Palermo – L’evento, giunto alla sua XXVI edizione, è stato organizzato dal Comune di Grotte (AG) con l’anteprima nella cornice suggestiva dei giardini reali del Palazzo dei Normanni, e poi la conclusione a Grotte, con la premiazione da parte della giuria popolare del libro “Malerba” di Carmelo Sardo.
Per l’edizione 2014 il premio, fondato nel 1980 con l’allora presidenza di Leonardo Sciascia, si è svolto in collaborazione con la Fondazione Federico II.
I tre finalisti del premio hanno incontrato il pubblico e la stampa, parlando dei loro libri.
In particolare: Caterina Chinnici con il volume “E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte” (Mondadori) ha raccontato suo padre Rocco Chinnici, il magistrato antimafia trucidato barbaramente da Cosa nostra, riferendo i risvolti privati di famiglia ed il suo vissuto di figlia; Salvatore Falzone, con il giallo “Piccola Atene” (Barion) ha riferito di un giovane casuale“investigatore” che indaga nella provincia di Caltanissetta, considerata un tempo, dallo stesso Sciascia, la piccola Atene, appunto, costruendo un racconto che si svolge tra mafia e antimafia; infine, Carmelo Sardo con “Malerba” (Mondadori), scritto con Giuseppe Grassonelli, presenta un documento autobiografico sulla vita di un killer protagonista (appunto G. Grassonelli) e delle guerre di mafia. Killer che in carcere ha intrapreso un percorso di studio (conseguendo una laurea) e di riflessione sul suo passato.
Presenti all’evento gli autori, oltre ai i componenti della giuria. Presente anche il Sindaco di Grotte, Paolino Fantauzzo che ha ricordato al pubblico l’adesione del suo Comune alla “carta di Pisa” – Codice etico per promuovere la cultura della legalità e della trasparenza negli enti locali.- e l’Assessore alla cultura dello stesso Comune Angelo Collura. A moderare l’evento è stato Gaetano Savatteri, scrittore e giornalista, che presiede dal 2010 il Premio Leonardo Sciascia-Racalmare.
Il premio, il cui nome Racalmare si fa derivare dalla fertile contrada distante 15 chilometri da Grotte, è l’unico in Italia dedicato al grande scrittore di Racalmuto e nella sua vita più che trentennale ha avuto come presidenti lo stesso Sciascia, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo. Tra i premiati delle precedenti edizioni: Matteo Collura, Manuel Vazquez Montalban, Andrea Camilleri, Fabio Stassi e moltissimi altri autori di prestigio.
I tre libri si caratterizzano per essere legati da un unico filo conduttore che è non solo la mafia, ma anche l’etica, la responsabilità, la scelta, la colpa, la condanna e il mistero siciliano.
Il vincitore del premio,Carmelo Sardo, a ridosso della premiazione ha scritto su facebook. Sono onorato e orgoglioso di questo premio che condivido con tutti coloro che credono nel recupero e nel riscatto anche di chi ha sbagliato e sta restituendo. E sappiamo che anche Sciascia ci credeva.
I premi per i finalisti e per il vincitore sono stati offerti dalla CMC di Ravenna (Cooperativa Muratori Cementisti e Carpentieri), impegnata in Sicilia in alcune grandi opere pubbliche, tra cui i lavori di raddoppio della SS 640 Agrigento-Caltanissetta – la cosiddetta “strada degli scrittori” e l’ammodernamento della “Palermo-Agrigento”.
TRINACRIANEWS.EU è stata ai giardini reali del Palazzo dei Normanni per intervistare:
GAETANO SAVATTERI
Il premio dedicato al grande scrittore di Racalmuto, Leonardo Sciascia, su un tema scottante, i cui temi sono solo mafia e antimafia ma, anche tra i tre autori c’è il senso di responsabilità, il perdono, l’etica, l’impegno. E’ un messaggio che si vuole dare, questo strana coincidenza?.
R. No, noi ci muoviamo dentro temi strettamente sciasciani che sono quelli della letteratura civile, dei diritti, della giustizia, della lotta alla mafia, della lotta alla retorica antimafia. Quindi, abbiamo scelto quest’anno questi tre finalisti che raccontano questi fenomeni attraverso tre punti di vista diversi.
D. Il fatto che, tre tra tanti candidati, siano stati scelti proprio questi tre finalisti cosa ha determinato tale scelta?
R. E’ il file rouge proprio che contraddistingue i tre libri e che, per la prima volta dopo 26 anni, questo premio letterario “Sciascia Racalmare si sta occupando di mafia. Un premio dedicato a Leonardo Sciascia che è stato il primo a raccontare della mafia all’Italia e al mondo.
SALVATORE FALZONE
D. Cosa la spinge dalla provincia nissena a scrivere un libro di mafia e antimafia?
R. L’osservazione della realtà quotidiana. Volevo scrivere un libro che parlasse della provincia siciliana, quella dell’entroterra che io conosco, a partire dal tema centrale del libro che è “Il Potere”. C’è poca mafia nel libro in realtà, semmai c’è l’antimafia. Una porta antimafia di facciata, che viene colta in questa particolare prospettiva: il detective del libro è un giovane appena trent’enne che si chiama Gaspare Lazzara, disoccupato, il quale comincia ad indagare, per risentimento, nei confronti di un deputato del luogo che gli aveva promesso un posto di lavoro, che poi non gli ha dato. Così, incomincia ad indagare sulla morte, apparentemente per infarto, del proprietario di un centro commerciale, costruito al centro della Sicilia. Il giovane è convinto che l’onorevole possa essere, in qualche modo, collegato a questa tragica fine. Quindi, indagando, il giovane finisce invischiato in una situazione che lo porterà a scontrarsi con quella che è l’essenza più vera del potere, visto in Sicilia con i suoi sapori tipici, ma dal respiro universale. Si tratta di un giallo che si inserisce nel solco della tradizione Sciasciana. Ma, un giallo che fa parte della scuola siciliana, di cui Leonardo Sciascia fu il fondatore,a metà strada tra il giallo all’americana e quello inglese, con il tipico finale enigmatico, dove tutto può essere capovolto fino alla fine.
D. Il fatto di trovarsi finalista insieme ad altri due autori, Caterina Chinnici e Carmelo Sardo, i cui libri sono caratterizzati da un file rouge comune che è mafia, antimafia, ma anche la responsabilità, l’etica, la condanna, il perdono. Cosa e suscita questo mix di componenti?
R. Sinceramente, ho rilevato fin da subito la differenza del mio prodotto con quello degli altri due. Infatti, il mio è un libro di narrativa, di una storia assolutamente inventata, gli altri sono a metà strada tra, la saggistica e il racconto forse un po’ più giornalistico.
D. Ma la sua non è una narrativa qualunque, posto che lei ha riprodotto uno scenario, un agire, riconducibili ad un certo target. Che ci dice in merito?
R. Ho fatto un accostamento con la tradizione della migliore letteratura siciliana. Sì, la Sicilia è cambiata, ma il medioevo siciliano è sempre quello: ci sono smartphone, internet, facebook, ma in fondo non è cambiato nulla. Il mio libro, infatti, narra la storia di un compromesso.
D. Cosa vuole offrire ai lettori con il suo libro?
R. Soltanto degli strumenti ermeneutici di interpretazione della realtà. Lì si dovrebbe fermare il compito di un narratore.
CARMELO SARDO
D. Il tiolo del libro”Malerba”, cosa vuol esprimere?
R. Banalmente, era il soprannome con cui da ragazzino chiamavano Giuseppe Grassonelli a Porto Empedocle, il suo paese; facendo riferimento a malerba, erba cattiva.
D. Fu una profezia questo appellativo?
R. No, diciamo che al quel tempo, quando lui aveva 13/14 anni, per quello che mi ha raccontato, frequentava “le cattive strade”, facendo furtarelli ect. Poi stava incominciando ad allargarsi. Hanno fatto la prima rapinuccia, la prima, la seconda, la terza; allora, la famiglia, che era una famiglia per bene all’epoca, gli ha chiesto di andarsene in Germania, altrimenti avrebbe preso, “la strada dell’Aceto”, come dicono a Porto Empedocle, appunto, la cattiva strada.
D. Evidentemente comunque, avrà perseverato?
R. beh, la sua storia ha avuto una svolta clamorosa, perché la cosa più importante da dire sulla storia di Giuseppe Garsonelli, secondo me è questa: lui visse in Germania dai 15 ai 20 anni. Poi, rientrato in Italia per fare il servizio militare e poi è sopravvissuto alla strage di Porto Empedocle, in cui gli hanno ucciso un po’ di parenti. C’era una sorta di regolamento di conti. Cosa nostra ha voluto sterminare i Grassonelli perché c’era un membro della famiglia che ha fatto cose sbagliate. Poi, Giuseppe rimane ferito. Vengono uccisi il nonno, lo zio, un cugino, un amico e due vittime innocenti. Lui se ne ritorna in Germania. I killer di cosa nostra lo scovano e lo trovano anche in Germania. Lui scampa ad altri due agguati e non si rende conto perché lo vogliono morto. Torna in Sicilia, chiede al papà e agli altri zii cosa stia succedendo. Cosa gli viene detto che cosa nostra ce l’aveva con loro perché, lo zio Gigi ha fatto un po’ di cose che non doveva fare. A quel punto lui ha fatto la prima scelta sbagliata della sua vita; cioè, ha deciso che, per sopravvivere, secondo lui era giusto che uccidesse le persone che lo volevano morto. Ha cominciato a mettere insieme un gruppo criminale che sarà battezzato giornalisticamente, “La Stidda”. Così, questo gruppo ha ucciso un bel po’ di capi e di killer di Cosa nostra. A 26 anni è lui stato arrestato e sepolto in carcere.
D. Intervistare una persona in carcere, privata della sua libertà. Cosa ha potuto riscontrare in questa esperienza?
R. Intanto mi sono trovato un uomo completamente diverso da quello che conoscevo quando facevo il giovane cronista di “nera” a Teleacras (Agrigento) e per il quotidiano “L’ora” e raccontavo di mafia nella provincia di Agrigento e lui era uno dei principali protagonisti, ovviamente “in negativo”. Quindi lui conosceva me. Lui ha chiesto scusa. Non ha mai collaborato con la giustizia, in quanto lui non ha nulla da offrire alla giustizia perché si sente “responsabile” di quello che a fatto e quindi, vuole scontare la sua condanna.
D. Questa esperienza cosa ha rappresentato per lei?
R. Un grande arricchimento umano, un grande arricchimento culturale, perché ho potuto conoscere meglio e dal di dentro cosa sia stata in quegli anni” una guerra di mafia”.
CATERINA CHINNICI
D. Nel suo libro lei ha messo in evidenza due aspetti salienti. Quali sono?
R. Innanzitutto, la memoria. Estremamente importante la memoria, che spesso rimane dimenticata e non sempre sappiamo trasmettere ai giovani; mentre per loro, conoscere la storia di chi ha amato la propria terra e si è impegnato per cambiarla, io penso sia uno stimolo fondamentale, importante. L’altro aspetto è legato a questo è la sollecitazione che mi veniva, parlando con i giovani, i quali hanno bisogno di memoria più di quanto noi crediamo, di conoscere non solo, come spesso noi lo consideriamo un eroe, perché ha sacrificato la propria vita nell’attività di contrasto alla criminalità mafiosa, ma di conoscere l’uomo, il padre e allora, io sono partita nel mio libro, raccontando Rocco Chinnici padre, uomo e quindi, il magistrato.
D. E’ una sorta di denuncia involontaria, da parte dei giovani nei confronti del corpo docente e degli stessi genitori, di non avere saputo trasmettere il peso della mafia, dell’antimafia e della lotta ad essa, soprattutto qui, in Sicilia. Cosa ci dice a proposito?
R. Ma guardi, io sempre dico che i giovani ci sorprendono spesso, perché pensiamo che tante cose non le notano, invece no. I giovani hanno una profondità di valutazione delle cose che noi non immaginiamo e poi, sono schietti, quasi crudeli, qualche volta, nelle loro valutazioni. E noi ce ne accorgiamo come genitori. Allora, quello che dice lei ha sicuramente un fondamento. Loro hanno bisogno di queste sollecitazioni e forse, noi non lo facciamo abbastanza, non solo il corpo docente, ma anche i genitori perché hanno ruolo fondamentale nella crescita dei figli. Io dico sempre che i genitori devono essere affiancati alla scuola. Poi ci siamo tutti gli altri, perché tutti gli adulti per i giovani sono modello di riferimento, qualunque sia il nostro ruolo.
D. La sua esperienza, fuori il confine siciliano, da europarlamentare, magistrato, figlia di magistrato, ha avuto una grande cassa di risonanza al nord Italia. Lei , come sta cavalcando questa onda lunga di esperienza, con una testimonianza, forte e autentica?
R. Io avverto forte la responsabilità di essere andata in una istituzione sovrannazionale che ha una connotazione politica, ma che per me politica è impegno in favore dei cittadini, portando un bagaglio di valori e una storia familiare che testimonia questo impegno. Però questo stimolo e questa carica non mi consentirà di avere momenti di scoraggiamento, semmai mi stimolerà ad affrontare le difficoltà che ci sono e che ci saranno, per dare un contributo allo sviluppo della mia terra.
D. Cosa si aspetta da questo appuntamento letterario a Grotte, molto adrenalinico?
R. Ho partecipato a tante rassegne e manifestazioni e ho incontrato tanti ragazzi, ma ogni volta è una emozione. Ringrazio Mondadori, perché ho scritto questo libro con “la garbata violenza” che mi è servita per scriverlo, e per me proseguirà ancora a settembre, questo percorso, con altri appuntamenti, per continuare a parlarne. Oltre che un impegno, è un’emozione in più e un arricchimento in più nella mia vita.