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Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno II - Num. 13 - 27 settembre 2014 Amarcord

La Palermo che non c’è più

di Pierluigi Scardino
         

chiesa santa rosaliaA vederla con gli occhi del viaggiatore contemporaneo, Palermo è un composito disordinato di edifici, antichi e moderni, saracinesche chiuse, strade spesso dissestate.

Si assiste da spettatori meravigliati e straniti alla magnificenza di una grande città, ed allo stesso tempo al torpore e allo scadimento di una megalopoli mai troppo moderna, mai troppo accogliente, soprattutto per chi da fuori la sceglie per una visita.

Potrà sembrare alquanto strano, tanto al viaggiatore quanto al cittadino, pensare che tanta abbondanza di vestigi di cui Palermo godeva sia stata in parte cancellata per sempre, sia da eserciti e sovrani che in ogni tempo vi dimorarono, assetati di esibizione dinanzi al popolo, sia, in tempi recenti, dalla più becera speculazione edilizia caratterizzata da un’altra sete: quella del malaffare.

Partendo dal cuore antico di Palermo, nessuno di noi può aver contezza di quello che era il suo tessuto urbanistico, che vide forse nel cosiddetto “taglio” della via Roma (conclusa nei primi anni del ‘900) la sua ferita più profonda.

Se potessimo andare per mezzo di una macchina del tempo fino al periodo preunitario, potremmo vedere, laddove oggi c’è una delle arterie più importanti della città, un susseguirsi di conventi, residenze e chiese.

Tra queste la seicentesca chiesa di Santa Rosalia allo Stazzone, condannata alla distruzione nel 1922 per la realizzazione del tratto di via Roma più vicino alla Stazione Centrale. I suoi affreschi, opera di Pietro Martorana, si credeva fossero finiti in rovina insieme alla chiesa. Una parte di essi sono stati invece ritrovati, e mostrati per un breve periodo al pubblico a Palazzo Abatellis.

Spostandoci sull’altro fronte del centro storico, quello più legato al mare, potremmo riconoscere l’antica zona di Piedigrotta, insistente nei pressi dell’attuale  piazza XIII vittime.

A fare le spese dei cannoni borbonici prima, e delle bombe della Seconda Guerra Mondiale poi, furono tra gli altri il Castello a Mare, di cui della sua fortezza oggi rimane ben poco, e la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, che sorgeva laddove oggi è ubicato il mercato ittico. Ad essa è legato un episodio avvenuto nel 1590, quando un pontile crollò letteralmente sotto i piedi del popolo festante giunto lì per l’approdo del vicerè Albadelista da Messina, noto già alle cronache dell’epoca per essere un infallibile iettatore. Il crollo provocò la morte per annegamento di centinaia di persone.villa geraci di pisa

Facendo un salto in avanti, e spostandoci nei primi del Novecento nell’attuale centro direzionale di Palermo, potremmo ammirare le bellissime ville liberty dei facoltosi dell’epoca, quelli che la Palermo più verace chiamava spregevolmente “rignicoli” .

Lungo la strada che lo attraversa, via Notarbartolo, il primo edificio presente dopo la villa Cusenza di piazza Alberico Gentili (anch’essa demolita) è Villa Varvaro, costruita nel 1892, ed attorniata da un grande giardino. Parte di questi terreni furono utilizzati anche come campi di calcio del neonato “Palermo football club”. La villa venne abbattuta nel 1953.

Poco più avanti il villino Geraci-Di Pisa, costruito nel 1913 da Gaetano Geraci, artista molto amato del tempo, e raso al suolo nel 1969 da parte, anche questo, di scellerati costruttori, che con tanto di denaro sonante convinsero i proprietari a mettere la parola “fine” su quel delizioso esempio di architettura, ritenuto troppo ingombrante per l’avidità della città nuova.

Spostandoci sull’ortogonale via Libertà, si ricordano tra tutti villa Deliella, famosa per esser stata distrutta in una notte, proprio un giorno prima che entrasse a far parte dei beni sottoposti a vincolo architettonico, e Villa Rutelli.

Queste sono alcune delle testimonianze di una Palermo che non c’è più. Forse meno confortevole, ma di sicuro più amante del buon gusto e non trasformata da innumerevoli scempi

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