Articolo a cura del dott. Stefano Catalano e della dott.ssa Maria Rimi Associazione “Salviamo il Castello di Calatubo”
Alacamo (TP) – Ad appena tre chilometri dalla città di Alcamo, sorge superbo e maestoso su un’alta rocca il castello di Calatubo. Esso come un vero nido d’aquila domina tutta la vallata che va da Castellammare del Golfo, Balestrate, Trappeto e Monte Bonifato, regalando all’ignaro visitatore uno dei paesaggi più suggestivi e mozzafiato della Sicilia Occidentale.
Il Castello è evidente nella sua mole quando da Trapani si va verso Palermo e lo si scorge dalla vicina autostrada, l’occhio osserva ammaliato le antiche fabbriche che si snodano per tutta la rupe lunga ben 152 metri assecondandone l’assetto, tanto da dare l’impressione di essere eruttate dalla stessa rocca.
Il toponimo arabo Qal’at (Castello), costituisce la radice di partenza di molti paesi (Calatabiano, Caltabellotta, Calatamet, etc) caratterizzati da un arroccamento in luoghi alti e di difficile accesso, sormontati da un castello.
Il sito, per la sua posizione strategica e la fertilità dei terreni circostanti, dotato di un area portuale e di un fiume un tempo navigabile, vanta una storia antichissima di cui sono testimonianze nell’area antistante l’ingresso del castello, il rinvenimento accidentale di tombe pertinenti ad una vasta necropoli e di materiale ceramico databile fra il VII ed il V secolo a.C. che denotano la presenza di un antico abitato, del quale, sono ancora incerte l’ubicazione e l’identificazione. Lo studio della ceramica, rinvenuta in superficie, indica una sostanziale continuità di vita dell’antico insediamento fino alla prima metà del III secolo a.C. Chiare tracce di frequentazione del sito risalgono addirittura al lontanissimo Paleolitico inferiore, e fanno pensare all’ipotetico insediamento stabile dell’uomo nell’era Neolitica con la costruzione di un villaggio. Divenne un importante centro Sicano-Elimo nel periodo Arcaico-Ellenistico, successivamente fu avamposto RomanoBizantino per poi diventare una importante Roccaforte e città Araba, come testimonia il famoso geografo arabo Ibn Idrisi (1154) nella sua celebre Cartografia della Sicilia Araba “Il libro di Ruggero”. Essa rappresenta la prima memoria iconografica del sito contenuta nella rappresentazione cartografica del mondo che evidenziano l’importanza di (Qal’at ‘Awbì) in età normanna. Il ricco territorio comprendeva il castello e un “paese grande”. L’area, lambita ad est da un fiume navigabile, accoglieva anche un “caricatore” approdo per il trasporto dei prodotti cerealicoli provenienti dal feudo. Inoltre, un’ulteriore fonte di ricchezza era nella stessa natura geologica della roccia che permetteva di cavare pietra da mola per mulini “persiani”.
Trent’anni dopo anche il pio viaggiatore andaluso Ibn Giubàyr (famoso per le sue relazione dei territori visitati) visiterà Calatubo. Di esso scrive Rosa Di Liberto in “Il castello di Calatubo. Genesi e caratteri di un inedito impianto fortificato siciliano fra l’XI ed il XII secolo”.
Inaccessibile dai versanti settentrionale ed orientale, caratterizzati dal forte scoscendimento della roccia, il castello di Calatubo rivolge il suo ingresso ad occidente, dove la rupe scende verso la valle in dolce declivio. Qui, una rampa gradonata conduce al monumentale fronte turrito ed al piano della corte (26 χ 20 m;). Una chiesa ad aula ed alcuni diruti locali attigui costituiscono le uniche strutture architettoniche comprese entro questa prima linea difensiva, chiusa a Sud da un muro continuo. Il cortile è dominato dal castello, che vi prospetta dall’alto dell’incombente costone di roccia con la sua facciata sovrastata da torrette che conservano tracce di una merlatura. Un portale, prossimo al centro del lato est della corte, introduce al secondo recinto. Quest’area, di forma fortemente allungata (ca. 20 χ 100 m), è compresa fra le ripide pareti di roccia su cui si fondano le strutture del castello ed un ininterrotto corpo di fabbrica che, nell’ultima fase di vita del complesso, era adibito a magazzini per la produzione vinicola. Un muro, conservatosi frammentariamente, chiude il perimetro di questa corte in direzione est. Inerpicandosi sul rilievo, tale muro raggiunge un terzo circuito murario che recinge la zona più elevata dell’altura, dove si attesta ad una torre oblunga. La forma di questa torre, sul limite orientale dello strapiombo, è determinata dalla stessa morfologia del banco roccioso su cui si fonda. Un camminamento fra muri collega il piccolo baluardo difensivo al nucleo principale del castello costituito da un compatto parallelepipedo di 7 χ 21,50 m costruito lungo la cresta meridionale del rilievo roccioso. Il fianco nord di tale corpo di fabbrica prospetta su un cortile di forma pressoché triangolare, al di sotto del quale è un’ampia cisterna che sfrutta una cavità naturale della roccia. In direzione ovest, senza soluzione di continuità, si succede una serie di ambienti dal carattere più marcatamente residenziale, compresi entro i limiti naturali dell’altura. La costruzione di alcune parti delle strutture superstiti si fanno risalire al periodo Bizantino–Arabo, infatti, ancora oggi il Castello rappresenta un raro esemplare di fortificazione di quel periodo storico, unico in Sicilia, nonostante le continue modifiche apportate nel tempo per i continui rimaneggiamenti effettuati dai tanti proprietari che adattarono l’antico maniero alle proprie esigenze.
Appartenne nel corso del tempo a numerosi importanti famiglie nobili siciliane e non Ponc de Blancfort (1278), Federico d’Antiochia (1335), Raimondo Peralta (1336), Manfredi Aurea (1361), Artale De Luna (1403), Duchi di Bivona (1554), Baroni De Ballis (1583) e infine passa per matrimonio ai Papè Principi di Valdina (1707) i quali eredi nel 2007 lo donarono al Comune di Alcamo, (attuale proprietario). Il primo documento scritto che parla del Castello risale al 1093 nel Diploma del Gran Conte Ruggero d’Altavilla il quale assegna Calatubo “Calatub cum omnibus suis pertinentiis”, con tutte le sue pertinenze alla diocesi di Mazzara. Successivamente tantissimi avvenimenti di natura storica si susseguirono dentro le sua mura. Al suo interno nacque nel 1724 Ugo Papè, figlio di Donna Gaetana De Ballis ultima Baronessa di Calatubo e di D. Giuseppe Papè Principe di Valdina. Nominato Vescovo di Mazzara del Vallo il 24 aprile del 1773, visitò tutti i luoghi della vasta diocesi lasciando profonde orme delle iniziative prese a favore degli edifici, degli istituti di educazione e di beneficenza. Gettò le fondamenta del Palazzo vescovile, edificò alcuni tratti della Cattedrale e la Cappella del Sacramento. Per il Seminario, questo del governo Papè, è chiamato “Il periodo d’oro”, per le fabbriche, amministrazione, disciplina e studi, pietà e scienza. Mons. Quinci scrive di lui: “Non si possono contare le varie ed altre sue interessanti opere fatte, si può dire in ogni luogo della diocesi”. Nel dicembre del 1790, il Vescovo Ugo Papè si recò a Palermo (quasi a presagio della sua morte) ove si ammalò e morì il 13 gennaio 1791. Il suo corpo, trasportato a Mazzara, venne tumulato, dopo le solenni esequie, nella Cappella del SS.mo Sacramento della Cattedrale nel sepolcro che, ancor vivente si era fatto costruire.
L’impianto nella sua essenzialità delle fabbriche prive di apparati decorativi, in sintesi risulta chiaramente diviso in tre distinti ambiti recintati da muri. Il primo appartenente all’inizio del XI secolo, come palesa la presenza di una piccola torre posta a difesa dell’ingresso originario. Il secondo corpo risale alla fine dell’XI secolo con la costruzione di una seconda torre quadrangolare dalla quale si poteva accedere al piano del castello. E’ nel corso del XII secolo che si definisce il fronte ovest del castello, secondo forme e sagome che saranno riprese nei secoli successivi, con aggiunte e trasformazioni come ad esempio, nel XVII secolo, l’arco di ingresso leggermente ribassato. All’interno del primo circuito di mura si costituisce la “torre maestra” dai grandi spessori murari, che era contemporaneamente luogo abitativo, luogo di difesa e centro di avvistamento. Il terzo recinto murario nasce dalla suddivisione della seconda corte in una più piccola, sul nuovo ingresso, ed una più grande ad ulteriore difesa forse da un’altra torre.
Fra il XIII e XIV secolo la struttura militare di Calatubo viene ingrandita e trasformata non solo per essere confacente alle nuove tecniche di attacco militare ed alle nuove armi ma per essere una vera e propria residenza fortificata atta ad ospitarvi il Signore di turno, per essere poi abbandonato nel XV secolo a causa dello spopolamento delle terre (infatti alla fine del cinquecento le fabbriche sono descritte già in rovina).
La rinascita di questo complesso avviene alla fine dello stesso secolo quando, la famiglia De Ballis nel 1583 acquista il feudo e Don Graziano diventa il primo barone di Calatubo. Si avviano i lavori di consolidamento delle fabbriche medievali con la costruzione di una nuova ala residenziale e della chiesa nel terzo cortile . Nel XVIII secolo si ha la configurazione della facciata ovest della dimora, con la costruzione delle due torrette merlate e delle scale esterne che collegano i cortili inferiori alla residenza. Nel 1707 Donna Gaetana De Ballis eredita il feudo ed il castello di Calatubo, successivamente sposerà Giuseppe Papè principe di Valdina, 3° Protonotaro del Regno di Sicilia, trasferendone la proprietà a questa importante famiglia.
Tra la seconda metà dell’800 e i primi del 1900 il Castello di Calatubo divenne famosissimo in quanto ospitò uno Stabilimento Enologico dove si produsse il leggendario vino “Castel Calattubo” dei Principi Papè di Valdina, che ottenne le massime onorificenze e medaglie d’oro (maggior premio concesso ai vini Italiani) nelle più importanti Esposizioni d’Europa, conseguendo il brevetto di fornitore esclusivo delle Regie Cantine e la facoltà di fregiare con lo stemma Reale lo stabilimento, molte delle cene di gala tra i più importanti Premier dove si stabilirono le sorti dell’intera Europa furono accompagnate dal vin Castel di Calattubo.
Per trascrivere l’intera storia del Castello e delle sue origini, dei suoi illustri personaggi, nonché del suo protagonismo fino ai giorni nostri non basterebbe un intera enciclopedia. Nel tempo il Castello si è contornato da un alone di mistero che trapela dalle sue tantissime leggende che insieme alla sua atmosfera aurica hanno alimentato le fantasie e non dei viandanti. Storie di presenze e apparizioni, di sotterranei segreti nascosti, di profezie antichissime e incantesimi da svelare tra queste da ricordare la leggenda del re Biddicchio dove la tradizione popolare vuole che un figlio naturale di Re Martino I, fosse stato rinchiuso nelle segrete della omonima torre. Chiunque si rechi a visitare le rovine del Castello non può fare almeno di restare profondamente ammaliato, per la sua posizione strategica, il suo fascino, l’energia che si respira. Le sue pietre antichissime emanano millenni di storia, proprio perché in esse si racchiude tutta la storia della Nostra amata Sicilia.
Viaggiando da Palermo a Trapani, sono sempre stata affascinata dai ruderi di questo castello e lo immaginavo restaurato e poter entrare e godere di uno scorcio di Sicilia affascinante e unico. Ben venga finalmente il restauro , abbiamo in Sicilia autentici gioielli, riportiamoli al loro antico splendore inserendoli negli itinerari turistici e facciamo conoscere la nostra storia a tutto il mondo!