Dopo la vittoria conseguita alla 2a edizione del Castelbuono Teatro Festival, il 28 settembre u.s. nella splendida location di Villa Magnisi, sede dell’Ordine dei Medici di Palermo, ha concluso la sua tournèe la piece teatrale La finestra dell’attesa nata dalla collaborazione di tre Compagnie teatrali, Fiori di Carta, Spazio Scena e Gruppo T, rispettivamente rappresentate dalle attrici Clelia Cucco, Anna Maria Guzzio e Stefania Sperandeo.
La tournèe estiva ha avuto luogo in varie location siciliane. Si è trattato di un lavoro teatrale intrigante, costruito con brani liberamente riadattati, su varie tematiche legate all’attesa, dalle attrici Clelia Cucco, Annamaria Guzzio e Stefania Sperandeo, dotate di grande professionalità e generose nel trasmettere, sulla scena, forti emozioni.
Ed il pubblico ha avuto modo di pensare e riflettere, lasciandosi trascinare dalla leggerezza e dalla grazia delle tre attrici che, con garbo e intelligenza, hanno accompagnato gli spettatori lungo un percorso di emozioni in cui ironia, autoironia e denuncia si sono sapientemente alternate, senza scadere mai nella banalità od ovvietà.
Ecco gli altri componenti della compagnia, che hanno contribuito, in modo non indifferente, alla buona riuscita della performance: Vincenzo Castagna, musica, fonica e illuminotecnica; Paolo Badami, scenografia; Melania Fiasconaro, graphic designer; Maurizio Campanella, fotografia di scena
Intervista alle attrici protagoniste della performance
D. Da che cosa nasce il lavoro teatrale che vi vede protagoniste?
R. “La finestra dell’attesa, dice Annamaria Guzzio, è il frutto di un lavoro di scavo e di riflessione su una delle abitudini disfunzionali più comuni nella nostra società: quella di vivere sempre nella proiezione di un futuro che potrebbe anche non arrivare mai, una sorta di mancata aderenza al qui ed ora delle esperienze che ci rende ansiose e fragili vittime di una sensazione di precarietà che ci accomuna. Così trascorre spesso la vita nell’attesa di qualcosa o qualcuno di cui a volte non conosciamo bene l’entità o l’identità ma che sicuramente ha la capacità di renderci inquieti, abitati da un tarlo sottile che non ci fa godere della pienezza delle cose esperite, gustate, assaporate nel momento stesso in cui avvengono”.
D. Ma la scelta è caduta su alcune figure femminili in particolare?
R. “Infatti ciascuna delle protagoniste della pièce è impegnata in una sua personale attesa, da Beatrice che attende il cambiamento di mentalità che potrebbe renderle la libertà di amare chi vuole, alla strega Grimilde che aspetta,nella fase crepuscolare della sua vita, un patetico riconoscimento di identità da parte di una società che l’ha praticamente privata del suo ruolo e delle sue funzioni. Anche la Topastra attende, tra il serio e il faceto, di essere accettata da una società che la rifiuta relegandola nel ghetto dimenticato delle fogne”.
D. La piece si snoda in due parti apparentemente slegate: nella prima tre assolo in bilico tra coinvolgimento emotivo, ironia/ autoironia e denuncia, nella seconda parte l’atmosfera si fa più raccolta e la comicità dei primi tre monologhi lascia il posto alla riflessione.
R. “Si è proprio così. E’ come se alla presa di coscienza della prima parte seguisse la riflessione sul proprio “essere”, nella seconda.
La protagonista del primo monologo della seconda parte che riflette dolente sulla sua condizione di rifiutata è come il naturale evolversi della “Topastra”.
E poi ancora due donne che raccontano le loro attese: la prima focalizzando l’attenzione sull’universo femminile di chi sta alla finestra aspettando tutta la vita qualcuno senza mai chiedersi se è felice o meno, l’ultima raccontando dell’ attesa finale, quella della vecchiaia e della morte.
E fra una riflessione e l’altra Stefano Benni in versi sdrammatizza, proponendoci un tema comune a tutti i mortali, quello dell’attesa dell’amore che…. prima o poi, arriverà per tutti”.
“Da questa finestra che abbiamo immaginato di aprire, o meglio socchiudere, – continua Stefania Sperandeo- si affacciano personaggi che guardano su un mondo perduto o sul materialismo del vivere quotidiano, alle mille possibilità, al cambiamento o ai loro sogni. C’è un grande desiderio di trovare nuovi porti, di comunicare l’urgenza di raccontarsi, di “spalancarsi” al mondo… nel gran teatro del mondo che è la vita. E nell’Attesa, rimanere sorpresi da quello che arriva, che il piu’ delle volte non è mai quello che ci aspettiamo! E continuare a meravigliarsi mille finestre e porte che continuamente si aprono davanti a noi”.
D. Sulla scena si muovono tre donne di tre età diverse, perché?
R. Domanda interessante- dice Clelia Cucco. Chiaramente non è stata una scelta casuale. Ad ogni età corrisponde un differente osservare la vita. Attraverso i diversi personaggi che portiamo sulla scena ci facciamo a un tempo interpreti e specchio delle nostre e delle altrui attese. “La finestra dell’attesa” è uno studio sull’umano sentire, è una prova d’attore nel quale il vero protagonista è lo Spettatore, che diviene non solo destinatario dell’evento artistico ma canalizzatore empatico. Questa delicata ricerca di equilibrio tra attore e spettatore ha visto il formarsi sulla scena, nelle diverse repliche, di uno spettacolo mai uguale, ma arricchito costantemente dalle mille nuove bellissime sfumature frutto di nuovi incontri. È un’avventura che si vive insieme.
D. Quale il “messaggio” che vorreste fosse arrivato al pubblico, numeroso e partecipe, che vi ha accompagnato nelle vostre varie repliche?
R. “La sequenza di brani e di personaggi ritagliati sullo sfondo di un’umanità universale ci auguriamo serva, com’è stato per noi che ne siamo state interpreti, a fermare, sia pure per poco, il pensiero su questa follia collettiva che ci porta a consumare e bruciare ogni nostra esperienza senza mai goderne pienamente. La presa di coscienza di un atteggiamento disfunzionale sarà così il primo passo per cominciare non la prossima settimana, non lunedì o domani ma qui ed ora a cambiare punto di vista e scoprire la bellezza che sempre e in ogni cosa potremo trovare se avremo nuovi occhi. E quello, per dirla con Proust, sarà il vero “viaggio di scoperta”.