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Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno I - Num. 05 - 16 febbraio 2013 Sport

Alberto Malesani, un grande allenatore per il Palermo

Se c'era un tecnico capace di ridare linfa e coraggio ad una squadra in rotta di collisione, come il Palermo, ereditato da Gasperini, questi è Malesani

di Benvenuto Caminiti
         

Alberto MalesaniAlberto Malesani l’ho conosciuto di persona quand’era ancora solo un giovane, promettente allenatore. Erano gli anni “novanta” e, al seguito del Palermo, ero andato a Verona a vedere la partita dei rosanero contro il Chievo, guidato dalla panchina da un esordiente nella categoria: Alberto Malesani.

Campionato di serie B, ad allenare i rosanero, c’era un altro esordiente: Ignazio Arcoleo, reduce da due campionati vincenti in serie C, col Trapani.

Quel Palermo era stato unanimemente definito dalla stampa sportiva “la sorpresa” del campionato e venne chiamato da tutti “Il Palermo dei picciotti”, assemblato com’era stato dal suo mister – palermitano purosangue di Mondello – con una mezza dozzina di ragazzini, prelevati dalla “Primavera” rosanero, tutti giovanissimi alla loro prima vera esperienza nel calcio professionistico, tutti palermitani veraci.

Al Bentegodi di Verona, trovò un avversario duro e tenace e ben disposto in campo, che attaccava a tutto spiano, prendendo d’infilata la giovane, seppur coriacea, difesa rosanero. Ma il Palermo non subiva passivamente, ma ripartiva in contropiede, forte delle folate razzianti di un’ala rapida e sgusciante, dotata pure di uno spunto finale, che lo portava al gol. Quella aletta – tra le migliori mai avute dal Palermo nella sua ultracentenaria storia- rispondeva al nome di Tanino Vasari: il beniamino non solo del suo allenatore (che era anche il suo scopritore, avendolo notato in una squadretta dilettantistica, il Partinicaudace, e portato con sé prima al Trapani e poi, appunto, al Palermo) ma dell’intero “popolo rosanero”, che delirava per lui ad ogni scatto, ad ogni dribbling, ad ogni cross e, ovviamente di più, ad ogni gol. Perché questo era Vasari: un’ala veloce e guizzante dal dribbling stordente (altro che il tanto decantato Montesano: Tanino giocava per la squadra, pur coi suoi irresistibili “ assolo”; uno scatto e un cross, un dribbling e un “taglio”, un tocco di prima e un affondo: sempre in verticale, sempre verso la porta avversaria) che forniva assist in quantità industriale e faceva pure tanti gol. Una rarità per chi vive gran parte dei novanta minuti a dieci centimetri dal fallo laterale.

Ma dicevo di Vasari: Tanino portò in vantaggio il Palermo su un fulmineo contropiede, un “uno-due” rapidissimo col compagno più vicino, poi lo scatto in profondità, affilato e verticale come una spada, ed eccolo solo davanti al portiere clivense, che gli si avventa tra i piedi. Un lieve tocco d’esterno, un’autentica finezza, un altro vi si sarebbe perso, ma Tanino no, lui dribbla anche il portiere ed entra in rete con la palla sempre incollata al piede. C’erano tanti tifosi rosanero sugli spalti, erano quasi di più di quelli di casa, che era una squadra venuta su negli ultimi anni dalle categorie inferiori, quasi sbucata dal nulla, ovvero da un quartiere popolare di Verona. Era successo che la squadretta di borgata a poco a poco, anno dopo anno, era arrivata in serie B, scavalcando in classifica (e, lentamente, anche nel cuore dei tifosi) pure il Verona. E gran parte del merito di una tale stupefacente cavalcata era proprio di Alberto Malesani, alla guida del quale il Chievo aveva vinto gli ultimi due campionati. Quel gol – lo ricordo bene – dovette funzionare come elettrochoc per Malesani, che schizzò sulla panchina e diede la carica ai suoi ragazzi (qualcosa di più s’era possibile, visto che anche prima di quel gol Malesani sembrava un tarantolato), senza placarsi se non dopo aver raggiunto il meritato pareggio. E, al culmine, di un’azione avvolgente, tipica del suo calcio, sempre aggressivo, le fasce che non hanno e non danno respiro e traversoni a go-go. Tutti i gol di quel Chievo arrivavano da lì: dai cross che spiovevano al centro dall’angolino più remoto del campo, quello a due metri dalla bandierina del calcio d’angolo. Ma io son convinto del fatto che, sistema e trame di gioco a parte, quel Chievo aveva il fuoco dentro: il fuoco del suo allenatore. Che toccai con mano nel dopo partita, quando per prima cosa riconobbe i meriti dell’avversario: “Il Palermo non ha rubato nulla anche se per settanta minuti la partita l’abbiamo comandata noi: complimenti al giovane collega e ai suoi baldi picciotti!”. Disse proprio : “Baldi picciotti” e mi colpì il fatto che, diversamente dalla gran parte degli allenatori che meritano di vincere e non ci riescono, non cercò alibi né scuse. E alla fine, andò incontro ad Arcoleo e gli tese la mano. Poi, con un franco sorriso, gli disse: “Bravo Ignazio, tu farai strada: mai visto nessuno che, oltre a far giocar bene la sua squadra, le insegna pure magistralmente come perdere tempo!”. Alberto alludeva al fatto che, nella ripresa, vista la superiorità schiacciante del Chievo, i giovani picciotti rosanero non facevano che gettarsi a terra ad ogni minima occasione e lì restavano per lunghi minuti.

Questo preambolo serve non solo a rinfrescare la memoria dei tifosi rosanero, oggi col morale sottoterra, ma anche per tranquillizzarli circa la tempra del loro nuovo allenatore: se c’era un tecnico capace di ridare linfa e coraggio ad una squadra in rotta di collisione, come il Palermo, ereditato da Gasperini, questi è Malesani. Ed anche se è passata una vita da quel Chievo-Palermo, io dico che uno come Malesani non cambia, non può cambiare e, quindi, sputerà sangue per riportare i suoi nuovi ragazzi lassù, in classifica e lo farà giocandosi tutto, facendoli morire in allenamento per ritrovarli forti e travolgenti in partita. Si farà odiare per come li torchierà, ma alla fine si farà amare. Perché lui è uno sanguigno, tutto anema e core, lavoro, lavoro ed ancora lavoro: in tal senso è uno all’antica, di quelli, insomma, che crede ancora nelle favole. E quella di salvare questo Palermo, derelitto e scombiccherato, cos’altro può essere se non una favola? Ovvero il sogno di un povero illuso. Ma di sogni di poveri illusi che poi diventano realtà è piena la storia!

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  1. AndreaC

    Un grande allenatore anche secondo me, anche più coraggioso della maggior parte dei suoi colleghi. Prende in corsa squadre disperate come Empoli, Siena, BOlogna, Palermo e Sassuolo e poi se le cose non migliorano lo usano come capro espiatorio dei danni fatti da altri. Anche a Bologna e Genova è stato trattato molto male. In sostanza è l’ultimo allenatore italiano ad aver vinto la coppa UEFA, l’ultimo ad aver vinto trofei europei insieme ad Ancelotti

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