Palermo – Giorno 17 novembre si è tenuto a Palazzo Comitini, sede della Provincia, la Ia Giornata Internazionale dei Sopravvissuti al Suicidio. Una giornata –afferma Livia Nuccio, Presidente dell’AFIPRES (Associazione Famiglie Italiane e Prevenzione Suicidio, Marco Saura) – per condividere il dolore della perdita, un dolore costruttivo che possa dare aiuto a coloro che hanno subito una sofferenza così grande che il tempo non può lenire. Proprio per questo, la Nuccio si presenta in veste di sopravvissuta – termine inteso come coloro che hanno perso figli, genitori o amici per suicidio – e non come Presidente dell’Associazione.
All’incontro ha partecipano la dott.ssa Piera Zito, Psichiatra dell’ASP palermitano (Azienda Sanitaria Privinciale) che, grazie all’incontro con Livia Nuccio, ha avuto la possibilità di ripensare al lavoro di psichiatra e al suo essere donna. La dott.ssa Zito, in qualità di psichiatra, si rende conto dell’importanza della collaborazione di persone e con associazioni come l’AFIPRES, per aiutare chi ha subito una grave perdita.
Come si fa ad andare avanti quando si vede il proprio famigliare suicidarsi? Si chiede la dott.ssa. Bisogna avere il coraggio di elaborare il senso di colpa e di andare avanti. Bisogna farsi assistere da psichiatri e farsi aiutare dalle istituzioni, dalla famiglia e dalla società.
Il dott. Piero Accetta, medico e psicoterapeuta, con una relazione dal titolo “metodo per affrontare il disturbo di lutto complicato in caso di suicidio”, spiega che il lutto come causa di una morte improvvisa, causata da un evento inaspettato, può portare ad ulteriori traumi.
Ha spiegato il Dott. Accetta che quando ci si riferisce ad un sopravvissuto si parla di lutto complicato, che va oltre il lutto fisiologico. Nel lutto complicato si ha, infatti, più difficoltà ad accettare la morte e le sue conseguenze. La persistenza delle manifestazioni caratteristiche della fase acuta si concretizzano in una condizione di rifiuto. Questa fase persiste per 6 mesi e si manifesta nel 10% delle persone che hanno una condizione emotiva e psicopatologica vulnerabile. La morte violenta interferisce con l’accettazione della perdita e la conseguente elaborazione del lutto. Il lutto disturbato può andare ad intrecciarsi con il disturbo post-traumatico da stress e con la depressione. Essi sono presenti in coloro che hanno subìto e sperimentato la morte violenta e vanno incontro ad un lutto complicato. La presenza di questi fattori, quindi, disturbano la celebrazione della morte. Le varie emozioni negative e i pensieri come la colpa, lo stigma, associate alle conseguenza della morte violenta sono considerati interferenti e inappropriati alla fisiologica elaborazione del lutto. Tra l’altro, questo tipo di lutto a volte porta anche a contatti con i media che possono influenzare il processo del lutto stesso causando sfiducia sociale, che scoraggia la richiesta d’aiuto e porta all’isolamento sociale.
Il ruolo dell’AFIPRES in questa prospettiva diviene centrale. L’associazione ha attivato il telefono giallo (091.6859793) pronto ad ascoltare coloro che si trovano in difficoltà e in più, grazie ad una collaborazione con l’ASP 6, i soggetti con rischio di suicidio verranno seguiti in strutture sanitarie presenti nel territorio o in ospedale, in modo tale da prevenire eventi suicidari. Una tecnica contro la depressione – continua nella sua relazione il dott. Accetta – è orientare il focus del trattamento sulle connessione tra l’inizio dei sintomi e i problemi interpersonali del paziente; ci si basa sulla vita reale e sul contesto sociale immediato. Esso tende ad intervenire sulla formazione dei sintomi e sulla disfunzione sociale e si basa su tre incontri che indagano in maniera diversa la vita del soggetto mirando ad un trattamento efficace. Si analizza la questione riguardando il significato di una morte che è nettamente contrapposto al naturale istinto di sopravvivenza dell’uomo; s’indaga il sentimento di colpa e responsabilità che si ha nel prevenire il suicidio per il proprio caro: la famosa domanda: “cosa potevo fare per salvarlo?”; la sensazione di tradimento e di abbandono verso lo stesso defunto.
Il terapeuta, infine, dev’essere un sostegno e un incoraggiamento verso il paziente. Una maggiore comunicazione e una maggiore attenzione verso le piccole questioni della vita sono fondamentali per una maggiore prevenzione del soggetto, e il terapeuta può essere colui che può riuscire a vedere quel mondo sommerso che sono le nostre emozioni.
Una testimonianza importante è stata quella di Davide, fratello di Massimo, che qualche anno fa ha tentato il suicidio. Racconta come sia stato importante l’incontro con l’AFIPRES in veste di sopravvissuto e come sia cambiato il rapporto col fratello dopo il tragico evento che fortunatamente ha avuto un epilogo positivo. Il tentato suicidio, infatti, può portare anche ad una sorta di rinascita interiore che può anche tradursi in una rivalutazione delle persone che ci circondano: il rapporto con mio fratello, adesso, è cambiato – spiega Massimo. Ora ci sentiamo molto di più, mi chiede come sto e io lo chiedo a lui; prima invece ce ne fregavamo e pensavamo solo a noi stesso. Questo sì che è un rapporto tra fratelli.
Una condizione che molto spesso viene sottovalutata è l’esperienza dei bambini con la morte. La relazione dal titolo “sopravvissuti nell’infanzia e nell’adolescenza al suicidio di un famigliare” presentata dal dott. Giacomo Macucci, neuropsichiatra infantile, espone con estrema chiarezza come molto spesso i bambini siano vittime loro stessi dell’omertà delle persone che li circondano e, come questo tipo di comportamento, non giova a livello psicosociale. I bambini vivono in una condizione d’immortalità fino ai 9 anni, successivamente cominciano a sperimentare la morte. Nella condizione di sopravvissuto il dialogo con i soggetti infantili è di primaria importanza, non bisogna nascondere e “non far capire niente”, anzi, la comunicazione famigliare o con un specialista aiuta a non stigmatizzare il concetto di morte e il senso di colpa che può verificarsi anche nei soggetti preadolescenziali.
Alle ore 18 è stata accesa una candela – accesa contemporaneamente in altre parti del mondo – per ricordare le persone che hanno deciso di non essere più con noi. Gesto visto sia commemorativo che di auspicio: che la giornata serva come speranza e sia di condivisione del dolore per prevenire altri eventi tragici.
E’ fondamentale aiutare i sopravvissuti ad uscire dal buio del senso di colpa e trasformarlo, se è possibile, per quanto possibile, in una rassegnazione e in una progettualità, sperimentarsi attraverso l’altro. Mai avvitarsi, chiudersi in se stessi, perché chi si avvita si irrigidisce e chi si irrigidisce non vive. Il sopravvissuto – afferma la dott.ssa Zito – è colui (o colei) che dobbiamo aiutare non per la morte, ma per la vita: questo è il messaggio di questo incontro.
Vi riportiamo le domande rivolte alla dott.ssa Livia Nuccio:
(Ascolta audio intervista in alto)
1) Presidente, in che modo una famiglia oggi può superare un lutto derivante da un suicidio e, in special modo, quando si tratta di un figlio.
2) La sua associazione sta a contatto con le famiglie in vario modo. Secondo le varie esperienze, come risponde in generale la famiglia palermitana quando subisce un lutto del genere.
Al dott. Piero Accetta abbiamo chiesto:
(Ascolta audio intervista in alto)
1) Dott. Accetta, la Sicilia è al terzo posto come minor numero di suicidi in Italia, qual è la peculiarità della nostra regione che ci permette di avere questo risultato.
2) Qual è l’obiettivo dell’incontro di oggi.