Sabato 6 0ttobre presso la sede dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia a Palermo si è svolto il corso di formazione “Bullismo, cyberbullismo e deontologia dell’informazione”, argomento di grande attualità nella nostra società post moderna ed edipica. Si avverte la necessità di un percorso conoscitivo-educativo all’interno delle istituzioni scolastiche inculcando la cultura della legalità fra i giovani studenti.
Sono stati relatori della mattinata la Dott.ssa Iva Marino, Esperta in “Scienze forensi e Criminologiche” e il prof. Francesco Pira docente di “Comunicazione Istituzionale, Teorie e Tecniche del linguaggio giornalistico”. La dott.ssa Marino ha curato l’aspetto psicologico del bullismo, evidenziando anche l’esistenza di un “lato oscuro” del web, dove il cyberbullismo trova la sua collocazione naturale e dove, purtroppo, sempre più spesso i giovani si rifugiano. In realtà il web è un luogo in cui alberga la smania di apparire e il desiderio di approvazione, è un mondo di forti rischi fra cui la derealizzazione, ossia quel fenomeno secondo cui la persona si stacca completamente della realtà. Il web attira giovani dal “Io” fragile che rischiano di diventare vittime di cyberbullismo.
Oggi il termine “like” è frequentissimo, così come la presenza di forme di narcisismo patologico sul web a cui si uniscono altri aspetti come cyberbullismo, cyberstalking.
Il bullismo, afferma la dott.ssa Marino, è sempre esistito solo che era considerato un elementare processo legato al principio di crescita e di maturazione dove la mente del giovane si forma in relazione al contesto sociale in cui vive; se nel contesto sociale c’è illegalità diffusa, bullismo e altri tipi di violenza, essi saranno dei modelli da seguire per il bambino, poi adolescente e poi uomo. La famiglia e il rapporto con i consanguinei diventano gli strumenti attraverso i quali superare un contesto sociale precario, ma l’accudimento familiare non sempre risponde positivamente a questa necessità del giovane, divenendo a volte insicuro e disorganizzato.
Un ragazzo è oggetto di bullismo quando viene esposto ripetutamente alle azioni offensive da parte di uno o più compagni, una violenza perpetuata ai danni di una vittima in maniera considerevole, intenzionale e persistente. L’asimmetria fra il bullo e la vittima si fonda sul disequilibrio e sulla disuguaglianza di forza tra chi agisce e chi subisce, il quale spesso non è in grado di difendersi.
Il bullo secondo la letteratura (Goleman, 1999) è, dunque, un soggetto che ha una mancata intelligenza emotiva, che lo disimpegna a livello morale e non è capace di rappresentare gli affetti, è circondato da spettatori che silenziosamente guardano per timore di divenire essi stessi le prossime vittime. Il bullo è un soggetto che considera la violenza come un mezzo per ottenere vantaggi e acquisire prestigio, ma è un soggetto anche infinitamente triste, con un dislocamento della personalità, che esprime il suo dominio attraverso la denigrazione dell’altro e l’atteggiamento violento, spesso proponendo una possibile forma di scherzo.
Le vittime sono affette da solitudine, angosce, insicurezza, ansietà, passività nelle relazioni sociali, comportamenti di autodistruzione, e i disturbi legati alla vittimologia sono tanti: disturbi del comportamento alimentare, disturbi psicosomatici, disturbi da stress, disturbi nell’adattamento socio affettivo, fino al ritiro sociale. Possono essere passive o provocatrici e in ogni caso segnalano la loro presenza al bullo che individua così la sua vittima, quindi violenza relazionale. La vittima in uno stato di inferiorità subisce la condotta persecutoria da parte del bullo che manipola gli altri per il proprio tornaconto e infrange le norme sociali.
Sono così sette i parametri identificatori del bullismo:
– l’ambiente (aspetto considerevole a livello scolastico con la frequenza limitata ai giorni di scuola, mentre nel cyberbullismo questo limite non esiste);
– il tipo di azione (designato attraverso il tipo di violenza fisica psicologia e sociale);
-i divieti e forme di controllo;
-il dislivello fra gli antagonisti;
–l’intento di dominare;
–la tipologia delle vittime;
–l’andamento dell’atto persecutorio.
La dottoressa Marino indica così l’assenza della componente emozionale tipica del bullo che viene determinata dalla mancata concordanza di affetti tra madre e bambino.
In uno studio statistico di tipo campionario condotto dal prof. Giuseppe Ingrassia (Ordinario di Statistica) e dal suo gruppo di ricerca, di cui la dott.ssa Marino fa parte, come esperta di settore e coautrice, vengono riportati i risultati di una indagine campionaria, sull’uso del cellulare, della rete internet e sul fenomeno del “cyberbullismo”. Lo schema di campionamento utilizzato è di tipo “Stratificato” per classi e gli alunni sono stati estratti da ogni singola classe mediante “Campionamento casuale semplice”.
Agli alunni estratti è stato somministrato un questionario, opportunamente strutturato per la finalità della ricerca. Il Campione (n=140) risulta abbastanza bilanciato con il 46% maschi e 54% femmine. Dall’analisi dei risultati il cellulare appare chiaramente uno strumento fondamentale nella vita degli alunni. La “comunicazione sana” risulta variegata: gli alunni parlano di argomenti attinenti la scuola, di amore e/o di amicizia, di sesso, della propria famiglia e di altri argomenti d’interesse giovanile (sport, tempo libero, ecc.).
Ma quando il cellulare è usato come strumento per uscire fuori della legalità, ecco che accadono situazioni di “cyberbullismo” che in alcuni casi possono concludersi anche con la morte del perseguitato/a. Dai risultati ottenuti emerge nitida la figura della “vittima di cyberbullismo” la quale riceve messaggi violenti (28%) o, a sua insaputa, sono diffuse informazioni per comprometterne la reputazione (25%). In alcuni casi sono resi pubblici messaggi imbarazzanti, senza il consenso della “vittima”(14%), in altri casi quest’ultima subisce ripetute minacce e offese intimidatorie (20%), oppure prepotenze fisiche, riprese con il cellulare e poi messe in rete senza alcun permesso (13%). I cyberbulli usano SMS/MMS, ma anche telefonate mute, messaggi sul sito/blog/profilo personale, chat, e soltanto una minoranza e-mail. Ciò che lascia perplessi, continua la dott. Marino, è il comportamento della “vittima di cyberbullismo” nel cercare aiuto e conforto. Infatti, i risultati mettono in luce che spesso le vittime non sentono la necessità di confidarsi e soltanto alcuni soggetti si recano presso le forze dell’ordine per denunciare l’accaduto. I confidenti privilegiati sono comunque i genitori (20%), altri amici fuori dalla scuola (19%) e i compagni di scuola (11%); pochi si confidano con fratelli e/o sorelle. Anche gli insegnanti purtroppo hanno un ruolo secondario nella lotta al cyberbullismo poiché essi non vengono sempre informati dalle vittime (solo il 6% delle vittime chiedono aiuto agli insegnanti) . Come rimedio immediato alla persecuzione, le vittime cambiano numero di cellulare, altre scelgono strategie diverse o tacciono. *
In concreto tre sono i tipi di interventi identificativi da attuare:
– la promozione dell’autostima innanzitutto;
– l’erogazione di strumenti validi ed efficaci per l’accrescimento delle proprie competenze
– lo sviluppo della creatività come mezzo di produzione per tutti i necessari cambiamenti.
Dai risultati emerge che per risolvere il problema della disfunzione parentale è necessario apportare un cambiamento educativo in famiglia e nella scuola, nonché attuare un programma flessibile di collaborazione tra genitori e professori al fine di eliminare le forme di disimpegno morale di bullismo e cyberbullismo.
Confrontando i risultati con altre indagini viene fuori che le esperienze di trascuratezza e di stili educativi aggressivi nelle relazioni familiari sono la causa del disagio psicosociale dei giovani e possono avere come possibile conseguenza il bullismo e il cyberbullismo giovanile.
I ragazzi che hanno dunque vissuto esperienze negative nel periodo dell’infanzia hanno generato un basso livello di autostima con una vulnerabilità psichica; a ciò si può porre rimedio con un cambiamento educativo radicale sia in ambito familiare che scolastico con l’obiettivo di ridare solidità alla figura del cosiddetto insegnante “empowered” capace di intervenire, in tutti i casi di cyberbullismo.
Dunque intervenire secondo una logica che segue dei parametri specifici:
– capire la vulnerabilità del soggetto (quali le cause che lo hanno formato);
– lavorare in una direzione bidirezionale (relazione che determina una sorta di collegamento fra la scuola e la famiglia attraverso il dialogo e la partecipazione attiva).
Importante è non sottovalutare l’atteggiamento di resilienza che determina un accumulo maggiore di rabbia; la questione affrontata dalla legge n. 71 del 2017 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” da oggi in vigore non ha chiarito in termini legali come si affronta realmente il fenomeno del bullismo ma si limita a collocare la prevaricazione online nel solco della devianza minorile che deve essere fronteggiata con interventi di natura preventiva ed educativa lasciando in realtà molto spazio alla fantasia.
Alla fine della dissertazione della dott.ssa Marino i giornalisti presenti in sala, curiosi e interessati, hanno iniziato a rivolgere dei quesiti ai relatori, entusiasmo che è stato posticipato alla fine dell’intervento del prof. Pira, intervento rivolto questa volta più alla parte di natura sociale del bullismo.
Nel dettaglio i numeri rivelati dal professore sono stati allarmanti specie quelli relativi alla fascia di bambini 11-13 anni in cui 1 bambino su 10 diventa vittima di bullismo e quel che più grave il bullismo oggi ha subito un’evoluzione con il cyber bullismo che come diceva nel suo intervento la dott.ssa Marino: nel cyberbullismo non ci sono pause di prevaricazione ma una continuazione mortificazione della vittima prescelta.
Il dover vivere nella modernità non vuol dire necessariamente possedere dei modelli culturali, a proteggere ed educare i bambini si arriva soltanto attraverso una comunicazione fra individui: è così che il prof. Pira introduce il tema dei social senza i quali oggi non si potrebbe più ragionare perché sono diventati una maglia stretta dell’abito che tutti quanti indossiamo.
Soprattutto la cultura nella fase liquida moderna ricadendo su una scelta individuale, che fa progredire il proprio io sociale, evidenzia in realtà come il processo evolutivo accomuni gli ignoranti ai più sapienti, e pertanto diventa necessario fornire quegli strumenti di conoscenza agli individui per colmare il senso della libertà individuale che nell’era social diventa parte della vita degli altri.
In questa rete social i soggetti più deboli hanno bisogno di più risorse di difesa, ecco così che la Convenzione ONU del 1989 sui diritti del bambino sancisce già i principi per garantire l’armonico sviluppo delle personalità dei minori in relazione alla loro vita e al loro processo di maturazione, ovvero che il bambino debba crescere in una atmosfera di comprensione e che “per le sue necessità di sviluppo fisico e mentale ha bisogno di particolari cure e assistenza”; che in tutte le azioni riguardanti i minori deve costituire oggetto di primaria considerazione “il maggiore interesse del bambino” e che perciò tutti gli altri interessi devono essere a questo sacrificati; che gli Stati devono prendere appropriate misure legislative, amministrative, sociali ed educative per proteggere i bambini da qualsiasi forma di violenza, abuso, sfruttamento e danno. Ma la realtà è che oramai oggi i pericoli non vengono solo dalla quotidianità ma anche da un virtuale sconosciuto. La percezione del pericolo nei bambini social è assolutamente bassa in quanto manca ancora la capacità di oggettivazione, mentre gli adulti credono di conoscere ciò che pensano i bambini, e purtroppo la rete non determina più relazioni tra individui e individui ma tra individui e pubblico; sembra quasi che, specie per i genitori, mettere in vetrina i propri figli diventi uno sport quotidiano. Una riflessione è necessaria: la maggior parte degli adulti lo fa e questo significherà che nel futuro digitale questi bambini oramai cresciuti avranno un fardello di contenuti digitali di cui non sanno nulla e ai quali non hanno dato nessun consenso perché diventassero social.
Non per nulla un adolescente ha portato la madre davanti ad un giudice perché ritirasse le sue foto dal profilo social che senza il suo permesso continuava a pubblicare; il giudice ha dato ragione al figlio e la madre è stata costretta a ritirarle.
I numeri sono comunque disarmanti dell’utilizzo dei social da parte dei bambini, una ricerca ISTAT del 2017 per Save the Children ha portato dunque questi risultati: il 53% delle bambine 6-10 anni usa regolarmente Internet da casa, così il 54,4% dei bambini. Tutte le ragazze e i ragazzi intervistati possiedono uno smartphone a 10-11 anni. “Lo smartphone lo hai sempre con te, al contrario del pc che non poi metterlo in tasca”, con conseguenze a volte tragiche come l’abitudine ai selfie estremi in cui molti hanno perso la vita. Ecco che in un ambiente in cui si cerca di preconfezionare un Io accattivante, lo fanno i quarentenni perché non dovrebbero farlo gli adolescenti che cercano consenso e approvazione? Ed è proprio qui in questo ambito che il cyberbullismo prende corpo, in una foresta dove districarsi diventa complicato, la personalità si esteriorizza e diventa una individualità a parte dalla nostra quotidianità. Un allarme è stato lanciato nel contesto del cyberbullismo dai risultati allarmanti che riguardano l’evoluzione del cyberbullismo in cyberbullismo sessuale dove gli adolescenti vittima del cosiddetto sexiting hanno questi numeri: nel 2014 il 25,9% degli adolescenti sostiene di essere stato oggetto di sexiting,
nel 2016 il 36% dei ragazzi dice di conoscere qualcuno che fa sexting o che posta contenuti sessualmente espliciti, nel 2017 il 6% dei ragazzi tra gli 11 e i 13 ha scattato selfie intimi, 1 su 10 tra i 14 e i 19 anni. Il 33% degli episodi di cyberbullismo è dunque di tipo sessuale.
Diventa dunque necessario nell’era dei social avere nuova conoscenza, una stessa responsabilità, una nuova consapevolezza: in 22 paesi dell’EU 2011-2014 il 50% tra gli 11- 12 ha un profilo facebook e sebbene l’età minima per iscriversi sia di 13 anni i ragazzi mentono per iscriversi e 8 su 10 lo fanno con il consenso dei genitori, cosa gravissima.
Dunque è chiaro, continua il prof. Pira che la condotta dei giornalisti nell’esaminare e raccontare di certi fatti necessiti una regolamentazione, regolamentazione che hanno già, ovvero la Carta di Treviso modulo d’intesa con Telefono Azzurro, riconfermata peraltro, in cui si ribadiscono i principi a salvaguardia della dignità e di uno sviluppo equilibrato dei bambini e degli adolescenti – senza distinzioni di sesso, razza, etnia e religione -, anche in funzione di uno sviluppo della conoscenza dei problemi minorili e per ampliare nell’opinione pubblica una cultura dell’infanzia pur prendendo spunto dai fatti di cronaca. Nonostante ciò, la Carta viene ripetutamente violata nel difficile limite tra diritto di cronaca e violenza gratuita… a volte il sensazionalismo prevarica il buon senso anche del giornalista più bravo.