E finalmente è arrivato il derby.
Il derby?
Sì, il derby, ovvero la partita più attesa dai tifosi, la madre di tutte le partite.
LA PARTITA.
E’ arrivato e, come spesso succede in partite speciali com’è un derby, tutti i pronostici sono stati smentiti.
“Vincerà il Catania, è più forte, più organizzato, più tecnico, ha più carisma, più classe, più tutto. Ci sono almeno due gol di differenza tra il Catania e il Palermo”.
Tutti sicuri, specie gli ex del Catania, tipo Mascara, che avrebbe vinto, anzi stravinto, il Catania. Nessuno avrebbe puntato due lire sul Palermo.
Questo alla vigilia, che è cominciata subito, sin dal lunedì mattina, all’indomani della umiliante sconfitta del Palermo a Bologna e della franca vittoria del Catania sul Chievo: chiare avvisaglie, queste, che hanno catapultato tutti questi pronostici di sventura sulla testa del povero, derelitto Palermo.
“Che vuoi che faccia questa squadra malmessa e maldisposta contro un Catania che lo sovrasta di una decina di punti in classifica?”.
Questo hanno pensato (e detto a destra e a manca i colti e gli incliti), tutti arcisicuri del successo del Catania sul Palermo . Tutti, tranne … i tifosi rosanero. Gli ultras e anche tutti gli altri, perfino i più pacati, quelli che tifano sì Palermo ma più per sport che per fede, quelli che il Palermo lo tengono di riserva, perché come prima scelta hanno l’Inter, il Milan o la Juve. Come accade da sempre dalle nostre parti: che si tifa Palermo solo quando passa il carro del vincitore, se no si opta per un a strisciata di quelle sopra citate. O perfino per una Roma, una Lazio o addirittura per un Torino, una Sampdoria, una Fiorentina. Ma si può arrivare a tanta stravaganza (attenzione, uso un termine addolcito, quasi un eufemismo, non vorrei punzecchiarli più del dovuto questi tipi ameni che – invece di tifare per la “loro” squadra, quella della loro città, dove vivono, alcuni si barcamenano e, tra le poche evasioni della loro vita, hanno lo stadio la domenica – spasimano d’amore per un’altra, di sicuro bella, forte, imbattibile, ma che non vedono mai coi loro occhi, se non quell’unica volta in cui scendono al “Barbera” per giocare contro il Palermo, e per tutte le altre trentotto partite si accontentano di vederla in tv, che non è la stessa cosa!) e dimenticare storia, radici e appartenenza per maglie, storie e radici lontane ed estranee alle nostre?
Sì, si può, nel calcio e nel tifo si può questo ed altro. La fedeltà è un concetto ardito, ci vuole carattere e cuore forte per preservarla da dubbi e sospetti. Non è mica impresa da poco, in generale e, in faccende di tifo, ancora di più. Ma se arriva il derby, si rinfocolano come d’incanto i cosiddetti ritorni di fiamma e si riscoprono ultras rosanero anche coloro che due giorni prima sbavavano davanti alla tv per una “rabona” di Vucinic o un gol di Robinho. Per una settimana intera, di nuovo tutti tifosi del Palermo: non sia mai perdere il derby! Il Catania, che scende al “Barbera “ e si porta via i tre punti sarebbe, anche per costoro, un tale affronto da essere costretti l’indomani, per la vergogna, a disertare pure il posto di lavoro. Insomma, più campanilismo che tifo, più rivalità ancestrale e storica che vera passione rosanero. E se i catanesi, alla vigilia, si fanno la bocca grande preannunciando una caterva di gol sul groppone del povero Palermo, pure quei tifosi, intorpiditi dalle recenti delusioni e ormai diversamente… colorati, risentono vibrare il vecchio cuore rosanero e tornano allo stadio per cantare tutti insieme. “Palermo … alè!”.
E il Palermo se li riconquista sul campo con una prova gagliarda, tutta anema e core, sulla scia del suo magnifico capitano, Fabrizio Miccoli, che apre le segnature con un gol strepitoso, al minuto numero 10, maglia numero 10 e 100 gol in serie A. Insomma, l’apoteosi del “10”, la maglia dei campioni e per Miccoli un sogno che si realizza, giusto contro la rivale storica, davanti a una platea finalmente degna di una grande squadra. Rendono ancora più memorabile la serata i due gol di Ilicic, l’altro campione che sembrava in letargo, che sembrava perso, svanito nel nulla, dopo la sua prima stupenda stagione in maglia rosanero.
3-1, il risultato finale e pronostici capovolti, come si addice ai derby in generale e a quello tra Palermo e Catania, in particolare: ogni volta che alla vigila è favorita una delle due squadre, a vincerlo, poi, è sempre l’altra. Perché il derby non è una partita e basta, è ben altro: è la sintesi di una storica rivalità che, come succedeva ai tempi dell’Italia dei Comuni, si risolve in campo aperto, tipo disfida di Barletta e, nel calcio, undici contro undici. Quando a prevalere non è tanto il blasone o i grandi nomi in lizza tra gli uni e gli altri sfidanti, quanto il cuore, l’orgoglio, il senso di appartenenza.
I mille tifosi etnei, giunti al “Barbera”, sicuri di una goleada dei loro beniamini a spese del Palermo, già dopo il primo magnifico gol rosanero (quello di capitan Miccoli) non si sono più sentiti. Hanno accompagnato la disfatta dei loro giocatori in un sepolcrale silenzio. Non hanno neanche replicato ai cori di scherno dei tifosi rosanero. Un gelo totale. Evidentemente, impietriti dalla schiacciante supremazia del Palermo e paralizzati dagli incessanti, ininterrotti cori festosi della nostra inimitabile curva Nord. Quella a ridosso della Montepellegrino, lassù dove vigila la Santuzza, che raramente interviene, presa com’è da ben altre ambasce, ma quando lo fa è festa grande. Perché è festa grande battere il Catania a suon di gol e al termine di una prestazione sontuosa, che riscrive i termini di paragone tra l’una e l’altra squadra. E che può essere l’inizio di un nuovo campionato, che ci riporti presto fuori dalle secche della zona retrocessione, alla quale, dall’epoca Zamparini in poi, non siamo più abituati.