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Anno XII - Num. 57 - 09 dicembre 2024

Anno I - Num. 03 - 28 settembre 2012 Politica e società

Intervista al Regista Ciprì e alla sceneggiatrice Rizzo per il film E’ stato il figlio

Ciprì “A Palermo ti spezzano le ali, con me non ci sono riusciti!”.Rizzo: “Ci hanno parlato di cifre che non sono mai arrivate. Non c’è rispetto!”.

di Gualtiero Sanfilippo

E' stato il figlio - Daniele Ciprì“Viva la Trinacria cinematografica…” Cit. Luigi Maria Burruano in Il ritorno di CagliostroCome inizio calza a pennello, quasi profetica l’esclamazione dell’attore Siciliano che conclude dicendo “…noi vi faremo le scarpe!”. Già, guerra non è, ma la Sicilia ed il cinema stanno attraversando un conflitto che, quasi insanabile, termina con la separazione inevitabile tra i due “coniugi”. Come spesso accade, come è accaduto e come accadrà ancora, un professionista Siciliano è stato costretto a portare i suoi interessi fuori dalla sua terra. Daniele Ciprì, regista di fiero stampo Siciliano ha presentato all’ultimo Festival di Venezia, la sua ultima creazione “E’ stato il figlio”, film tratto dal libro omonimo di Roberto Alajmo. Uno spaccato sulla Sicilia e Sicilianità viene raccontato dalle scene crude e semiserie del film. Un film vero, quasi un documentario di quel che è, senza sforzarsi di essere qualcos’altro.

Orgogliosi del film e dell’impatto emotivo del pubblico, il regista e la sceneggiatrice Miriam Rizzo non lo sono, invece, delle inaspettate repliche negative da parte della Regione Sicilia che, non finanziando il film, ha rinunciato alla possibilità di essere titolare di un film Siciliano per gli interpreti e per le tematiche, ma non nella produzione o nelle location.

La Regione Puglia ha, invece, accolto con entusiasmo il progetto di Ciprì & Co., finanziandolo ed offrendo la sua terra – Brindisi in particolare – per le riprese cinematografiche.

Cose che capitano, che capitano molto spesso. Purtroppo come accade al personaggio Inglese de “Il ritorno di Cagliostro”, che, essendo incompreso, si sente rispondere: “Turnatinni ‘n’America!”. Nessuno è stato cacciato, ma certamente non è stato piacevole doversi cercare una nuova location dove lavorare.

Impossibile dire chi ha avuto ragione e chi no, sarà il pubblico a dire la sua.

TrinacriaNews ha intervistato il regista Palermitano, Daniele Ciprì, e la sceneggiatrice del film, Miriam Rizzo. Ecco come hanno risposto alle nostre domande.

Maestro Ciprì, dopo Era una volta, lei ritorna senza la sua spalla Franco Maresco con “E’ stato il figlio”. Ci parli di quest’esperienza e del suo film.

E' stato il figlio - FamigliaCiprì: «Dopo il divorzio da Maresco – un lungo matrimonio artistico – io mi sono ritrovato a fare i conti con questo mestiere. Appena arrivata la proposta di Marco Bellocchio, decisi di accettare l’incarico e quindi, di parlare di questa storia vera accaduta a Palermo e narrata all’interno del libro di Roberto Alajmo. Volevamo trasporre queste antologie in un film. Decisi di formare un gruppo di persone tra cui Miriam Rizzo, Massimo Gaudioso e coinvolgendo lo stesso autore, in modo tale da riscrivere la storia, introducendo un narratore ed altre modifiche che hanno portato al prodotto finale.  Non ho fatto molta fatica a lavorare in questo gruppo, perché formato da gente con cui avevo già lavorato».

La storia è ambientata in Sicilia, ma le riprese sono state realizzate in Puglia. Trasformare Brindisi nella città di Palermo: un disagio non indifferente?

Ciprì: «Io credo che la rabbia maggiore sia di quelle persone che collaborano e che ti vedono disperato nel cercare di realizzare un film ambientato a  Palermo e di non girarlo a Palermo. Io ti posso rispondere in maniera artistica: il film era stato immaginato da me, ambientato in una Palermo immaginaria, cioè in una  “Palermo” all’interno della Sicilia, ma non quella originale. Avevo trovato dei posti adatti a Siracusa ed in altri posti della stessa provincia. Non avrei mai girato a Palermo, questo è sicuro.  Non sarebbe stato così surreale come volevo che fosse. Il periodo di attesa e incertezza che ha colpito la produzione del film non mi ha scosso particolarmente, io volevo subito girare e provare a realizzarlo, bensì colpì i miei collaboratori. E’ accaduta una cosa grave: la Regione Sicilia non aveva i soldi per finanziarci. Un po’ mi dispiace, perché questi soldi che potevano essere investiti in questo film, sono stati spesi per altre necessità.  Ero molto arrabbiato. Ho iniziato a pensare all’Ucraina come possibile location, fino ad arrivare alla Regione Puglia, che mi ha dato un’importante possibilità ed ottime conferme professionali. Quello che abbiamo sofferto è stato veramente grande. Non è vero che non sia arrabbiato, sono molto arrabbiato, ma non sarò io a pagarne le conseguenze, io sono riuscito a mettere in piedi il mio film, non mi hanno spezzato le ali, al contrario, loro hanno rimediato una brutta figura».

Interviene sulla stessa domanda Miriam Rizzo, collaboratrice e sceneggiatrice del film:

«No, nessun disagio. In Puglia abbiamo trovato un clima di professionalità assoluta. In un certo senso è stata una fortuna ritrovarci in quel luogo. Noi ci siamo ritrovati ad aspettare, mesi dopo mesi, dei fondi che non ci hanno dato. Addirittura ci parlavano delle cifre di cui avremmo potuto usufruire. Centomila, poi centocinquantamila e noi stavamo lì ad aspettare ed a spendere soldi per la produzione, facendo arrivare in Sicilia lo scenografo, il direttore di produzione, il direttore generale, coinvolgendo persone del posto che ci aiutavano a trovare la location. Persone a cui noi abbiamo lasciato soldi per dei servizi che non ci sono serviti a nulla, perché siamo stati costretti ad andare via. E’ giusto che tutti sappiamo quello che è successo. Adesso cercano di sentire il film come parte della produzione Siciliana, ma non è così perché, solo sul finire del progetto, siamo andati a Palermo con un contributo di cinquemila euro che Pietro Di Miceli ci ha fatto pervenire. Lui, fino all’ultimo, ha cercato di farci girare qualcosa a Palermo e alla fine, abbiamo girato solo dei “Fegatelli” – chiamiamoli così – ma questo non significa che la produzione sia un marchio Siciliano. Noi abbiamo preso degli attori in Sicilia e li abbiamo portati in Puglia. Qui, nessuno è abituato al cinema. Si realizzano festival ed incontri che non hanno risonanza fuori e nessuno si interessa di questo. Noi abbiamo fatto l’anteprima a Palermo, anche a Catania e siamo felici di questo, ma non sono felice delle istituzioni Siciliane. Questi prodotti portano soldi e prestigio, ma non frega niente a nessuno. Qui, possono girare le scene, solo quei pochi eletti o vicini alla Regione Sicilia che hanno la possibilità di fare documentari con soggetto l’istituzione stessa».

Dott. Rizzo, proviamo ad uscire dall’idea del film: voi, un team di Siciliani (Autore, attori, regista, sceneggiatrice) “sfrattato” dalla vostra terra. Un fenomeno che si ripete continuamente e che è quasi una costante della nostra terra. Qual è il suo pensiero in merito?

Rizzo: «E’ molto triste, veramente triste. Poi ci chiediamo tutti: “Perché andiamo via?”. Non c’è cultura del lavoro, non c’è organizzazione, non c’è lo spirito della cooperazione, nessuna competizione sana, ma solo competizione di rabbia e di frustrazione continua. Manca il senso del gruppo. Non si gioisce per i successi degli altri. Tutti vogliono scavalcare gli altri, vogliono imporsi.  Questa è una cosa che io sento tantissimo e non per niente, siamo andati via da questa città. Non c’è rispetto».

Cipri’: «Come vede non cambia niente. Io non sono un politico, ma la vera provocazione è già nel film. Io ho fatto un film su Palermo, in un’altra città. Non voglio fare polemiche, ma voglio fare film e raccontare a tutti delle verità. Qui, amico mio, ti spezzano le ali. Centinaia di contributi a progetti che non hanno futuro perché rimangono qua nell’anonimato. Io non rimprovero nessuno, ma sicuramente una riflessione andrebbe fatta».

Ultima domanda  e motivo per riflettere: una cosa che mi ha fatto sorridere è il vedere nella vostra situazione delle coincidenze con la famiglia del film, i Ciraulo, voi come loro aspettavate dei “Picciuli” ed avete investito attendendoli. Ora, se vogliamo trovare un’altra similitudine, vorrei chiederle se si sente come Nicola Ciraulo, che all’inizio del film canta: “Ju si partu un tornu cchiù!”

Ciprì: «Mai detto e mai dirò addio a Palermo. Molti addii sono stati dati a Palermo, io invece, mi sto allontanando per ricordarmi la massa. E’ dentro di me, Palermo è la mia forma. Sì, sono Nicola Ciraulo che parla all’Italia.  Quella disperazione costruttiva, che però nel caso di Ciraulo termina con l’estinzione, ma nel mio caso è la coscienza del negativo, il sapere che questa città non si muoverà mai. Tutti convinti di essere signori di Palermo, magari senza averne la professionalità e l’attitudine ideale. Il cinema è una cosa di tutti, ma bisogna saperlo fare. Questi, sono i Palermitani, uomini come “Nicola” che si compra il Mercedes  per fare vedere che è ricco. Io sono come Nicola, ok, non sono un “cannavazzu”, ma sono un uomo che viene dal popolo. Un uomo che si è sbracciato per emergere. Mi auguro che tutti possano riflettere in merito, concentrandosi sul concetto di famiglia e dell’essere Siciliano».

TrinacriaNews ringrazia il Maestro Ciprì e la Dott. Rizzo per l’intervista concessa, inoltre si ringrazia la Dott. Bendoni.

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