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Anno XII - Num. 56 - 03 settembre 2024

Anno I - Num. 05 - 16 febbraio 2013 Cultura e spettacolo

Santa Palermo: l’ultimo libro di Maria Cubito propone un viaggio nella “palermitanità”

(videointervista all’autrice del libro Maria Cubito)

di Viviana Villa
         

Palermo – Il 22 gennaio 2013 si è tenuta alla Libreria Feltrinelli la presentazione dell’ultimo libro di Maria Cubito Santa Palermo (Officina Trinacria Edizioni). Come già nella precedente pubblicazione, Palermo è fimmina… con rispetto parlando, l’autrice ripercorre con ironia e spensieratezza la “palermitanità” con le sue abitudini, le sue contraddizioni, la sua “lingua” e i costumi forse discutibili ma certamente unici.

La genesi del libro è la pubblicazione online di numerosi post dell’autrice sul blog Rosalio.it, che sono stati raccolti in maniera ordinata e sistematizzata in Santa Palermo, portando avanti un modello già sperimentato per il precedente successo, Palermo è fimmina… con rispetto parlando, giunto alla sesta ristampa con circa cinquemila copie vendute.

Oltre ad un’anima spensierata ed allegra, Santa Palermo propone in conclusione anche uno spazio dedicato alla riflessione, purtroppo amara, ed alla commozione. Dall’umorismo che scaturisce da alcune situazioni in cui l’orgoglio diventa grottesco, si passa alle storie popolari di Alfio, Angela e Siminzina, all’esperienza di insegnante nei quartieri “a rischio” e all’intensa lettera dedicata a Palermo.

Alla presentazione hanno preso parte lo speaker radiofonico e autore del blog Rosalio.it Tony Siino, l’attrice Stefania Blandeburgo ed il coro dei CAP 90100, che hanno allietato il pomeriggio con alcuni brani siciliani a cappella. In maniera abbastanza inusuale per una presentazione, Maria Cubito e Stefania Blandeburgo hanno interpretato alcuni passi del libro in una sorta di “drammatizzazione”, che ha coinvolto il numeroso pubblico presente all’evento.

Durante il suo intervento, Tony Siino ha definito questo libro un piccolo fenomeno editoriale per la nostra città. È un “piccolo miracolo”, che consiste nel fatto che contenuti già disponibili su Internet diventino un successo letterario. Per la prima volta la Rete non soffoca la letteratura. “Santa Palermo” ha più o meno la stessa anima del libro precedente. Maria è capace di raccontare questa città, come soltanto un’aliena può fare, dando ogni tanto anche qualche pugno allo stomaco. Nella sua prefazione Siino definisce infatti Maria Cubito un’aliena (anzi una‘strània, un’estranea) poiché, nonostante sia nata e vissuta fino all’età di 5 anni a Catania, è riuscita ad ottenere piena cittadinanza con la manifestazione dell’amore per la sua nuova città. In Santa Palermo, la Cubito è la protagonista di una specie di safari in quello zoo che Palermo sa essere.

santa-palermo-maria-cubitoNel dettaglio, il primo capitolo è dedicato al Lessico siciliano, in cui l’autrice si dedica ad una “riflessione linguistica” sul dialetto palermitano. Da sempre la passione per la lingua sicula e i suoi costrutti un po’ “streusi” mi appassiona. – scrive la Cubito – Sono capace di passare serate intere a discutere di derivazioni improbabili.[…] A ora di espressioni ermetiche non abbiamo uguali. L’autrice annota costrutti che solo in Sicilia hanno un senso e sembrano far parte di un codice linguistico condiviso e compreso da tutti. Ad esempio, l’espressione io, l’ho favorita del banconista che consegna quanto richiesto, quando ci si trova al supermercato o in un bar, quasi rivelando che l’azione di servire i clienti significhi fare un favore. Un altro esempio caratteristico che l’autrice riporta è quello dell’abuso di alcuni aggettivi, usati spesso in maniera impropria, come quando un capo di abbigliamento viene definito spiritoso, oppure quando la parola materiale viene usata inopportunamente per le persone. Maria Cubito porta anche l’esempio di alcuni cartelli che si possono spesso vedere al mercato e che a noi palermitani non fanno “impressione”: le arance per spremere o le zucchine per friggere.

Nel libro vengono citate anche delle espressioni definite ermetiche. La prima – scrive l’autrice – si usa in contesti in cui si vuole rimarcare un concetto già espresso, per convincere l’interlocutore e invece di usare perifrasi, ermeticamente appunto, si esclama “tu stesso”. E abbiamo detto tutto. Ci sarebbe tutto un discorso sottinteso (“ma come, tu stesso, non te ne rendi conto che ciò che hai detto è sbagliato?”). Ma l’altro ha già capito. La seconda è uno dei modi che usiamo per fare degli esempi. Saranno le nostre origini arabe, ma ci piace contare. Chi non ha mai sentito dire “sono stanco, ci vulissi una vacanza. Un per dire una bella gita a San Vito Lo Capo”. Certo. Un per dire. E c’è pure “due per dire” e “tre per dire”?

Un vero tormentone durante la presentazione è stata la parola propria. Come scrive la Cubito nel suo stile incisivo, il linguaggio viene ridotto all’osso, scarificato. Riduciamo tutto ad una parola, quando ci vengono richieste spiegazioni di un fatto che per noi è ovvio e che, in alcuni casi, mostra caratteristiche immutabili. Esempio “ma perché questo muro è così basso?” Risposta: “propria”. Si riscontrano esempi d’uso anche per definire tratti del carattere. Altro esempio “ma perché Fifo (mi piace moltissimo il diminutivo di Filippo) sta sempre muto?” “Propria”. Finì. Andiamo al risparmio, sempre. Pure con le parole. Con una abbiamo “ghiacciato”, spiegato e concluso un concetto che altrimenti richiederebbe un tempo troppo lungo. E noi “lagnusi” siamo. Non c’è un motivo. Siamo così. Propria.

Il secondo capitolo è dedicato alla Quotidianità sicula, in cui in maniera sempre molto leggera ed ironica si parla delle “stravaganti” abitudini culinarie di Palermo, della moda dell’apericena, della ricerca della bella gente, dei vari tipo di taliàta, dei modi di salutare e di baciare, dello sgarro di madre, della sala d’attesa; situazioni nelle quali è impossibile non riconoscersi.

Divertente è anche il capitolo dal titolo Schietta pentita, in cui ad esempio nel paragrafo Quando sposi? si parla del matrimonio connotato dalle usanze palermitane, del corredo, dell’abito, delle bomboniere e delle immancabili domande e raccomandazioni di amici e parenti. Altrettanto ironico è il paragrafo La maternità a Palermo in cui l’autrice scrive: A Palermo e in Sicilia tale periodo si riveste di un’atmosfera speciale. Intanto perché alla donna che “aspetta” si concedono trattamenti di favore e complimenti e poi perché, come nel caso dei malanni, c’è sempre qualcuno disposto a darti un consiglio, pure se non ne sa niente. Perché il palermitano è così: deve parlare, non ce la fa a “tenersi chiuso” nemmeno quando un argomento non è di sua pertinenza. Maria Cubito individua ben sette categorie di comportamenti da parte di amici e parenti: “quelli che non vedevano l’ora”, le nonne, i colpevolisti, gli espertoni, “quelli della visita”, “quelli che ti telefonano per non disturbarti” e “quelli delle domande e dei commenti tanto per farli”.

Sicuramente di un altro tono è l’ultimo capitolo, dedicato alle Lettere al passato e, forse, al futuro, in cui l’autrice trova un angolo un po’ più intimista all’interno del suo libro. Oltre alle storie di Alfio e di Siminzina, Maria Cubito riporta la sua esperienza di docente di Lettere alla scuola media nei quartieri cosiddetti “a rischio”. Il ritratto che emerge è quello di una forte passione per il mestiere che svolge, vissuto più come una “missione” da compiere, in cui si è persone con davanti altre persone da “formare ed educare”. Bellissima è la sua citazione di Jean Jaurés: Non si insegna quello che si vuole / dirò addirittura che non s’insegna quello che si sa / quello che si crede di sapere: / si insegna e si può insegnare solo quello che si è. L’autrice racconta anche della possibilità del passaggio di ruolo presso il liceo, mai effettuato in realtà, perché significherebbe la rinuncia a quegli alunni che hanno bisogno del suo aiuto.

Il libro si chiude con la toccante Lettera a…, che Maria Cubito dedica a Palermo, manifestando il suo amore per la città con la speranza che possa tornare splendente come era un tempo. Spero che tu ti alzi di nuovo e ricominci a camminare. Ma non ti fa male restare così? A terra? […] Spero che ti potrò ancora guardare dritto negli occhi senza sentire un dolore sordo alla bocca dello stomaco che mi costringa a voltare la faccia. […] Spero che ti torni il desiderio di “impupariti” perché bella sei. Ma non te lo ricordi più. […] Spero che quando vengano a trovarti quelli che si ricordano la tua luce, quelli che non ti vedono da quand’erano “nichi nichi”, non debbano restare a bocca spalancata vedendo il buio che ti avvolge. […] Spero di non dovermi vergognare mai più di te, dei tuoi errori, delle tue bugie, delle tue promesse. […] Spero che la prossima volta che un “picciriddu” si metta a ridere, scappi un sorriso pure a te, che non ridi più. È da quando tu non ridi più che a me il cuore mi “scura” ogni volta che ti guardo. Spero che qualcuno me lo venga a dire un giorno. Ride di nuovo… Palermo ride ancora.

Ai microfoni di TrinacriaNews, Maria Cubito ci ha spiegato che la lettera immaginaria a Palermo è una lettera d’amore. Come quando tu hai una relazione con qualcuno che ripetutamente ti tradisce, ma non ce la fai a staccarti. Un po’ è questo il rapporto che mi lega a Palermo e quello che scrivo in questa lettera.

L’autrice ci ha parlato anche della scelta del titolo Santa Palermo per il suo libro. Possiamo leggerla come un’esclamazione. Come quando si dice “santa pazienza!”, possiamo anche dire “santa Palermo!”; anche perché tra un po’ santa lo diventa davvero, anzi martire, perché la stiamo prendendo a calci. Le contraddizioni di Palermo – continua – sono quelle che popolano una grande città, che ha ambizioni o velleità di essere metropoli e poi si scontra con una piccolezza, che emerge in alcuni suoi modi di fare e di essere. È come se Palermo in questo momento fosse un po’ bloccata.

Abbiamo chiesto anche come fosse nata l’idea della drammatizzazione per la presentazione del libro. In realtà l’idea è nata a poco a poco. Prima eravamo solo io e Stefania a fare le presentazioni, poi si è aggiunto un personaggio poliedrico che è Manlio Noto. In seguito casualmente si è aggiunto un coro a cappella ed è nata la voglia di andare in teatro per far conoscere quanto più possibile quello che si può definire un “recital”. Torneremo in scena a marzo ed abbiamo progetti anche per l’estate.

A disposizione dei lettori di TrinacriaNews la videointervista che abbiamo realizzato in occasione della presentazione del libro. Le domande che abbiamo rivolto all’autrice sono state le seguenti:

  1. Perché la scelta del titolo “Santa Palermo”?
  2. I palermitani sono i protagonisti di questo libro. Quali sono alcune delle loro caratteristiche?
  3.  Quali sono le contraddizioni di Palermo?
  4. L’ultima parte del libro è dedicata ad una lettera immaginaria per Palermo, cosa intende comunicare?
  5. Nel libro viene dedicata una parte importante alle riflessioni sulla “lingua palermitana” e al lessico. Alcuni esempi?
  6. Questa sera abbiamo assistito ad una sorta di spettacolo. Come è nata quest’idea?
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