Come erano contenti, i contadini e i proprietari terrieri, quando nelle nostre campagne videro girare per la prima volta i trattori! Davvero facevano il lavoro non di cinque muli, ma molto molto di più. Le mule dovevano essere “necessariamente femmine” che, comunque, erano sterili, e un po’ selvagge, ma molto più addomesticabili dei muli maschi, che, anche se castrati “sentivano” l’odore della femmina: un pericolo anche per le contadine.
Il trattore scoperchiava la terra e l’annata, detta anche esigenza era più produttiva; maltempo e altre calamità permettendo. Dopo i trattori, arrivarono la trebbiatrice e di seguito le metitrebbie e il lavoro della pisata, (vedi articolo precedente https://www.trinacrianews.eu/ora-vi-racconto-della-pisata-era-davvero-un-rito/) che durava mediamente tutto il mese di luglio, si svolgeva in una mezza giornata. E finì il lavoro in campagna per molti mussomelesi. Oltre all’ormai storica emigrazione nelle Americhe, iniziò agli inizi degli anni Sessanta il mito delle fabbriche del Nord. E molti paesani e amici andarono anche in Inghilterra, Francia, Germania. Non so dirvi per quale misterioso motivo Albenga, cittadina in provincia di Savona, era la meta più gettonata, ma suppongo perché nella cittadina ligure, in quegl’anni, sorgevano tante fabbriche di scarpe. In molti in quei tempi e penso che il detto sia ancora attuale, anzi tragicamente attuale: unni c’è pani, chiddu è u me paisi.(dove c’è lavoro, quello è il mio paese). Ma anche Palermo, che era relativamente vicino (tre ore e mezzo di corriera) fu una delle mete prescelte.
In estate, più precisamente ad agosto e per la festa della Madonna dei Miracoli, l’8 settembre, arrivavano a frotte gli emigrati: tutti arricchiti, che toscaneggiavano e con l’aria del continente. In molti partivano che si chiamavano Calogero e ritornavano da Londra facendosi chiamare Charles (esattamente come il centravanti della Juventus) e parlavano di pub, di whisky, di fimmini, anzi girl (una diversa ogni sera) e di autobus a due piani : chi ci aviva a fari u pullman di Mario Lanzalaco ( nessun confronto con il pullman del gestore del servizio Palermo-Mussomeli, Mario Lanzalaco).
U travagliu addivintò work e lavari i machini to wash a car.
E si perché Calogero o Charles, fate voi, faceva a Londra lo stesso lavoro che faceva a Mussomeli; ma cambiava, non solo la lingua, ma al posto della lira c’era la sterlina che valeva un bel pò di soldi, al cambio. Veniva anche Francesca da Parigi, ma non si chiamava più così, ma Francoise e da sartina na za Sarina, (signora Rosaria) lavorava nella Maison di Coco Chanel. Io ci credevo poco, ma sempri di cusiri si trattava, (ma sempre di cucire si trattava) e c’era il franco che valeva molto di più della lira. Se poi non era la Maison di Coco Chanel, ma più modestamente la boutique di Pasquale Lo Curto, emigrante anche lui da San Cataldo, la differenza non era poi tanta!
Da Albenga arrivavano le ragazze che lavoravano nelle fabbriche di scarpe, ma non si chiamavano più Pippina, ma Giusy, Geppy e La Pina, non più Tanina, bensì Tania, meglio ancora Tonia. Non più Filomena, ma Filì, non più Serafina, ma Fanny. Poi c’era Calogera che era diventata Connie.
Quelle che lavoravano a Palermo da criate passavano a cameriere, pardon colf, e da Ciccina si passava solo più modestamente a Francesca, e Vicia, solamente ad Enza o Vince. Poi il mio amico d’infanzia Turiddu, che da Bologna mi mandava le cartoline, firmandosi Salvo… Vo vidiri un progressu… Io da Pitrù son passato a Pietro, ma il sapore di quegl’anni l’ho ancora addosso e, alla faccia del progresso, mi faccio chiamare ancora, Pitruzzu.