Unire l’etica all’estetica nella filiera produttiva nella moda, eliminando l’utilizzo delle sostanze tossiche nel processo di realizzazione dei tessuti.
Obiettivo: arrivare a rendere i consumatori consapevoli e far loro valutare al momento dell’acquisto non solo il livello di prezzo di un capo ma anche il costo reale, sociale e ambientale, che si cela dietro un prodotto di moda.
E’ quanto si prefigge Altroconsumo che presenta i risultati dell’indagine Cambiamo abito, dossier che ripercorre le diverse esperienze, tra innovazione e tentativi di sensibilizzazione, riunendo oggi a Palermo, al convegno #dirittiallamoda, esperti di settore e opinion maker.
Nel mirino ci sono undici classi di sostanze pericolose per l’ambiente e per la salute, tra cui flalati, alchilfenoli, etossilati, PFC, ammine associate a coloranti azoici, metalli pesanti.
Sostanze ricercate nei test sul tessile e in diversi casi rintracciate. Sui pigiamini per bambini trovati flatati e coloranti,; sulla biancheria intima coloranti, solventi, metalli pesanti, nonilfenolo e nonilfenololetossilato; sui jeans tracce di metalli pesanti e formaldeide; sulle maglie da calcio tracce di metalli.
Altroconsumo ne chiede l’eliminazione e non la semplice riduzione. Quando ci sono di mezzo sostanze tossiche, non esiste una soglia concentrazione sotto la quale il problema diventa accettabile, essendo tutti noi contemporaneamente esposti a più fonti tossiche, rischiando dunque l’effetto cocktail. Da sottolineare: i residui rintracciabili sul prodotto finito equivalgono solo a una piccolissima parte della quantità usata nelle filiere di produzione: la maggior parte è già finita nell’ambiente.
Altroconsumo si impegna a nome di tutti i consumatori: vestire più green e sostenibile non deve essere appannaggio di pochi eletti a prezzi irraggiungibili ma un modo di pensare, vivere e scegliere i capi di abbigliamento responsabile e attento alla salvaguardia dei diritti, al rispetto dell’ambiente, al premiare le aziende virtuose per spingere tutto il settore a migliorarsi.
Fornire a chi acquista strumenti concreti, come l’etichetta consapevole che racconti la storia produzione del capo, una smart label, diffondendo la cultura della valutazione oggettiva e della scelta attiva innescherà un processo virtuoso tra una domanda più cosciente e un offerta più pulita.