e Liberazione, un nome assegnato da un gruppo di studenti universitari che nel ’68 fecero un volantino intitolato Comunione e Liberazione. Giussani lo vide un giorno appeso ad un muro e riconobbe che era nato qualcosa che non aveva programmato lui, ma che da quel momento descriveva la sua vita insieme a quei ragazzi.
Alla luce degli studi e ricerche da lei svolti nel corso di questi anni per la stesura del libro, l’insegnamento di don Giussani quanto ha da dire ai giovani studenti?
Che la cosa fondamentale per un uomo è non trascurare le domande del proprio cuore, perché per don Giussani il Cristianesimo si offre come risposta a qualcuno che cerca seriamente un motivo per vivere. Perché per don Giussani Cristo, la Chiesa, la religione e i comandamenti diventano incomprensibili, quindi inutili, se l’uomo non è cosciente del proprio bisogno umano e se non è cosciente che al proprio bisogno umano l’uomo con le sue forze non sa dare risposta. Per questo don Giussani riconobbe e incontrò il Cristianesimo in seminario giovanissimo, come risposta a queste domande. Questo credo sia il più grande insegnamento: che per essere cristiani bisogna essere innanzitutto uomini.
Padre Gianfranco Matarazzo
Don Giussani ha percorso e realizzato i due supremi imperativi di Papa Wojtyla: l’armonia di fides et ratio, cioè la religione come realtà vivente e il fare della fede cultura, quindi la religione che unisce gli uomini e fa civiltà. Lei cosa ne pensa?
Credo che sia un’espressione molto bella di sintesi del pensiero cattolico, che già ci apparteneva come tradizione. Secondo me don Giussani in quel periodo storico un po’ particolare ha saputo in qualche modo ritirarlo fuori e rilanciarlo in maniera originale e di sicuro una testimonianza di questo connubio importante lui è riuscito a darla.
Lei di recente è stato nominato Provinciale dei Gesuiti d’Italia. Cosa comporta per lei tale nomina?
Comporta un cambio di prospettiva, perché l’orizzonte diventa un pochino più ampio e quindi dovrò vedere nell’insieme una realtà che prima concepivo dalla periferia. Sono molto fiducioso, perché in qualche modo questa modalità d’agire ci appartiene, in quanto siamo nati sin dall’inizio come un gruppo non legato a uno specifico territorio, capace di starci e di lavorarci, ma anche capace di assumere altri incarichi. Per cui inizio questa esperienza con spirito di servizio, naturalmente anche con un po’ di timore, ma al tempo stesso anche con fiducia che la provvidenza saprà mettermi in condizione di fare la mia parte.
Don Giussani ha incentrato la sua vita sull’insegnamento ai giovani, un po’ come ha fatto lei all’interno dell’Istituto Arrupe, oggi la Chiesa come si pone dunque nei confronti dei giovani?
Secondo me ne riconosce di sicuro la priorità assoluta e riconosce anche la delicatezza dell’impostazione a livello formativo. Al tempo stesso ci sono delle differenze oggettive che vanno riconosciute, per cui i risultati ancora non sono proporzionali all’investimento effettuato, ma c’è un processo in corso. Ecco io direi che concentrandoci sul processo in corso, sugli investimenti, sulle collaborazioni e sulle sinergie c’è da essere molto fiduciosi e i frutti alcuni si vedono, mentre altri ancora hanno bisogno di attesa.