Maestri di vita, prima ancora che allenatori di calcio e li legava una sola passione: il gioco del calcio.
Si era appena usciti dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale e la vita risorgeva con i suoi affanni di sempre, ma alleggerita e resa felice per la ripresa delle quotidiane abitudini. Anche lo sport muoveva nuovamente i suoi passi e il calcio in particolare, dove bastava anche una calza di seta riempita da fogli di giornale per diventare un pallone.
La Federazione gioco calcio riprese l’attività agonistica e si cominciò a giocare negl’improvvisati campetti di periferia, dove spesso mancava l’acqua calda per la doccia e degli spogliatoi degni di tal nome. Ma in compenso vi era tanta volontà di emergere e, attraverso il calcio cercare anche il riscatto economico e sociale.
In quel periodo non era obbligatorio il tesserino per allenare le squadre del settore giovanile e anche nei campionati minori. In tanti s’improvvisavano allenatori. Dire che fosse solo improvvisazione, però, sarebbe troppo riduttivo e non renderebbe onore alla bravura, competenza e conoscenza dei regolamenti e carte federali di questi tecnici. Sembravano tutti usciti “freschi freschi” da un master per manager e dirigenti di società sportive. Eppure qualcuno di loro non aveva neanche la quinta elementare. Ma sapevano di tecnica e tattica calcistica e delle cosiddette carte federali, al pari dei migliori allenatori di serie A.
I nomi? Giuseppe Cangelosi, meglio conosciuto come, u zu Pinuzzu, Girolamo Giordano, detto Mummini o Mummineddu, per via della bassa statura, e Emanuele Palermo, Naueli, Carluccio Marletta, che di suo aveva alle spalle una buona carriera di calciatore e il più grande di tutti, Mario Falanga. Poi c’erano anche dei veri professionisti con tanto di patentino come il maestro Russo e Gino Caruso e per tutti il maestro Cutrera, che allenò nell’immediato dopoguerra anche il Palermo. Pino Cangelosi, autodidatta della prima ora, fondò e diresse una squadra del settore giovanile che, in omaggio a Maria Ausiliatrice, chiamò Auxilium. Anche Girolamo Giordano, fondò la San Gregorio Papa e Emanuele Palermo, essendo tifosissimo della Juventus, iscrisse al torneo “allievi” e juniores una squadra che chiamò Juventus Palermo. Carluccio Marletta, buon calciatore dilettante, dopo avere allenato alcune squadre, si “scoprì” calzolaio, specializzandosi in scarpe su misura per calciatori. Mario Falanga giocava da portiere nella gloriosa Acquasanta, ma chi scrive lo ricorda come allenatore di giovani calciatori. Prima nel Villaggio Ruffini, dove vinse anche un titolo provinciale juniores e poi alla Saia (Società anonima impresa autobus), squadra di proprietà dei fratelli Ferruzza, ma soprattutto azienda privata che gestiva gli autobus del servizio pubblico a Palermo, prima di trasformarsi in AMAT.
A ridosso dell’estate si svolgeva il Torneo Città di Palermo, ebbene Mario Falanga, dopo avere allenato per diversi anni e con grandi risultati il Villaggio Ruffini, passò alla Saia. La vendetta dell’ex arrivò puntuale al torneo Città di Palermo. Il Villaggio era la candidata alla vittoria, mentre la Saia era una squadra decisamente più modesta. Ma i “sogni” molto spesso nel calcio, anche per un solo giorno, si avverano. Ebbene Mario Falanga indovinò le marcature e preparò a dovere l’incontro. La “vendetta” arrivò con un secco 1-0 tale da eliminare lo squadrone.
Dietro queste storie di un calcio, impropriamente detto minore, c’è un sincero affetto per questa gente che tanto ha dato al movimento calcistico palermitano. Forse questi uomini non hanno scritto grandi pagine. O forse sì, se ancora c’è chi li ricorda. Io ricordo… e potrei scrivere all’infinito e oltre, come diceva Buzz Lightyear di Toy Story.