Palermo – Il 4 settembre 2012 si è tenuta nella Sala De Seta dei Cantieri Culturali alla Zisa, la manifestazione dal titolo Carlo Alberto Dalla Chiesa: mafia e politica, una scia di sangue lunga 30 anni. L’iniziativa è stata promossa dal Centro Studi Pio La Torre per il 30° anniversario dell’uccisione del Generale ed ha visto la partecipazione del figlio Nando Dalla Chiesa, del Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, del Presidente del Centro Pio La Torre Vito Lo Monaco e dei Magistrati Alfonso Giordano e Piergiorgio Morosini. Durante l’incontro è stato presentato il docufilm Generale, rivivendo Carlo Alberto Dalla Chiesa, scritto e diretto da Lorenzo Rossi Espagnet e realizzato in collaborazione con Dora Dalla Chiesa, nipote del Generale ucciso il 3 settembre 1982.
Attraverso un ritratto intimo, la ragazza cerca di conoscere meglio il proprio nonno, morto quattro mesi prima della sua nascita. Con l’ausilio di materiali di archivio, immagini ed interviste, il documentario racconta i primi anni del Generale a Palermo, la lotta contro il terrorismo a Torino e, infine, il ritorno e il periodo di isolamento nel capoluogo siciliano in veste di Prefetto. La voce narrante di Dora fa da sfondo ad una sorta di indagine privata, fatta di ricordi, di testimonianze dei familiari e di coloro che hanno collaborato con lui.
Durante l’evento, la redazione di TrinacriaNews ha incontrato Dora Dalla Chiesa, chiedendole cosa l’abbia spinta a realizzare un documentario a 30 anni dalla morte del nonno. L’idea è nata grazie al produttore Daniele Esposito, che a novembre mi ha chiesto se volevo realizzare un documentario che riguardasse la figura di mio nonno, attraverso il punto di vista dell’unica nipote che non lo aveva mai conosciuto. All’inizio dissi di no, sia per pudore che per paura di non esserne in grado, trattandosi di un argomento molto personale. Alla fine ho accettato, perché l’ho trovato giusto. Ho intervistato mio padre e i miei familiari, facendo loro delle domande che non avevo mai avuto il coraggio di fare. Ho scoperto tanto amore e tanto rispetto nei confronti di mio nonno. La mia famiglia – continua – ha portato sempre avanti le sue idee e la ricerca della verità. Ho pensato che a trent’anni si è abbastanza maturi per affrontare un discorso di questo tipo. Questo documentario è importante soprattutto per i giovani, che sono cresciuti senza conoscere il senso delle istituzioni e dello Stato. Questo film vuole lasciare un’eredità; ha lo scopo di far rinascere la coscienza del bene comune e di ciò che è giusto. Con l’uccisione di mio nonno non è morta la speranza, al contrario è nata, perché per la prima volta un uomo di Chiesa ha condannato il governo davanti a delle bare avvolte nel tricolore; questo non era mai successo. Si è voluta restituire la figura di una persona che incarnava lo Stato e la responsabilità, anche a scapito della propria vita. Vorrei precisare che questo documentario non è stato finanziato dal Ministero, poichè non è stato ritenuto di interesse culturale nazionale. È stato finanziato da privati cittadini che hanno sentito la necessità di lasciare ai loro figli la storia di mio nonno.
Il figlio del Generale, Nando Dalla Chiesa, ha riconosciuto il valore del documentario presentato dalla figlia. Si è trattato di un lavoro importante di ricerca. La figura che emerge è quella che io ho conosciuto. Ogni tanto vengono fornite delle rappresentazioni un po’ edulcorate di quei quattro mesi a Palermo; ma ricordo tutto, non c’è nessuno che possa convincermi che mio padre non sia stato solo, la solitudine di palazzo era immensa. In questo docufilm, ho ritrovato tutto questo, ho ritrovato lo scenario che ho vissuto e che sembra che non sia mai esistito.
Il docufilm ha inizio dal funerale, dall’omelia del Cardinale Pappalardo e dalla registrazione originale del discorso sul “potere” che Dalla Chiesa pronunciò a Palermo il 1 Maggio 1982, durante l’incontro con i Maestri del Lavoro. Da questo punto di partenza, Dora Dalla Chiesa racconta le sensazioni, le angosce di chi gli è stato più vicino e ripercorre la vita e il lavoro del nonno che, seguendo il suo senso di responsabilità, sacrificò la propria vita. La nipote confessa di avere letto spesso della storia del nonno per conto proprio, cercando di chiedere il meno possibile ai parenti per paura di ferirli. In occasione della realizzazione del film, invece, intervista il padre e le zie per conoscere gli eventi di questa tragica storia direttamente dalla loro voce.
I figli Nando, Rita e Simona raccontano della loro vita in caserma, delle angosce vissute durante la loro permanenza a Palermo e delle restrizioni che hanno dovuto subire per la loro incolumità. Il figlio, ad esempio, ricorda quando già a 12 anni il padre gli raccomandò di non uscire con il cane sempre alla stessa ora; oppure racconta quando gli amici organizzarono una sorta di “vigilanza” sotto casa sua per proteggerlo, dato che si era sparsa la voce di un suo probabile rapimento.
I ricordi dei familiari sono intervallati dagli stralci dell’intervista rilasciata dal Generale ad Enzo Biagi e dalle testimonianze di importanti personalità della politica, delle forze dell’Ordine e della Magistratura come Rognoni, il Generale Secchi e il Giudice Caselli, che parlano del lavoro e della professionalità di Dalla Chiesa che, grazie all’impiego di pentiti ed infiltrati, introdusse tecniche innovative di investigazione sul terrorismo e sulla criminalità organizzata. Coloro che lo hanno conosciuto raccontano dei suoi momenti di sconforto, in particolare quelli in cui aveva colto “un’ostilità non ben decifrabile” attorno a lui.
Prima della proiezione vera e propria, la manifestazione, alla quale hanno partecipato anche tanti giovani di Libera, ha avuto inizio con la lettura di Consuelo Lupo e Gabriello Montemagno dell’intervista del 10 agosto 1982, rilasciata per La Repubblica dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa al giornalista Giorgio Bocca. Questo momento di grande intensità è stato seguito dal dibattito, dal quale sono scaturite riflessioni ed interessanti interrogativi riguardanti l’assassinio del Generale, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’autista Domenico Russo.
Vito Lo Monaco, in qualità di Presidente del Centro Studi Pio La Torre, promotore dell’iniziativa, ha dato il via agli interventi. La Torre, Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino – ha detto – hanno avuto, da sponde diverse, un obiettivo comune: quello di mettere allo scoperto la reale natura della mafia, espressione illegale e armata di una parte della classe dirigente del Paese dall’Unità d’Italia ad oggi. È un punto di vista non sempre condiviso, ma noi del ‘Centro Studi Pio La Torre’ siamo convinti che tardarsi a considerare le mafie come criminalità pure, o fenomeni esterni alla classe dirigente, non permetta di comprendere la persistenza del fenomeno e la sua espansione territoriale e finanziaria.
È necessario discutere per comprendere come sconfiggere definitivamente la mafia, cancellando i rapporti che essa ha con la classe dirigente del Paese, nel senso complessivo del termine, cioè politica, sociale ed economica. Se non si interrompe questo cordone ombelicale sconfiggeremo le cosche, ma continueremo sempre a discutere di mafia. Riteniamo che per rigenerare la politica e i partiti non basti dichiararsi contrari alla mafia, ma bisogna dare al Paese gli strumenti politici e giuridici per sradicare il fenomeno: una buona legge anticorruzione ed elettorale, la modifica del codice antimafia, la risoluzione della questione della cessione dei beni confiscati. Onorare Dalla Chiesa, La Torre, Falcone e Borsellino – continua – significa ricordarne la funzione liberatoria che essi hanno assunto per la democrazia del nostro Paese. Tutto questo non perché fossero eroi (loro stessi avrebbero rifiutato questa definizione), ma perché erano fedeli osservanti della Costituzione. È costata loro la vita, ma di questo noi gliene saremo sempre grati.
Il Magistrato Piergiorgio Morosini ha continuato con il suo intervento. Credo che quello di stasera sia un incontro importante – ha detto – perché fra il pubblico vi sono tanti giovani che nel 1982 non erano ancora nati. Sono passati trent’anni da quella strage. Oggi viviamo in un paese diverso, in cui è mutata la sensibilità dell’opinione pubblica e dei cittadini sulla questione mafia e sul modo di concepire il contrasto ad essa. Ancora oggi però al Nord si utilizzano delle espressioni dal sapore razzista; come ad esempio ‘infiltrazioni mafiose’. Parlare di ‘infiltrazioni’ significa presentare il fenomeno come se ci fosse un primato morale di alcune regioni su altre; al contrario, esiste tanta richiesta di mafia al Nord e, a questo riguardo, le intuizioni del Generale Dalla Chiesa sono state profetiche. L’intervista a Giorgio Bocca non vale solo per Palermo, ma per tutta l’Italia. Dalla Chiesa parla, infatti, di questione nazionale e chiede alla politica delle misure particolari. Cari giovani che siete presenti questa sera, la sua testimonianza è ancora attuale, perché Dalla Chiesa è stato, proprio in quelle ultime settimane, un uomo che ha avuto la forza, la dignità e il coraggio di restare, nonostante tutto, a testa alta, anche quando si era reso conto che ormai tutti lo avevano abbandonato.
Anche il Sindaco Orlando è intervenuto richiamando il concetto di memoria e di ricorso. In genere ricordare riguarda il passato. La memoria non può essere confinata nel passato; è qualcosa in più. Si tratta di un’esperienza vissuta, sulla quale è possibile costruire il futuro. Credo che questo film, realizzato da una nipote che non l’ha conosciuto, non può essere il ricordo di un fatto che non è stato vissuto, ma al contrario è un passato proiettato verso il futuro, che diventa fondamento per esso. Dobbiamo accettare la sfida e non chiederci cosa significa ricordare il Generale Dalla Chiesa, ma cosa significa fare memoria della sua straordinaria esperienza. Egli non rappresentava un partito, non era un imprenditore, un magistrato, neanche un carabiniere; era lo Stato. Bisogna chiedersi cosa significhi per i politici fare memoria e non un semplice ricordo del Generale.
A questo proposito, il 28 settembre 2012 il documentario è stato presentato a Cinisi nell’ambito delle iniziative di sensibilizzazione del ciclo Memorie di mafia, organizzate da Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato e con il Museo della ‘ndrangheta di Reggio Calabria.
SONO CONVINTA PURTROPPO CHE QUESTI EROI CHE HANNO COMBATTUTO IN DIFESA DELLA DEMOCRAZIA ,NON HANNO SCONFITTO LA CORRUZIONE POLITICA,IL MAL GOVERNO DI OGNI EPOCA.A NOI CITTADINI ONESTI CI RIMANE SOLO L’IMPOTENZA DAVANTI UN PAESE ALLA DERIVA DOVE LA GIUSTIZIA NON SVOLGE PIU’ LA FUNZIONE DI SALVAGUARDIA DEI SUOI CITTADINI
Ho visto in TV un documentario su Suo nonno, figura da me sempre molto ammirata, e mi sono commossa. Brava per aver raccontato e resa accessibile anche ad altri la testimonianza di chi gli era così vicino e ha condiviso i suoi giorni. Acquisterò il libro!
Grazie