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Anno XII - Num. 57 - 09 dicembre 2024

Anno II - Num. 06 - 26 aprile 2013 Politica e società

Lo chiamavano Belzebù. E il Sen. Andreotti diceva: “considero il sopravvivere una grazia di Dio”

di Vilma Maria Costa

Giulio AndreottiCome succede alle persone al potere e di potere, Andreotti ha avuto molti “amici”, ma anche molti nemici. Persone che lo hanno apprezzato, soprattutto all’estero, per le sue innegabili doti di statista e persone che lo hanno duramente criticato e attaccato.

Non staremo qui a fare una critica sul suo operato, o ad alimentare sospetti certamente ha avuto una vita politica molto lunga che è cominciata con De Gasperi nel 1946 ad appena 28 anni e da allora non si è più arrestata, senza soluzione di continuità, diventando anche Senatore a vita.

Tante e divertenti sono state le battute che pronunciava ogniqualvolta un intervistatore gli ricordava della sua longevità, una volta, facendo riferimento ai casi giudiziari che lo avevano visto protagonista ebbe a dire: Non sono pronto. Spero di morire il più tardi possibile – disse Andreotti sul finire degli anni ’90 -. Ma se dovessi morire tra un minuto so che nell’aldilà non sarei chiamato a rispondere né di Pecorelli, né della mafia. Di altre cose sì. Ma su questo ho le carte in regola.

Andreotti fu, infatti, accusato di omicidio per il caso Pecorelli e di associazione mafiosa. Per questa accusa il senatore a vita fu sottoposto a giudizio a Palermo: assolto in primo grado il 23 ottobre del 1999, in Appello, il 2 maggio 2003, i giudici distinsero tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi e stabilirono che Andreotti aveva “commesso” il “reato di partecipazione all’associazione per delinquere”, ma il reato venne estinto per prescrizione. Per i fatti successivi alla primavera del 1980, Andreotti fu invece assolto.

Altro caso controverso quello del giornalista Mino Pecorelli, direttore di Op-Osservatorio politico. Il giornalista venne assassinato il 20 marzo 1979, la Corte d’Assise di Appello di Perugia il 17 novembre del 2002 condannò a 24 anni di reclusione Andreotti e il boss mafioso Gaetano Badalamenti quali mandanti, ribaltando il giudizio di assoluzione di primo grado. Ci fu in quella occasione la testimonianza del pentito Tommaso Buscetta durante la quale raccontò che don Tano Badalamenti gli disse che l’omicidio fu commissionato dai cugini Salvo per conto di Giulio Andreotti. Ma il 30 ottobre 1980 le sezioni unite penali della Corte di Cassazione annullarono senza rinvio la sentenza e sancirono definitivamente l’innocenza del senatore a vita “per non aver commesso il fatto”.

Andreotti ha partecipato alla creazione della Repubblica e della Costituzione, di una Italia che tentava di rinascere dalle macerie della guerra e del fascismo e nel 1948 fa il suo primo ingresso in Parlamento.

Dotato di un grande senso dell’ironia che sappiamo essere una caratteristica che deriva dall’intelligenza, di seguito ricordiamo alcune delle sue frasi più celebri:

  • In fondo, io sono postumo di me stesso;
  • La cattiveria dei buoni è pericolosissima;
  • I miei amici che facevano sport sono morti da tempo;
  • Meglio tirare a campare che tirare le cuoia;
  • Il potere logora chi non ce l’ha;
  • A pensar male degli altri si fa peccato. Ma spesso ci si indovina;
  • A parte le guerre puniche mi viene attribuito veramente di tutto;
  • L’umiltà è una virtù stupenda. Ma non quando si esercita nella dichiarazione dei redditi;
  • Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due;
  • Aveva spiccato il senso della famiglia. Infatti ne aveva due ed oltre;
  • I pazzi si distinguono in due tipi: quelli che credono di essere Napoleone e quelli che credono di risanare le Ferrovie dello Stato;
  • Essendo noi uomini medi, le vie di mezzo sono, per noi, le più congeniali;
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