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Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno I - Num. 04 - 05 dicembre 2012 Sport

Il Palermo tra cronaca e fantasia – parte terza | Fabrizio Miccoli, che sagoma!

di Benvenuto Caminiti
         

Fabrizio MiccoliFabrizio Miccoli, che sagoma!

Ce ne fossero di più come lui nel mondo del calcio, tutto l’ambiente sarebbe migliore. Come giocatore lo conosco e lo apprezzo da sempre, da quando – era appena un ragazzino – giocava in C1 nel Casarano e fece gol al mio Palermo, con una piroetta, dopo un dribbling ubriacante. Quella fu una delle rarissime volte in cui la mia squadra subiva un gol e io invece di precipitare negli abissi me ne volavo in cielo. Perché, dovete sapere cari amici, che io amo il calcio (intendo, il bel calcio) alla follia e se assisto a un bel gesto tecnico, a una prodezza stilistica resto incantato, chiunque ne sia il protagonista e qualsiasi vittima faccia quella prodezza!

Così quella volta che vidi in tv quel gol di Miccoli – che era anche allora un piccoletto irsuto tutto scatti, dribbling, finte e contro finte (compresi le veroniche, i colpi di tacco, gli stop a seguire; insomma, tutta roba tipica dei veri campioni e non delle mezze cartucce) – pur sapendo che quel suo pezzo di bravura rimandava a casa il Palermo con le ossa rotte, invece di strepitare come al solito (“Mi… ro culu, viri che gol chi scattiò!”) mi scappò di applaudire, fu un gesto istintivo, che non piacque per niente ai sette-otto amici con i quali stavo guardando quegli spezzoni di partita. Ci fu una vibrata protesta generale (“Ma chi divintasti… catanisi, c’appaludi i gol ri l’avutri?”), seguita da manate sulla testa e “strantolii” vigorosi, che, magrolino com’ero ( e come sono tuttora) mi buttarono dalla sedia, giù per terra. Qui giunto – sarà stato il forte dolore al braccio, sarà stata la ragione che sopraggiungeva dopo un attimo di annebbiamento, dovuto all’esaltazione per quel che avevo appena visto – certo è che mi… ridestai subito dopo e, alzando le braccia in segno di resa, urlai disperato: “Fiermi, fiermi,  carmativi ‘u sangu… chiddu un’iera applauso di felicità, ma solo di disperazione!… Insomma, picciotti, come potete pensare che io gioisca per un gol preso dal Palermo?…‘U sapiti, ca mi sient’offeso, ah? No, amici mia, mi fa cchiù mali chiddu ca m’aviti rittu ca i timpulati chi m’aviti ratu! … E u sapiti chi vi ricu?  Iu ‘st’offesa unn’u sacciu si va perdono!”.

Insomma, come mi succede nei momenti critici, aguzzai l’ingegno e – come si dice dalle mie parti –  pigghiavu avanti p’on cariri. Ovvero, non mi limitai a difendermi ma andai all’attacco. E funzionò. Infatti, i picciotti si calmarono subito e addirittura passarono alle scuse: “Sì, vieru è, ma tu o me puostu c’avissi fattu a viriri un tifuso ro Paliermu applaudire un gol dell’avversario, ah?… C’avissi fattu?”.

Il lungo preambolo serve a spiegare quale grande stima, affetto e ammirazione io provi per il campione di Nardò, detto anche il “Romario del Salento” e anche il “Pibe di Nardò”, che è poi il complimento che lui gradisce più di tutti gli altri ( e sono tanti) perché il suo idolo è da sempre Maradona. Pensate, per omaggiarlo, ha persino comprato ad un’asta giudiziaria un orecchino del fuoriclasse argentino per 25.000 euri: “L’ho preso per rispetto e devozione – spiegò ai cronisti presenti, subito dopo – e l’ho fatto per restituirglielo alla prima occasione!”.

Che non è mai venuta e ne sono passati di anni, così che di recente, lui ha dichiarato: “A questo punto me lo tengo, tanto a lui non serve, mentre per me è come una reliquia!”.

Così è Miccoli, nella vita e sul prato verde: passionale, sincero, istintivo. Gioca come parla e parla come gioca: con esplosiva spontaneità, seguendo sempre l’onda dei sentimenti e dell’estro del momento. Genio, fantasia e improvvisazione, il tutto irrorato da un  sentimento sempre allerta, da un pensiero stupendo, che è quello di dare sempre tutto in campo, senza calcoli, senza far i conti dell’oste: lui non  si tira mai indietro, fosse per lui, giocherebbe anche con una gamba sola. E quando sbaglia  – e a Siena ha fallito una facile occasione da gol, che avrebbe garantito la vittoria – si danna l’anima e non si placa fino a che non rimedia all’errore. E se qualcuno – fosse pure il suo presidente – dice o fa qualcosa che ne ferisce l’orgoglio, lui si impenna come un cavallo di razza, capace di tutto e del suo contrario. Fu così, infatti, che, dopo essere stato relegato in panchina per due partite di seguito da Gasperini, il suo nuovo allenatore, e dopo avere ingoiato veleno a litri per i rinvii di Zamparini circa il rinnovo del suo contratto, finalmente sceso in campo contro il Chievo, gli si aprirono di colpo tutte le cataratte del suo amor proprio, vilipeso ed offeso e sfoderò una prestazione super, incantando non solo il pubblico del “Barbera” (che non aspettava altro che ritrovare il suo beniamino) ma quello dell’Italia tutta, da nord al sud, da est a ovest: tre gol, il quarto, materialmente siglato di Giorgi ma di fatto “confezionato” da lui con un guizzo lungo la linea di fondo, là dove lo spazio si restringe ad una sottile linea bianca. Qui, lui ha dribblato due avversari, ha fatto uscire dal suo guscio il portiere clivense, che nulla ha potuto sulla ribattuta di Giorgi, proprio perché era stato costretto a lasciare sguarnita la sua porta.

Miccoli: un giocatore che non ti lascia mai a bocca asciutta, perché ha sempre in canna il colpo a sorpresa, quello che risolve la partita e rimanda al mittente gli avversari con le pive nel sacco. E se lo incontri lontano dai campi di gioco, si rivela un compagnone,  pieno di verve, che non  dice mai cose banali, quelle che si sentono a profusione nei dopo partita, le solite menate, tipo. “Abbiamo fatto bene, dobbiamo continuare così…”, dopo una vittoria; oppure: “ Ce l’abbiamo messa tutta, ma è andata male… Ci rifaremo la prossima volta…”, dopo una sconfitta. Lui no, lui affronta il tema sempre con personalità, se ha giocato male, lo ammette senza problemi e se ha fatto faville, come contro il Chievo, e gli piovono addosso complimenti da tutte le parti, umilmente si schermisce, come non ci fosse abituato (e non è così) e chiama sull’altare del successo ottenuto tutti i compagni, nessuno escluso: “Devo ringraziare la squadra, è merito suo questa bella prestazione… Io ho solo fatto quel che mi spetta e che mi piace: i gol!”.

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