Ho vissuto da spettatore privilegiato, seduto sul palco d’onore della giovinezza, una favola vera che ha per morale il “piacere” della fatica, del sudore della fronte e del rispetto per la natura e di inconsapevoli ecologisti. In estate, o ‘na stasciuni (vale per estate e per raccolto) si viveva la “magia” della raccolta del grano. Magia, certo, perché ogni gesto, ogni istante di quelle calde ore di luglio erano vissute come momenti di grande attesa e conclusione di un anno di lavoro. Il contadino faticava dalla semina, alla mietitura (a mano con la falce) e poi a pisata, cioè la separazione dei chicchi di grano dallo stelo. Lo stelo veniva triturato, diventando paglia e foraggio per gli animali, mentre i chicchi di grano rappresentavano la “ricchezza”. Era davvero un rito!
La prima scelta fondamentale era quella “di l’aria”, dell’aia. Doveva essere posta in un tratto il più possibile pianeggiante, ma, requisito fondamentale, in una zona ventosa. E qui scendeva in campo tutta l’esperienza del contadino, che quasi mai era il proprietario del terreno, ma mitatieri (mezzadro), – si stipulava una forma particolare di contratto fra il proprietario del terreno e chi materialmente lo coltivava, il mezzadro appunto, e a fine stagione il grano raccolto veniva diviso a metà. Il mezzadro era il vero abile conduttore del terreno da coltivare.
Trovata la giusta posizione dell’aia si portavano i gregna (i covoni) per la triturazione che era “affidata” agli zoccoli degli animali, solitamente mule – incrocio fra asino e giumenta – e si partiva per la vera e propria pisata. Il contadino entrava nell’aia munito di zotta (frusta) e con l’ausilio di un bicchiere di vino iniziava una serie interminabile di santiuna (un misto di parolacce e bestemmie) che servivano a far correre la coppia di mule. Si andava avanti per vari giorni, fino a quando i covoni erano tutti triturati. Da questo momento risultava fondamentale la scelta del posto dell’aia e ci si affidava al vento. Già, perché adesso si doveva separare il grano dalla paglia. Strumento fondamentale era il tridente, fatto esclusivamente di legno. Appena cominciava a soffiare il vento, con il tridente si sollevava per aria il triturato e la paglia (da cui il termine a spagliata) più leggera si adagiava ai bordi dell’aia e il grano più pesante cadeva a terra. Facile a dirsi, ma quanta quanta fatica. L’unico non tanto benedetto riposo avveniva se non minava (soffiava) il vento. Che a volte durava per giorni interi fra gli improperi del contadino, del padrone e della spigolatrice, che attendeva la fine della pisata per iniziare il suo lavoro di raccolta della spighe rimaste nel campo. Poi il vento riprendeva e con un gran tuffo sul mucchio di grano, noi bambini eravamo i padroni del mondo e ricchi di felicità.
Poesia in vernacolo di PietroCiccarelli
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‘A VERA RICCHIZZA
Quannu minava lu vintu |
LA VERA RICCHEZZA
Quando soffiava il vento |
*Il tumolo, oltre che unità di misura di un piccolo appezzamento di terreno, era anche un contenitore di legno a forma cilindrica per la misurazione dei cereali, che era in uso al posto dei chilogrammi.
m MI AVETE FATTO RIVIRE CUANDO MIO PADRE FACEVA QUESTO LAVORO.
SOLO QUE MIO PADRE NON BASTEMIAVA MAI.
É STATO L ÙOMO PIU GENEROSO E BUONO. DOPO 52 ANNI SONO RITORNATA ALLA MIA
SICILIA E LE PERSONE CHE LO AVEVONO CONSCIUTO MI PARLAVANO BENE .
PER ME É STATO L`ORGOGLIO PIÙ GRANDE E LA RIQUEZZA CHE MI A LASCIATO.