Periodico registrato presso il Tribunale di Palermo al n.6 del 04 aprile 2012

Anno XII - Num. 57 - 09 dicembre 2024

Anno I - Num. 03 - 28 settembre 2012 Sport

Il calciomercato, ecco come è finita!

di Benvenuto Caminiti

Ho sperato fino all’ultimo secondo… Inutilmente.

E mi è scoppiata dentro una tale rabbia che ho cominciato a strillare da matto: “No!… Noo!…. Noooo!…” , poi ho buttato all’aria le cartacce che nel mio tavolo da lavoro non  mancano mai, malgrado l’accanita guardia che mi punta addosso 24 ore al giorno  mia moglie, che è un tipo da prendere con le molle. Sempre, tranne quando il “problema” è il Palermo, allora diventa un tenero agnellino, mi si strofina quasi addosso per rabbonirmi, manco fossimo due fidanzatini. “Dai, calmati, non siamo poi così scarsi…”.

Si è appena chiuso il mercato all’Hata Hotel Executive di Milano e l’unica squadra rimasta com’era prima è stata il Palermo. Mi sono “pippato” ore e ore di collegamento live con l’Hata Hotel Executive di Milano per niente. Anzi, no: per farmi il sangue amaro, più amaro di come l’avevo domenica sera alla fine di Palermo-Napoli, che se qualcuno mi dava un morso moriva avvelenato.

Per questo ho dato da matto e ho strillato come un forsennato: “Noooo!”, una, due, dieci volte: come una specie di ribellione ad una realtà che non volevo accettare e cioè che a Zamparini non gliene frega più niente del Palermo e del suo destino. Mia moglie – che, ripeto, sta sempre all’erta – si è precipitata  (si fa per dire, data la stazza) nel mio studio già con le mani nei capelli (è un suo vezzo, ogni emozione per lei comincia da lì, dalla chioma) e si è messa a urlare anche lei: “Ch’è successo? Stai male? Dove ti fa male?”. Domande  tutt’altro che retoriche dato che a me fa sempre male qualcosa. Nel corpo e/o nella mente, a seconda dei casi. E, infatti, appena il mercato si chiude io sto così male che mi pare sentire dolore dappertutto, a cominciare dalla testa. Che sembra scoppiare da un momento all’altro: “Nooooo! Non ci posso credere: siamo rimasti quelli di prima!”. Ovvero quelli che appena cinque giorni fa ne hanno beccati tre dal Napoli e potevano essere anche cinque o sei!  Insomma, non mi do pace e me la prendo con le prime cose che mi si parano davanti agli occhi, i giornali, i taccuini, tutta roba che normalmente tratto coi guanti gialli, perché sono il mio “pane quotidiano”, ci convivo amorevolmente da decenni, rappresentano i miei compagni di vita, ci parlo addirittura, sono come degli amici, complici nella buona e nella cattiva sorte. E questa è davvero cattiva e perciò ci parlo a muso duro, gli urlo di tutto come fosse colpa loro, dei taccuini e del giornali, che il Palermo non ha fatto operazioni al mercato d’agosto. E siccome non mi degnano d’attenzione alcuna, sempre urlando, li spazzo via come ciarpame; butto tutto all’aria, giornali e taccuini e in  mezzo ci finiscono anche le mie adorate penne stilografiche e – ahi, ahi – anche certi deliziosi soprammobili, tanto cari alla mia metà. Che, nel frattempo, come già spiegato è piombata come un nembo nella mia stanza: “Ch’è successo? Stai male? Dove ti fa male?”. Ma il tono, più che preoccupato, è minaccioso, solo che, appena percepisce che la causa di tanto fragore è il Palermo, si rabbonisce d’incanto e cambia sia le domande che il tono: “Ah, non abbiamo preso nessuno? E vabbè, calmati, non siamo poi così scarsi, no?”.

Lei dice proprio così: “Non abbiamo” “Non siamo”; parla del Palermo ed è come se parlasse di noi due, della nostra famiglia, quindi  usa la prima persona plurale, mica la terza singolare. Perché a casa mia il Palermo non  è solo la squadra per la quale tifo, ma un’entità ben più complessa e complicata; è come uno di famiglia e anche di più. Gli si porta rispetto e assoluta devozione: comanda lui, nel senso che tutto gli ruota intorno. E’ come il sole e gli altri di casa sono i suoi satelliti. Se il Palermo vince, tutto il resto passa in cavalleria, come si dice, nel senso che di tutto il resto, anche se va malissimo, non ci se ne accorge nemmeno. Viceversa, quando il Palermo perde, tutto il resto non solo passa in cavalleria ma non esiste nemmeno: “Lo sai  che Giulia è stata promossa con tutti dieci?”. Giulia è la mia nipotina, la secondogenita di mia figlia e io, in uno slancio di smodato entusiasmo (il Palermo aveva battuto il Milan nella semifinale di coppa Italia) le avevo promesso che, se fosse stata promossa con bei voti, le avrei regalato l’ultimo ritrovato della tecnologia per bambini, del quale non  ricordavo neanche il nome. Solo che appena ho saputo quanto costava mi si è gelato il sangue nelle vene e persino la gioia per la vittoria del Palermo per un istante si è persa nella nebbia: “Min…, comi fazzu? Runni ‘i pigghiu ‘sti picciuli?”.

Ma dicevo: il mercato si chiude senza colpo ferire da parte del Palermo e io mi sento scoppiare dentro, una specie di rivolta, di ribellione. Di più, quasi un  … colpo di stato, nel senso che per la prima volta in tanti anni di tifo appassionato, (inde)fesso, incontaminato – roba che me ne andavo in giro per campi e campetti della bassa Italia, che so?, Afragola, Valdiano, Nocera Inferiore, Giarre e via dicendo per non  perdermi  neanche una partita del Palermo, tra C2 e C1 – vengo colto da uno strano, quasi blasfemo dubbio: “Ma chi me lo fa fare?”. E’ una domanda agghiacciante, uno scisma divorante, non m’era mai capitato prima, neanche dopo lo 0-7 al “Barbera” contro l’Udinese, neanche dopo lo 0-0 con  la Battipagliese che condannava il Palermo alla retrocessione in C2. Mai. E non avevo mai creduto possibile mi potesse un giorno succedere, di voler mollare tutto, mandarli a quel paese e dire ( non solo pensare): “Basta, mi sono stufato! Col Palermo ho chiuso!”.

Mai.

E sapete perché? Perché, qualunque cosa accadesse – sconfitte brucianti sul campo, sconfitte umilianti lontano dal campo (retrocessioni a tavolino, penalizzazioni, radiazioni) – la domenica dopo c’era di nuovo la partita: palla a centro e via!

Ma stavolta, quando alle 19 in punto chiude il mercato e il Palermo non ha preso nessuno, io mi sento come un burattino al quale hanno spezzato i fili che lo tenevano su e lo facevano vivere: “ Vogliono farlo finire in serie B – mi sono detto – e io non ci sto! Io scendo prima!”.

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