Catania–La Festa di Sant’Agata, patrona di Catania, è una festa religiosa tra le più belle al mondo: dal 3 al 5 febbraio tre giorni di culto, devozione, folklore e tradizione. In questi tre giorni la città etnea dimentica ogni cosa per concentrarsi sull’evento che attira ogni anno sino a un milione di persone, tra devoti e curiosi.
Sant’Agata, secondo la tradizione cristiana, fu martirizzata per non essersi piegata ai corteggiamenti del proconsole Quinziano. Nell’allegoria della solennità agatina l’elemento del martirio ha un ruolo preponderante.
Andando alla festività, il primo giorno è riservato all’offerta delle candele. Una suggestiva usanza popolare vuole che i ceri donati siano alti o pesanti quanto la persona che chiede la protezione. Lo stesso giorno c’è l’uscita dal Palazzo Comunale delle “Carrozze del Senato”, carrozze settecentesche a bordo delle quali il sindaco e le autorità cittadine si recano alla Chiesa di San Biagio per portare le chiavi della città alle autorità religiose.
Il 3 febbraio è anche il giorno dei cerei, meglio conosciuti dai catanesi come cannalore, ovvero grosse costruzioni realizzate in stile barocco che vengono portate in spalla dai fedeli. Le cannalore rappresentano le corporazioni delle arti e dei mestieri della città: c’è la cannalora degli ortofloricoltori, dei pescivendoli, dei fruttivendoli, dei macellai, dei produttori di pasta, dei pizzicagnoli, dei bettolieri e dei panettieri. A queste si aggiungono il cereo del Circolo Sant’Agata, i cerei del Villaggio Sant’Agata e dei rinoti, che fanno capo rispettivamente al quartiere del Villaggio Sant’Agata e alla frazione di San Giuseppe La Rena; infine il cereo più piccolo, ovvero il cereo di Sant’Aita, donato nel 1766 da Monsignor Salvatore Ventimiglia.
La prima giornata di festa si conclude in serata con un grandioso spettacolo di giochi pirotecnici in piazza Duomo, i cosiddetti spari da sira ‘o tri. I fuochi artificiali hanno anche una valenza simbolica: essi ricordano la santa patrona martirizzata sulla brace che vigila sempre sul fuoco dell’Etna e di tutti gli incendi.
Il 4 febbraio è il giorno più emozionante, perché segna il primo incontro della città con la santa patrona. Il lungo cordone, che trasporta il busto reliquiario di Sant’Agata, issato su un fercolo d’argento rinascimentale, si muove lungo le vie della città etnea. Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della santa: il Duomo, dedicato alla vergine e martire catanese, la marina, da cui i catanesi videro partire le reliquie della santa per Costantinopoli, la “colonna della peste”, che ricorda il miracolo compiuto da Sant’Agata nel 1743, quando la città fu risparmiata dall’epidemia. Tipiche sono le parole gridate dai fedeli che portano il cordone: cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti, cittadini, viva sant’Aita. Sono proprio i fedeli, che tradizionalmente indossano il saio bianco e la berretta nera, i veri protagonisti della festa: buona parte del folklore è dovuta alle loro grida, ai loro costumi e alla loro fede che si conserva immutata negli anni. Nella notte del 4 febbraio, infine, il fercolo, detto dai catanesi a’ vara, giunge nella Cattedrale catanese dove viene riposto il busto reliquiario.
Nel pomeriggio del 5 febbraio ha inizio la seconda parte della processione che si snoda per le vie del centro di Catania. Il momento più atteso è il passaggio per lavia di San Giuliano, la cosiddetta acchianata di San Giuliano, il punto più pericoloso di tutta la processione nel quale in passato si sono verificate tragedie, ultima in ordine cronologico la morte di Roberto Calì nel 2004. Nella mattina del 6 febbraio il fercolo giunge in via Crociferi ed è qui che si eleva il canto angelico delle monache di clausura. Successivamente i fuochi artificiali segnano la chiusura dei festeggiamenti Folklore, tradizione, religione e non solo: Sant’Agata è anche gusto. Vengono realizzati per la ricorrenza alcuni dolciumi che hanno un riferimento a Sant’Agata, come i cassateddi di Sant’Aitae le olivette. Le cassateddi, o minni di Sant’Aita fanno riferimento alle mammelle che furono strappate alla santa durante i martiri, le olivette, invece, si riferiscono alla leggenda secondo la quale la santa, inseguita dagli uomini di Quinziano, si rifugiò sotto un albero d’ulivo grazie al quale poté ripararsi e cibarsi.
Finiti i festeggiamenti bisognerà aspettare un altro anno per poter rivivere quella che è la terza festa religiosa al mondo per importanza, una solennità dove tradizione e religione convivono indissolubilmente.