Palermo – Si è celebrato il 22° anniversario dell’eccidio del magistrato Paolo Borsellino, del caposcorta Agostino Catalano e degli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, avvenuto per mano mafiosa con un’autobomba il 19 luglio 1992.
Ricco il programma e le manifestazioni che si sono susseguite nei giorni 18, 19 e 20 luglio. TrinacriaNews.eu è stata alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo per il Convegno organizzato da Rete Universitaria Mediterranea, Associazione studentesca Contrariamente, Associazione culturale Falcone e Borsellino e Testata giornalistica on line Antimafiaduemila, dal titolo Un Paese senza verità: continuare a cercarla 22 anni dopo la strage di Via D’Amelio.
L’evento, moderato dal vice-direttore della testata Lorenzo Baldo, ha avuto come relatori: Salvatore Borsellino, Giuseppe Lombardo, Francesco Del Bene, Antonio Ingroia, Saverio Lodato, Margherita Asta, Giorgio Bongiovanni.
Clamoroso l‘ingresso dei movimenti Scorta civica e Agende rosse nell’atrio della Facoltà di Giurisprudenza, intestato per volontà studentesca ai giudici Falcone e Borsellino. Infatti, a ridosso del corteo, partito alle 19,00 dal Palazzo di giustizia ed i cui partecipanti sono pervenuti per l’occasione da ogni parte d’Italia, che in coro dicevano: “Fuori l’agenda rossa di Paolo Borsellino” e, rivolgendosi al PM Nino Di Matteo anche se non presente al convegno, “Sei tu il nostro Stato”, “Siamo tutti Nino Di Matteo”.
Galleria fotografica Pietro Montagna
Così ha commentato l’assenza di Di Matteo Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e fondatore del movimento ”Agende Rosse”: Capisco le ragioni dell’assenza di magistrati come Roberto Scarpinato, oggi procuratore generale a Palermo, e del pm Antonino Di Matteo volte a evitare che la loro partecipazione al convegno o al sit-in per la strage di via D’Amelio possa prestarsi a strumentalizzazioni. Sono cautele necessarie che capisco.
Dopo i saluti istituzionali di Giuseppe Verde, ordinario di diritto Costituzionale della Facoltà universitaria ospitante, questi ha evidenziato che: il nostro Paese attraversa momenti strani e stiamo ancora con l’ansia di conoscere la verità, a distanza di anni, nella speranza di una presenza autenticamente democratica al suo interno. Per varie ragioni il nostro Paese non sempre è sostenuto da parte di coloro che avrebbero il dovere istituzionale di concorrere ad accertare e ricostruire i fatti.
Successivamente si è avuta una piccola anteprima dell’esibizione artistica L’arte uccide la mafia, del gruppo Our voice, composto da bambini e giovani dai 4 a ai 18 anni, tutti provenienti dal Molise.
Si sono susseguiti altri interventi,tra cui quello del giudice argentinodel distretto giudiziario di Santa Fé, Juan Alberto Rambaldo, tornato a Palermo anni dopo la sua prima partecipazione alle manifestazioni in memoria di Paolo Borsellino. Egli ha espresso, nel corso del convegno, la sua vicinanza ai magistrati, sostenendo che: c’è una guerra e che la lotta di Borsellino, Falcone, Ingroia, Di Matteo, deve avere la solidarietà del popolo. Sembrano soli ma, in realtà sono accompagnati dal popolo, perché la sovranità del popolo è del popolo. Ed è compito del popolo accompagnare questi giudici che cercano la verità contro coloro che vogliono trasformare l’uomo in una macchina lontana dalla verità. Questa è la lotta di tutti, ognuno nel suo luogo. Chi nelle strade, chi nelle università, chi nei tribunali, chi in parlamento.
E’ seguito l’interventodel Fondatore della redazione Antimafiaduemila, Giorgio Bongiovanni. Egli ha evidenziato che – alcuni giuristi, storici, intellettuali dicono che “la mafia non ha vinto”. Io dico: La mafia non ha perso, è molto forte, soprattutto quella dei colletti bianchi. Questo processo della trattativa è molto importante. Sono stati ascoltati i capi supremi della Cassazione dai PM, ed hanno risposto: non ricordo. Ci sono giudici e giudici, giudici che rischiano la vita e giudici che non ricordano. Coloro che hanno partecipato alla condanna a morte di Falcone e Borsellino, sono, ancora potenti, che comandano. Accade che quando l’asse dei magistrati calabresi e siciliani alza il livello delle indagini che superano i capi delle cosiddette famiglie mafiose calabresi e siciliane, ecco che arrivano le minacce, le condanne a morte, (es. la condanna a morte di diversi magistrati palermitani e del Giudice Nino Di Matteo da parte di Riina,) perché c’è un livello più alto, oscuro che permette l’esistenza della mafia. Questi giudici sono qui, vivi, ancora, grazie a Dio. Alcuni giudici hanno cambiato apparentemente casacca, come Antonio Ingroia. Ma sono lì, in prima linea, ma ci sono giudici che non vogliono fare la vera lotta alla mafia e che sono vicini al potere politico. Questi giudici sono stati quelli che hanno costretto Ingroia ad andarsene e questi giudici vogliono ostacolare certe indagini. Quindi non c’è solo la politica potente, ma c’è anche una magistratura potente che, a volte non fa quello che deve fare, Falcone e Borsellino erano ostacolati in forma brutale dai giudici, dai loro colleghi.
E’ stata poi la volta del PM calabrese Giuseppe Lombardo – il quale ha fatto leva sul fatto che: Noi oggi a Palermo parliamo della trattativa Stato-mafia, ma nella Locride i sequestri di persona degli anni ’80 servivano per intavolare una trattativa con lo Stato perché la mafia calabrese ha capito che mantenendo un sequestro per oltre due anni lo Stato si inginocchiava.
Il sostituto procuratore di Palermo, Francesco Del Bene riallacciandosi al discorso di Bongiovanni, ha affermato che: ci sono giudici e giudici. E’ vero. C’è stato un cambiamento di rotta prima e dopo le stragi. Dopo le stragi, c’è stata una generazione di magistrati che non ha più guardato in faccia a nessuno. Perché quei giudici che avevano impedito le indagini, sono finiti dietro la lavagna, per fortuna. E’ questa una fase alta dello Stato, in cui deve processare se stesso. Le barriere ci sono state e non sono state dai mafiosi, ma dagli apparati dello Stato, che per proteggere se stessi, per proteggere quel potere che avevano gestito e per legittimarsi, si riciclano con forme diverse.
Per Antonio Ingroia, ex PM del processo sulla trattativa Stato-mafia, Il volto dello Stato che prevale non è il volto dello Stato rappresentato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino.Ma il volto che prevale è quello dello Stato assassino che ha ucciso i suoi figli migliori. Quando Nino Caponnetto, preso dallo sconforto,disse quella frase secca e terribile: è finito tutto, subito dopo la morte di Paolo, quel 19 luglio, disse purtroppo la verità.Non lo dico con aria di sconfitta e rassegnazione. Dobbiamo avere anche la forza e la spietatezza con noi stessi per guardare la realtà in faccia. Questa ci dice innanzitutto che noi, come Stato, noi come Paese, non abbiamo meritato il sacrificio di questi uomini. Non abbiamo saputo meritare il sangue di Paolo Borsellino e di altri caduti nella lotta contro i poteri criminali. Ma, tardi la giustizia arriva, come nel caso dell’omicidio di Mauro Rostagno a Trapani, quasi dopo 30 anni ed anche lì, con una verità incompleta. Poi c’è un signore che pensava di trascorrere la latitanza “dorata” a Beirut ma, oggi è finalmente ospite – consentitemi – “delle patrie galere”; si chiama Marcello dell’Utri, ex senatore, pregiudicato, condannato con sentenza definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, oggi imputato nel processo Trattativa.
Il giornalista Saverio Lodato, è ricorso ad un’espressione che ha ripetuto frequentemente nel corso del suo intervento: “nausea”. Nausea nei confronti degli uomini politici di oggi, che ieri furono magistrati antimafia. Magistrati che oggi parlano come se fossero dei riservisti della grande guerra, con la supponenza e la superficialità di chi si rivolge ai colleghi che oggi stanno facendo una piccola guerra. Io, questo lo trovo nauseante, perché alcuni di questi commentatori hanno all’attivo più anni di attività politica, alla Camera, al Senato ed al Parlamento europeo di quanti non ne abbiano di magistrato, quando facevano i magistrati. Allora, avessero almeno la bontà di tacere quando si vedono in difficoltà i loro colleghi che oggi continuano ad indagare.
Nell’intervento di Salvatore Borsellino, questi non ha nascosto il suo senso di vuoto perché – ha sottolineato: stasera mancano Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato “sono stati messi nelle condizioni di non venire. Borsellino ha messo in evidenza anche il ruolo di Massimo Ciancimino in quanto – ha spiegato – senza di lui questo processo (sulla trattativa Stato-mafia, ndr) non si sarebbe potuto fare, ancora la trattativa sarebbe ipotetica.
TrinacriaNews.eu ha intervistato Salvatore Borsellino, l’ex Pm Antonio Ingroia e il giornalista Saverio Lodato. Ecco il contenuto delle interviste:
Salvatore Borsellino
D. La frase detta da suo fratello Paolo: “quando sarò ucciso, mi avrà ucciso la mafia, ma la volontà non sarà stata di matrice mafiosa”. Cosa ci dice a proposito?
R. Paolo si era reso conto nel corso della sua vita che, i maggiori pericoli per la sua sopravvivenza arrivavano, non solo dalla mafia che, sicuramente l’aveva condannato a morte. Ma lui sapeva che chi avrebbe affrettato la mafia non sarebbe stato la mafia. Sapeva che, come per Giovanni c’erano delle forze occulte che tramavano per eliminare Giovanni Falcone. Così, le stesse forze, lo stesso sistema di potere avrebbero cercato di eliminarlo. E purtroppo, è quello che si è verificato. E ciò lui lo ha detto fino agli ultimi giorni della sua vita.
D. A proposito dell’agenda rossa e le coperture volontarie perché non si evincesse la verità in essa contenuta. Tale agenda è possibile che, ancora non venga fuori per consentire di esercitare un’azione di ricatto da parte dei suoi detentori nei confronti di alcuni pezzi dello Stato?
R. Purtroppo, non possiamo sapere cosa c’era contenuto dentro l’agenda. Però, siccome Paolo ha cominciato a scrivere su quell’agenda dal giorno dopo la morte di Giovanni Falcone, perché lui stesso, in più occasioni aveva detto, che della strage di Capaci era un diretto testimone, e si aspettava di essere chiamato dalla Procura di Caltanissetta per dire quello che aveva scoperto su quella strage. Sicuramente in quell’agenda, Paolo era riuscito a raccogliere, non solo le ultime parole, ma anche gli ultimi sguardi di Giovanni Falcone, in quanto dopo le ferite riportate, questi non riusciva neppure a parlare. Sicuramente, Paolo era venuto a conoscenza di quella trattativa avviata da pezzi dello Stato con la mafia. E sicuramente, di quelle cose, nell’agenda avrà scritto. Io ritengo che, uccidere Paolo senza fare sparire quell’agenda non sarebbe servito a niente. Ritengo che, del contenuto di quell’agenda si basino una serie di ricatti incrociati e addirittura, reggono gli equilibri di questa Repubblica, che chiamano seconda Repubblica.
D. Per tale commemorazione non ci sono per la scelta della vostra famiglia, né “avvoltoi” – come li avete definiti – che sfilano in questa manifestazione, né persone che occupano abusivamente le poltrone. Lei è soddisfatto di questa scelta? E’ un messaggio provocatorio?
R. Sicuramente. Io da cinque anni vado in via D’Amelio proprio per impedire che delle persone vengano lì a portare delle corone per un morto, la cui morte, loro stessi, pezzi dello Stato hanno provocato. Non sono soddisfatto, perché vivo in un Paese in cui le Istituzioni hanno paura di un’agenda rossa levata in alto.
Antonio Ingroia
D. La sua fuoriuscita dal corpo della Magistratura cosa le è costato?
R. Mi è costato molto, però è stata purtroppo, una scelta inevitabile, in una situazione ormai insostenibile per la quale non si riusciva più a fare un passo avanti nelle indagini, nella quale era cresciuta la delegittimazione, gli attacchi, l’accerchiamento nei miei confronti. Non sarei più potuto riuscire a fare grossi passi avanti nelle indagini. Allora, ho ritenuto che la soluzione migliore fosse trasferire la battaglia su un altro terreno. Oggi faccio l’avvocato, mi occupo di parte civile di mafia. Mi occupo anche di politica, perché soltanto cambiando la politica potremo arrivare alla verità.
D. Cosa direbbe a storici, giuristi, alti esponenti dello Stato “con carriera galoppante”, come lei li ha definiti, perché possano valutare di fare un passo indietro e restituire la verità?
R. Io credo che loro non la faranno mai spontaneamente. Allora, bisogna creare un “Movimento popolare per verità e giustizia”, che costringa tutti a fare quel passo indietro.
D. A proposito del disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, molto “gettonato” da parte di alcuni politici, quanta ingiustizia c’è in questo provvedimento, secondo lei, nei confronti di quei magistrati che fanno i magistrati?
R. E’ un atto di limitazione dell’autonomia e del’indipendenza. Quindi, non è certo questa la priorità. La priorità è la lotta contro la mafia e la corruzione. Ma non costituisce oggi, la priorità politica del Governo Renzi.
D. Cosa è quello che non si é fatto, che può essere fatto, che deve essere fatto, secondo lei?
R. L’elenco è lungo. Bisogna innanzitutto, sostenere i magistrati che si muovono su questa strada in salita. In secondo luogo, bisognerebbe aprire una sessione per l’accertamento della verità, che sia una sessione nella quale, ad esempio, il Parlamento nazionale, su questo tema apra, come si farebbe in qualsiasi Paese democratico, “una sessione per la verità, la giustizia e la vera democrazia”
D. Il fatto che ci siano soltanto Scorta civica, Agende rosse, che sono appunto, dei movimenti sociali, la dice lunga sul fatto che non ci siano esponenti politici a capeggiare queste organizzazioni?
R. E’ la dimostrazione che, ancora si deve fare molta strada per avere reale verità, giustizia e democrazia. Un Paese senza verità è un Paese senza Democrazia.
Saverio Lodato
D. Lei ha evidenziato il termine antimafia, citando Don Ciotti ed il suo pensiero, il quale vorrebbe quasi cancellare questa parola. E’ verosimile che lei si contrapponesse al pensiero di D. Ciotti, trapelandosi forse, la volontà di riesumare il termine “antimafia” per dare dignità a questa parola ed a coloro i quali invece ci credono fortemente? Inoltre, cosa direbbe a coloro i quali si fregiano di questo titolo, ma poi fanno altro, semmai carriera?
R. Io non intendo contrappormi a Don Ciotti, non voglio riesumare la parola antimafia. Ritengo che ci sia una sola parola per definire un atteggiamento di respingimento, rispetto a tutto quello che accade, che è la parola “antimafia”, che va benissimo, come per decenni è andato bene nel nostro Paese parlare di Antifascismo e di Resistenza.
D. Se dovesse incontrare utopisticamente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, cosa gli direbbe?
R. Di venire subito a Palermo a deporre al processo sulla Trattativa e possibilmente, di venire in treno e non spendere molto per il suo viaggio!