Non sempre chi è matto deve essere allontanato. “Matto” può essere quel pensiero che ti spinge a fare un film e magari a vincere il Festival di Venezia, “Matto” può essere considerato chi parla sconclusionatamente, privo della grammatica comune, certamente “matta” è la terra raccontata dagli scritti di Vincenzo Rabito e dal film di Costanza Quatriglio, innovativa ed eccellente regista Palermitana.
Talento inespresso è la parola da non associare in nessun modo alla Dottoressa Quatriglio, lei che ha fatto del cinema la sua vita e che riporta sul grande schermo le vite degli altri, magari alterandole, storpiandole piacevolmente, “rabitizzando” – sinonimo di affascinare per la regista – critica, pubblico e tutto il contorno che caratterizza i grandi Festival Italiani e non.
“Terramatta” è un film particolare. Quando la storia diventa semplice racconto e quando l’uomo stesso è fonte e diventa grandiosamente storia.
Numerosi i riconoscimenti ed i premi vinti, come le partecipazioni ai Festival. Una vera e propria “giramondo”. L’ultimo premio vinto, proprio in occasione dell’ultimo Festival di Venezia, il “Civitas Vitae”.
TrinacriaNews ha avuto il piacere di intervistarla per voi e di seguito vi riporta la sue dichiarazioni.
Dottoressa Quatriglio, lei è la creatrice, in termini cinematografici, di “Terramatta”. Ci racconti della sua esperienza legata al lavoro di ricerca che ha portato alla produzione di questo film.
Il lavoro di ricerca è nato quando, la produttrice Claudia Ottaviano mi propose questo progetto. Lei aveva già una visione globale di cosa poteva esserci e non esserci all’interno dei documenti contenuti all’interno delle teche dell’Istituto Luce. E’ stato un mio percorso di avvicinamento progressivo, che è iniziato con un nostro confronto, dove abbiamo capito quale potesse essere il materiale audiovisivo di rifermento per realizzare questo film e poi io, come è giusto che sia, ho preso in mano la situazione, immaginando un film che contraddiceva le immagini ed i documenti di repertorio, ma partendo dagli stessi. Il materiale nasce per disegnare la storiografia dell’Italia, disegnando un percorso di immagini illustrative rassicuranti che sono quelle proposte dall’Istituto Luce. Ebbene, Vincenzo Rabito è l’opposto. Rabito è un ultimo che riscrive la storia d’Italia attraverso una soggettività di ironia, dolore, sangue, di braccia e di fatica. Il nostro lavoro di ricerca si basava sulla ricerca di materiali che potessero sposare un punto di vista completamente diverso dal punto di vista a cui siamo abituati quando guardiamo delle immagini d’archivio.
Otteniamo così un prodotto finale conseguente al suo lavoro di ricerca. Un secolo di storia rappresentato dalle sue immagini che le ha permesso di vincere il premio “Civitas Vitae” al 69° Festival di Venezia. Quali sono state le sue sensazioni?
Questo premio fa parte di quella serie di riconoscimenti collaterali che ci sono al Festival di Venezia. Mi ha fatto molto piacere riceverlo e mi ha dato molte soddisfazioni, questo perché ha a che vedere con il senso profondo della nostra operazione, cioè quello di creare un ponte tra passato e presente. Il premio è collegato ad una fondazione che si occupa di longevità e di trasmissione del pensiero ed anche per questo, devo dire, che mi ha fatto molto piacere riceverlo.
Lei, mi corregga se sbaglio, ha esordito con la partecipazione ad un Festival nel 2003, al Festival di Cannes in particolare. Quali sono state le differenze che ha riscontrato tra la prima esperienza e quest’ultima qui, al Festival di Venezia?
Chiaramente sono cambiata io (Ride ndr.). Quando io ho esordito con il mio primo film “l’Isola” a Cannes, era una vetrina Internazionale straordinaria ed io ero molto giovane. Girai quel film a ventinove anni. Girare così giovane e ritrovarmi a Cannes, in un mondo che non conoscevo e che aveva particolare feeling con il mio film, bè, è stato uno shock. Nel frattempo sono passati tanti anni e tanti film. All’ultimo Festival, c’era la curiosità di come Vincenzo Rabito avesse potuto attirare l’attenzione del pubblico e dei critici. Abbiamo giocato con il linguaggio, nel senso che Rabito “rabitizza” utilizzando un linguaggio personalizzato, privo di grammatica, che ti permette di entrare in un mondo di parole che ti affascina, che ti rapisce e quindi, volevamo vedere come questa fascinazione di questo personaggio strano e particolare avvesse potuto colpire anche gli altri e non solo noi. Una cosa che poteva essere condivisa o meno. Il pubblico e la critica hanno amato il film.
Possiamo quindi, parlare di un Italiano personalizzato, più che di un semi-analfabeta. Secondo lei, il suo prodotto – ovvero il racconto di un uomo attraverso i suoi scritti – può essere paragonato al racconto di un nonno al nipote, seduto sulle sue ginocchia e quindi, rappresentare perché no, un manuale di sopravvivenza per le generazioni future, evitando così errori ed ingenuità del passato?
Io credo che il film abbia una doppia valenza: da un lato quest’uomo, classe 1889, che per forza di cose deve sparire perché appartiene ad una generazione sopra i nostri nonni e che quindi, è già storia; dall’altro lato esiste quella trasmissione ideale tra nonno e nipote, tra padre e figlio. Quindi, assolutamente sì. Figurarsi che la nipote, che io ho incontrato e con cui ho avuto il piacere di parlare, racconta che il nonno la portava sull’autobus – lui non pagava perché era Cavaliere di Vittorio Veneto (Ride ndr.) – e le faceva fare da capolinea a capolinea, raccontandole storie di guerra che noi ritrattiamo in “Terramatta”.
Lei poco fa parlava di attenzione e di successo nei confronti della critica e del pubblico, ma secondo lei, questo è avvenuto perché c’è una sorta di nostalgia per quel che è il passato?
No, io credo che questa attenzione rivolta al film, sia arrivata perché era un film libero e noi non siamo abituati a questa tipologia di film. Un film libero da ogni griglia legata ad un tema del genere. Non è un film didattico, non è un film palloso e non ti vuole istruire. Questa potrebbe essere la prima trappola per un film-documentario. Poi è un film libero dal punto di vista visivo, perché formato da un percorso visivo che fa parte del territorio della creatività e la gente ama queste cose, per fortuna direi. Ancora non siamo del tutto addormentati, nonostante non sia facile fare cinema in questo modo, perché ci sono delle strade più semplici da imboccare.
Lei ha avuto la possibilità di confrontarsi con un team, nonché l’occasione di poter discutere con una discendente, ma quali sono state – se ce ne sono state – le vere difficoltà riguardo la realizzazione di questo film?
Difficoltà di livello tecnico. Chiara Ottaviano, in realtà non è una produttrice, ma è una storica. Quindi, una neofita della produzione e come tale ha ingranato piano piano all’interno di questo mondo faticoso del cinema. La vera difficoltà era precedente al film stesso, ovvero il capire che film fare, perché da “Terramatta” si potevano fare tanti tipi di film. Così, cercai di capire e di trovare una chiave di lettura, privilegiando delle fonti piuttosto che altre. Un procedimento di comprensione lungo e soltanto dopo avere sciolto i nostri dubbi, abbiamo iniziato con la produzione.
Lei nel suo curriculum ha tantissimi documentari, lungometraggi e cortometraggi. Volendo tagliare la testa al toro le chiedo: quali sono i suoi progetti futuri?
I miei progetti futuri sono diversi, perché io non ho un solo progetto futuro. Mi interesso a tante cose, anche perché sono cosciente del fatto che ci sono tempi infiniti che intercorrono dal pensare ad un progetto ed alla conseguente realizzazione, inevitabile quindi avere più progetti in programma. Nell’immediato mi sto occupando di un altro documentario, questa volta sul lavoro e sulle donne, ma non posso dire altro perché ancora il tutto è in preparazione e se ne parlerà in futuro.
Magari ne riparleremo insieme. Nel frattempo TrinacriaNews la ringrazia per aver accettato la nostra intervista e ci auguriamo di poterla rivedere molto presto nel mondo del cinema.
Grazie Dottoressa e tanti auguri.
Si ringrazia la Dott. Lucrezia Viti, addetto stampa della regista Palermitana, per la cortese collaborazione.