Palermo – Al Mondadori Multicenter di Palermo il 10 gennaio è stato presentato il libro Fuga da Facebook. The Back Home Strategy di Marco Camisani Calzolari, imprenditore, esperto di Internet e studioso dei fenomeni di comunicazione.
La tavola rotonda per la presentazione è stata organizzata da Francesco Passantino, manager del Google Developer Group di Palermo, con la partecipazione di Michelangelo Salamone, segretario generale della Libera Università della Politica, e il giornalista Simone Di Stefano, esperto di comunicazione e marketing. Ed è stata occasione di una riflessione sulla forza e sui rischi di social network innanzitutto come Facebook, ma anche Twitter, passando dall’ambito del marketing aziendale alla comunicazione politica.
Nel febbraio 2004 viene lanciato dall’Università di Cambridge il sito Facebook, destinato a imporsi come il campione dei social network. Nato come strumento privato per connettere le persone, oggi ha assunto a tutti gli effetti un ruolo nella sfera pubblica, come strumento di comunicazione e anche di marketing. Ma è davvero lo strumento adatto per le aziende che vogliano espandere la propria clientela? Come si può coniugare privacy e marketing? Raccogliere grandi quantità di contatti è sufficiente, o controproducente? E se un domani Facebook dovesse sparire? A queste domande intende rispondere il libro .
Perché “Fuga da Facebook”? Per l’autore è una fuga nel senso di fuga da strategia sbagliata, da Facebook come prigione sui generis che è spesso anche cavallo di troia. Una strategia meramente quantitativa, volta ad ammassare fan, like e followers, si rivela controproducente. “Sul primo momento si hanno piccoli risultati, più di numeri che di sostanza, ma a lungo termine si perde il valore più importante”, come la gestione personale dei contatti. I grandi numeri, dunque, non bastano; anzi, secondo l’autore, i numeri “sono una cosa strana”. Perché cinquanta persone fisiche hanno un certo valore, cinquanta iscritti a una newsletter un po’ meno, cinquanta like praticamente zero. Questa distinzione non è ancora chiara, e il quadro è peggiorato dall’effetto “ristorante pieno – ristorante vuoto”. La controstrategia proposta dall’autore è chiara: Facebook deve essere usato per convertire i like in clienti veri. In questo consiste la “back home strategy” – tornare “a casa” e portarsi dietro i propri contatti.
Certo non è facile. E alle difficoltà si aggiunge una crescente perplessità dovuta a nuovi fenomeni, come quello dei falsi like, falsi follower etc. Per dare il senso della misura del fenomeno, basta ricordare che Facebook stesso, battendo sul tempo le ricerche indipendenti e gli scoop giornalistici, ha ammesso di avere almeno 100 milioni di profili falsi; Twitter non è messo meglio, con i suoi 500 milioni di utenti iscritti, di cui solo 200 milioni risultano attivi. La vera domanda è quanto tutto questa possa servire a convertire i contatti in clienti. Facebook non è un luogo per pubblicizzare qualcosa, ma se stessi, prosegue Camisani Calzolari, che definisce il social network di Zuckerberg come una “vetrina dell’apparenza”: trionfano le persone, i brand sono bot. Tutto questo non viene recepito dalle aziende, che percepiscono Facebook come un luogo gratuito, in cui possono spendere poco. Non rinnego – afferma l’autore – il valore della nuova relazione con il consumatore che usa il digitale… ma il digitale costa, anche più dell’analogico, ha un costo non quantificabile.
Un altro tema affrontato nel libro è l’intreccio indissolubile tra l’aspetto comunicativo e quello meramente tecnologico: i social network, secondo Camisani Calzolari, devono essere maneggiati sia da chi sa di comunicazione sia da chi sa di tecnologia. I siti delle Pubbliche Amministrazioni, ad esempio, sono infallibili e invulnerabili, ma incomprensibili per questo motivo. Ci vuole un “regista”. Invece questo è un mondo ancora maneggiato da chiunque. Il discorso continua a presentare la sua validità anche in un contesto diverso: la comunicazione politica. Michelangelo Salamone è intervenuto portando la sua esperienza alla Libera Università della Politica, con particolare riferimento al corso di Alta Formazione che ha tenuto nell’estate 2012 sull’uso dei social network per le Pubbliche Amministrazioni e la società civile. Abbiamo rivolto delle domande a Salamone proprio su questo argomento. Innanzitutto abbiamo domandato se, secondo lui, il ricorso sempre più diffuso del mondo della politica alla comunicazione via social network sia una strategia vincente ed esente da rischi; la risposta è che la comunicazione deve riposare su una strategia ben impostata, portata avanti da esperti di media e di comunicazione. Purtroppo così non è, afferma Salamone: molti dei politici finiscono con fare da sé, ma l’effetto alla lunga è dannoso. Non c’è di peggio quando hai aspettative e poi l’utente rimane deluso perché non trova risposta. Il problema è che i politici intendono i social network a senso unico, scambiano un mezzo di comunicazione, in entrata e in uscita, e poi lo usano per comunicare in uscita poco interessandosi alle risposte”. Rispondendo a un’altra nostra domanda, Salamone ha affermato inoltre la necessità di tenere distinti i due piani, quello istituzionale e quello dell’uomo politico, con due strategie diverse rivolte a due diversi fini.
E se un domani Facebook dovesse scomparire? Anche a non voler chiamare in causa la fantascienza e le visioni apocalittiche, Facebook potrebbe passare di moda, ritrovandosi soppiantato da un altro social network, come già avvenuto per l’ormai storico MySpace, leader indiscusso del web 2.0 dell’epoca pre-Facebook, un gigante che pareva insormontabile e di cui oggi rimangono briciole. Le conseguenze sono ben illustrate da Camisani Calzolari, che trova così un’ulteriore prova a sostegno della sua argomentazione di un ripensamento delle strategie di comunicazione: “se dovesse per assurdo chiudere domani mattina ci sarebbero aziende che hanno fatto uno sforzo pazzesco per raccogliere gente e improvvisamente non hanno più nulla, soprattutto le medie e le grandi, che dovrebbero invece avere strategie più solide”. La realtà è che Facebook si iscrive in un fenomeno dinamico, in un mondo che sta già cambiando; l’autore pensa agli emergenti social network di tipo “verticale”, che aggregano utenti per specifici interessi. Ma anche alle inserzioni a pagamento, che stanno diventando una realtà: un messaggio su Facebook raggiunge al massimo il 15% dei propri fan, per raggiungere la fetta restante occorre rivolgersi ai “promoted post”, a pagamento.
Una “exit strategy”, dunque, quella proposta da Marco Camisani Calzolari nel suo libro: come in tutte le cose della vita, anche per Facebook è possibile trovare il giusto utilizzo, la giusta strategia. Idee buone, grandi tecnologie, e dare il giusto valore alle persone, anche se appaiono solo come un insieme di punti su uno schermo.
Nel corso della presentazione abbiamo intervistato i partecipanti. Questa l’intervista a Francesco Passantino:
1. Il Google Developer Group: di che cosa si tratta?
Passantino: È stato fondato tre anni fa e da allora ci siamo occupati di organizzare eventi di carattere divulgativo sul territorio palermitano. Nel mondo ci sono circa trecento gruppi simili al nostro, noi siamo uno tra i più numerosi, circa trecento partecipanti che si riuniscono su base mensile a Palermo o in aree limitrofe. I temi sono lo sviluppo su piattaforme Google, dunque come sviluppare per Android, Youtube, Google Maps, Google Earth e altri sistemi che noi tutti utilizziamo tutti i giorni. Molto spesso Google ci ha inviato specialisti da San Francisco, da Londra, che ci hanno raccontato come funzionano queste tecnologie e dunque abbiamo utilizzato informazioni di prima mano da questi grandi esperti.
2. Oggi sicuramente possiamo dire che esiste un intreccio tra lavoro e comunicazione digitale, si può parlare di lavoro social. I social network danno lavoro innanzitutto, ma allo stesso tempo il lavoro oggi ha dato una nuova dimensione ai social network, che hanno assunto una sfera pubblica. Nella sua esperienza come si è verificato questo intreccio?
Passantino: Io l’anno scorso in particolare mi sono occupato dello sviluppo di un’app per Facebook, un’ app mobile dedicata al mondo del lavoro. Sono stato Capo Progetto per lo sviluppo della parte mobile del sito cercolavoro.com: abbiamo dato l’opportunità a questa azienda di essere presente attraverso la propria pagina Facebook e di mantenere informati i propri utenti su quali erano le offerte di lavoro – che potevano apparire anche personalizzate – disponibili sul territorio nazionale, in più queste offerte potevano essere consultate attraverso una specifica app mobile creata per iPhone e Android, perché molto spesso si consulta queste offerte quando si ha poco tempo, in metro, in treno o a casa sul divano, in questo modo credendo molto nell’unione tra mondo del lavoro, ricerca del lavoro e il posto in cui le persone si trovano, passano il proprio tempo, quest’azienda ha deciso di investire su quella piattaforma.
3. Il primo passo, ad esempio per Facebook, nato come strumento per connettere le persone, è stato passare dalla sfera privata a quella pubblica. Oggi ha quasi ricevuto un’investitura ufficiale come mezzo di comunicazione. Com’è successo e perché?
Passantino: È molto complicato da spiegare in poche parole, però dobbiamo considerare un numero: oggi Facebook è una nazione a livello mondiale, ha superato da tempo un miliardo di utenti e sono tutti praticamente connessi. Una cosa importante che dobbiamo tenere in considerazione: anche se non siamo su Facebook ci sarà qualcuno che su Facebook continua a parlare di noi, perciò tante vale esserci per potere monitorare la conversazione fatta su di noi e interagire con essa.
Una domanda particolare abbiamo rivolto invece al giornalista Di Stefano:
- Michele Serra, che non è iscritto a Facebook né a Twitter, nella sua celebre L’amaca afferma quanto segue: “se il network è social, è piazza, allora ogni tweet merita la stessa attenzione e fatica che si dedica a un editoriale”. Lei che ne pensa?
Di Stefano: Ogni tweet un editoriale… può essere. Il punto è che l’attenzione rispetto all’editoriale è sicuramente maggiore rispetto a un flusso di tweet, in generale rispetto al flusso di notizie sui social network. Sui social si va verso un affollamento di notizie che è una questione fisica, dipende dal nostro cervello che fa una semplificazione delle notizie percepite, quindi sui social network si ha un’attenzione minore. Sul quotidiano l’editoriale è digerito meglio, c’è un approfondimento maggiore. L’editoriale rispetto al tweet tra l’altro ha una caratteristica diversa per certi versi, una caratteristica migliore, nel senso che l’editoriale si esplicita poi con tanti caratteri, tanti pensieri, tante parole, il tweet è un messaggio telegrafico, l’sms del terzo millennio, è molto più pubblicitario rispetto all’editoriale, sono due sistemi diversi.
Infine, le domante poste all’autore Marco Camisani Calzolari sul suo libro, di cui potete ascoltare le risposte nell’audiointervista posta in alto:
- Com’è nata l’idea di questo libro e qual è la tesi principale?
- Nel suo libro parla in particolare dell’inefficacia di una strategia quantitativa volta ad ammassare grandi quantità di fan e lettori. Come si elabora invece una strategia qualitativa?
- Si parla del problema dei finti follower, di bot e falsi click. Qual è la differenza tra questi fenomeni?
- La visibilità quindi è così importante?
- Uno scenario apocalittico: improvvisamente Facebook sparisce. O anche a voler essere più concreti possiamo immaginare possa diventare a pagamento, oppure semplicemente che possa passare di moda. Come cambierebbe il contesto?