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Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno VIII - Num. 44 - 16 novembre 2020 Cultura e spettacolo

Lo scrittore Umberto M. Cianciolo ci parla del suo libro “Psicopandemiano”

di Redazione TrinacriaNews
         

Mi chiamo Umberto, sono nato a Palermo nel 1996 e, conseguita la laurea magistrale in Psicologia Clinica (curriculum Neuropsicologia), proseguo la mia formazione presso il Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e dell’Esercizio Fisico e della Formazione dell’Università degli Studi di Palermo svolgendo il tirocinio post-lauream necessario per l’abilitazione alla professione. Da sempre lettore affamato in ambito psicologico, trovo nell’occasione della pandemia da Covid un’opportunità introspettiva e di contatto con me stesso che ho voluto condividere, mettendo a disposizione le parole che hanno dato significato a ciò che ho provato. Ero solo, isolato, e in questo modo avrei raggiunto le altre isole vicine e man mano anche quelle più distanti.

In un grigio pomeriggio autunnale ricevetti in dono un dipinto. Capii che le distanze non esistono quando si vuol comunicare con amore. Le emozioni costituiscono il nostro carburante psichico, connotando ogni manifestazione interna ed esterna del nostro essere. In tal senso, uno dei concetti che più mi appassiona è quello di “intelligenza emotiva”, in grado di accostare il mondo emotivo-affettivo alla cognizione, evidenziandone i vantaggi psichici e ribaltando la formula cartesiana del “cogito ergo sum”. A tale conclusione, del resto, giunge anche Antonio Damasio che, attraverso la sua “ipotesi del marcatore somatico”, afferma che l’attivazione viscerale, neuro-biologica, nel momento in cui dobbiamo prendere una decisione, guida la nostra scelta, e che di ciò possiamo esserne consapevoli come inconsapevoli. Tali costrutti, che ho avuto la possibilità di approfondire nella mia carriera da studente universitario, mi hanno fornito l’ispirazione per la scrittura del mio testo. Più scrivevo, più mi chiedevo di cosa stessi scrivendo: scrivevo sulla pandemia? Scrivevo sulle emozioni? Scrivevo sui miei pensieri? Avvertivo l’esigenza di cercare e trovare un termine che racchiudesse tutte le mie intenzioni e che potesse attirare l’attenzione del lettore. Ho raggiunto questo mio obiettivo con “Psicopandemiano”: un aggettivo che, a mio modo di vedere, connota non solo quanto presente nel testo ma anche ogni evento di cui siamo protagonisti tutt’oggi.
“Evento” è un altro concetto chiave. Etimologicamente, condivide con il termine “emozione” la particella “ex-” e dei verbi di movimento, indicando in entrambi i casi qualcosa che “viene fuori, si muove da”. Ho definito “psicopandemiano” un diario proprio perché tutte le riflessioni contenute nel testo “si muovono, vengono fuori” dai principali eventi di cronaca che hanno segnato tutto il 2020. Nel “muoversi da” non hanno che portato con sé un vissuto emotivo che ha segnato il nostro modo di significare l’esperienza vissuta.

Dunque, una psiche in pandemia è un’esplosione di emozioni. Psicopandemiano è un tentativo di condivisione affinché da questa esplosione di colori si possa ottenere la possibilità di ridipingere i nostri vissuti. Psicopandemiano è una riflessione, in chiave psicologica, di un vissuto così totalizzante.

Nel poter condividere tale vissuto con i lettori, spero che quest’ultimi possano trarne soprattutto ispirazione affinché ogni soggettivo stato emotivo possa trovare la strada per far “venir fuori” da ogni individuo la propria esperienza. Questo è l’obiettivo vero del testo: condividere e stimolare una soggettivazione emotiva di quanto esperito.

Qualche citazione dal testo:

“Quando non conosciamo qualcuno, qualcosa, che invade il nostro quotidiano, il nostro pensare ed il nostro agire, la strada regia che percorriamo è propria questa. È rassicurante pensare di controllare l’incontrollabile.”

“Il processo di denominazione consente la condivisione. D’altronde il linguaggio è un sistema convenzionale, basato sull’accordo tra individui rispetto a come definire e caratterizzare una determinata cosa. Due necessità vengono unite: definire e condividere. Possiamo dire, quindi, che aver trovato un nome alla malattia ha permesso di definirla, nelle sue caratteristiche clinico-diagnostiche ed epidemiologiche, e di condividerla. Condividerla non più solo nel suo aspetto di rapida diffusione, ma anche trovandole uno spazio mentale comune nelle nostre esistenze, nelle nostre realtà.”

“Forse è per questo che il nostro mondo ha una forma sferica, perché possa rappresentare un ciclo di esperienze che noi tutti vivremo, perché ogni pensiero, ogni nostra azione, ogni nostra riflessione possa essere collegata l’una all’altra, nel corso della nostra storia e dell’intreccio di questa con quella degli altri.”

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