Palermo – Si è tenuta a Palazzo Branciforte la presentazione del libro Politiche per la cultura in Europa. Modelli di governance a confronto (Franco Angeli Editore) dell’assessore alla Cultura del Comune di Palermo Francesco Giambrone.
Alla luce di precisi dati scientifici il manuale, la cui prefazione è firmata da Carlo Azeglio Ciampi, ragiona sulle politiche culturali che potrebbero dar luce ad un settore oggi quanto mai in difficoltà, quello dello spettacolo dal vivo. L’analisi portata avanti è suffragata da un confronto tra il sistema della cultura italiana ed i modelli di politiche culturali di tre importanti paesi europei (Francia, Regno Unito e Germania), che hanno dimostrato nel loro contesto di funzionare. Nel libro l’autore valuta la possibilità di mutuare dagli altri paesi tali esempi, in modo da promuovere in Italia politiche che non mortifichino il settore, ma al contrario lo considerino come uno dei più importanti da finanziare.
Il testo guarda in maniera terza e scientifica alla realtà culturale nazionale ed internazionale, ma riporta anche l’esperienza professionale dell’autore, che è stato Sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo e del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, nonché Presidente del Conservatorio di Musica Vincenzo Bellini di Palermo. Un dato forte che emerge è la discontinuità, l’incoerenza degli interventi, l’incapacità di dare al settore non soltanto le risorse necessarie, ma anche canali certi di finanziamento. Come viene riportato nel manuale, secondo l’Eurispes l’Italia possiede il 60% del patrimonio di beni culturali del mondo, ma lo Stato investe sul settore della cultura solamente lo 0,3% del suo bilancio, contro il 2% della Francia e l’8% della Svezia. Si evidenzia anche come tra il 2004 e il 2010 le risorse assegnate abbiano subito una riduzione del 30%, passando dallo 0,34% allo 0,21%. Ciò significa che per ogni 100 Euro spesi lo Stato dedica alla cultura solo 21 centesimi.
In occasione dell’evento, la redazione di TrinacriaNews ha incontrato Francesco Giambrone, il quale ci ha esposto i dati e le conclusioni alle quali è giunto in seguito alla sua analisi comparata. Ecco le domande che abbiamo rivolto.
Quali cambiamenti ed innovazioni possono dar via a politiche culturali efficaci in Italia?
In Italia c’è un grande lavoro da fare per alcune ragioni principali. La prima legata alla mancanza della consapevolezza dell’importanza delle politiche culturali. Bisognerebbe partire da lì, finanziando la cultura proprio in questo periodo di crisi. Molti paesi, anche quelli ad impronta più liberista come quelli del mondo anglosassone, investono come misura anticiclica in cultura, ricerca, formazione ed innovazione. È il contrario di quello che facciamo noi. La seconda ragione riguarda la creazione di un modello in cui le varie istituzioni che concorrono al finanziamento delle politiche culturali si parlino, si confrontino, facciano un tavolo comune per capire in quali casi è necessario un intervento dello Stato, della Regione, del Comune, delle Province e dei privati. Si tratta di una sorta di tavolo di perequazione. Se già facessimo queste due cose forse saremmo abbastanza avanti, ma esiste un altro aspetto da considerare. Si parla sempre di investimenti per le attività e troppo poco di investimenti per le infrastrutture.
Nel suo libro un capitolo è dedicato alle “politiques culturelles” francesi. Cosa si intende per “monarchie culturelle”?
La Francia è il paese che più di tutti ha avuto un’attenzione particolare per le politiche culturali. La conferma è data dal fatto che l’investimento della Francia è sempre intorno al 2% , forse anche un po’ di più. È anche un paese in cui in misura maggiore esiste una dimensione di accentramento delle politiche culturali sullo Stato. Questo è il senso dell’espressione “monarchie culturelle”.
Dalla sua analisi comparata a quali conclusioni è giunto?
Gli altri modelli ci insegnano che è necessario, giusto e strategico un intervento pubblico a sostegno delle politiche culturali, tanto più in tempi di crisi come quelli attuali. Questo intervento sulla cultura, sulla formazione, sulla ricerca e sull’innovazione lo stanno facendo tutti i paesi importanti del mondo occidentale: la Francia, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania, la Svezia. L’Italia che dovrebbe essere il paese con la maggiore quantità di patrimonio artistico invece taglia i finanziamenti. Bisogna ricominciare a capire che l’investimento in politiche culturali è conveniente per il paese. Se non si comprende questo non andiamo da nessuna parte, non abbiamo nessuna possibilità di sciogliere questo nodo.
Alla presentazione sono intervenuti anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ed il direttore generale per lo Spettacolo dal Vivo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali Salvatore Nastasi. Gli interventi sono stati coordinati da Laura Anello.
Salvatore Nastasi è intervenuto sul tema dei finanziamenti della cultura, esprimendo il suo punto di vista sulla questione. Nella prima parte del libro – ha affermato – ho trovato una seria critica alle politiche ministeriali degli ultimi vent’anni anni. Ritengo si tratti di una critica assolutamente giustificata. Sono d’accordo con i tre grandi errori della politica culturale italiana citati nel libro. Il primo è la commistione tra politica e finanziamenti. Non che sia per forza negativo, ma un modello che per i finanziamenti si basa sulla scelta fiduciaria di un ministro rispetto ad un direttore generale o a delle commissioni ministeriali è un modello che, per quanto possa essere trasparente, ha comunque delle distorsioni. Il secondo errore è l’incapacità di rinnovare le norme che regolano il settore dello spettacolo dal vivo. Immaginate che esso ha una sola legge di riferimento, la n. 800 del 1967. Da allora non è cambiato nulla. Il terzo errore, il più grave, è quello di aver tenuto i finanziamenti per il sostegno della cultura sempre all’ultimo posto della scala gerarchica. In Francia esiste una soglia psicologica, per cui il finanziamento pubblico della cultura non è mai inferiore all’1% del bilancio dello Stato. In Italia nel 2001 il Ministero dei Beni Culturali aveva un bilancio di 3 miliari di euro, oggi 1,4 miliardi. La responsabilità di una scelta del genere è della politica che ha scelto deliberatamente di ridurre gli stanziamenti, di non dotarci di una legge unitaria dello spettacolo dal vivo. Si è scelto di non intervenire in maniera pesante sul settore che in realtà ne ha davvero bisogno. La vera novità – ha continuato – è che il Presidente Napolitano ha spinto le forze politiche a varare, lo scorso 08 agosto, un apposito decreto legge in tema di cultura dopo quasi vent’anni. Si tratta del cosiddetto “decreto valore cultura”. La prima novità riguarda un aumento considerevole del fondo unico per lo spettacolo con quasi ottanta milioni in più per i beni culturali. La seconda riguarda l’introduzione di benefici fiscali tra i più liberali in Europa, il cosiddetto “tax credit”, convincendo i privati ad investire nel mondo dello spettacolo. Il governo Letta ha deciso di non investire esclusivamente attraverso il sostegno in maniera diretta, ma di investire anche sulla leva fiscale, sostenendo che l’attrazione dell’investimento sia importante per scardinare un sistema ormai involuto.
Anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando è intervenuto sul tema della cultura e delle politiche ad essa correlate. Abbiamo un’idea di cultura come bene di natura che nasce spontaneamente – ha affermato – in questo probabilmente siamo condizionati dal fatto di possedere un grande patrimonio culturale. Vi è una sottovalutazione generale, in quanto manca la sensibilità rispetto alla fatica del produrre. Manca la consapevolezza che l’attività culturale sia un’attività professionale. Un paese come il nostro tratta allo stesso modo il bene culturale e l’artista. Quest’ultimo viene considerato come un evento di natura che sopravvive a noi, anche se non facciamo nulla per lui. Quest’anno – ha continuato – il bilancio di previsione del Comune registra un sensibile aumento di investimenti per la cultura; si tratta di somme modeste, ma abbiamo scelto comunque tre settori da promuovere: la scuola, la cultura e le attività sociali.