Palermo – Abbiamo incontrato il Procuratore Generale Roberto Scarpinato in occasione della presentazione presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Palermo del libro La violenza sulle donne nel quadro della violazione dei diritti umani e della protezione del testimone vulnerabile di Mirella Agliastro, magistrato della Procura Generale presso la Corte di Appello di Palermo, già giudice a latere della Corte di Assise , giudice dell’udienza preliminare ed Ispettore Generale del Ministero. La dott.ssa Mirella Agliastro ha avuto modo di approfondire profili culturali e criminologici dei maltrattamenti in famiglia ed atti persecutori con riferimento all’abuser ed alla vittima, focalizzando strategie di intervento e strumenti legali nell’attuale scenario giurisprudenziale. Per lo studio svolto e l’esperienza acquisita, è stata chiamata come relatore in molteplici convegni ed incontri di studio nella materia della violenza in danno delle donne.
ECCO COSA ABBIAMO CHIESTO AL PROCURATORE GENERALE ROBERTO SCARPINATO
D. Dal suo intervento relativo alla presentazione del libro della Dr.ssa Mirella Agliastro relativo al fenomeno della “Violenza sulla donna” sono emerse delle criticità ataviche generate, verosimilmente, dalla Chiesa a carico della donna. Criticità emerse anche in seno alla magistratura in materia di risarcimento danno e la sua monetizzazione. Sembra un problema culturale dell’immaginario collettivo “maschilista”. Lei cosa propone perché si possa veramente invertire rotta a fronte di una “visione così subalterna della donna” e chi dovrebbe intervenire in primis?
R. La situazione è abbastanza problematica perché da un lato, abbiamo una cultura pluri-millenaria, risalente nel tempo che, in Italia ha sempre veicolato nelle masse una negativizzazione del femminile, che è riscattato soltanto dalla funzione di madre che sacrifica completamente la propria esistenza sull’altare dei figli. Per il resto, c’è un pensiero cattolico orientato alla svalorizzazione del femminile che arriva sino ai nostri giorni, come dimostra il fatto che, all’interno della Chiesa cattolica le donne sono escluse dai ruoli di governo della Chiesa; non possono essere vescovi, diaconi, non possono amministrare i sacramenti, a differenza di altre religioni. Questo substrato culturale ha lasciato una profonda traccia nella storia italiana e determinato anche, il ritardo col quale è stato concesso il diritto di voto alle donne in Italia (soltanto dopo la Liberazione). Ha fatto sì che il codice penale italiano fosse inzeppato, sino agli anni ’50 e ’60, di norme penali di carattere sessista come il “Delitto d’Onore” e tanti altri. Poi, l’avvento della cultura di massa e moderna sta, a poco a poco, erodendo questo substrato culturale che, tuttavia, è ancora largamente diffuso nelle fasce popolari. C’è un altro pericolo che affiora all’orizzonte; cioè, se questa era una forma occulta, ormai, culturalmente compresa della svalorizzazione del femminile, abbiamo una cultura post-moderna che svalorizza la donna in un altro modo, riducendola a pura “merce di scambio” e che, come la vecchia cultura imponeva alla donna di conformarsi al modello maschilista che la voleva esclusivamente come madre, come sorella obbediente, oggi, la nuova cultura post-moderna impone un altro modello: la donna deve essere sessualmente compiacente, la donna che deve essere una sirena incantatrice per la vendita delle merci, una donna che considera il proprio corpo come una risorsa da mettere sul mercato del libero scambio; una cultura che impone alle donne il modello negativo di una donna efficiente, di una donna che considera se stessa una specie di imprenditrice che deve essere performante e che comunque, nega alla donna la possibilità di essere se stessa.
Quindi, c’è un lavoro culturale molto complesso che passa, senza dubbio, attraverso un’ingegneria giuridica che ripristini, in ogni sede, i diritti delle donne – in sede legislativa per esempio – per quanto riguarda la tutela del lavoro, che è essenziale. Oggi c’è uno smantellamento progressivo della legislazione in materia del lavoro che mette a rischio i diritti conquistati dalle donne. Non è un caso che c’è una percentuale di disoccupazione femminile che è molto più elevata rispetto a quella maschile e che costituisce senza dubbio, un altro sintomo del fatto che non esiste parità. La recessione economica può pesare sulle donne molto di più, sia in termini di perdita di lavoro, sia in termini di retribuzione e sia in termini di arretramento dei diritti; perché in questi casi sono sempre i più deboli, i meno garantiti che pagano. Oggi, in Italia, ancora il femminile sconta questi limiti.
Per quanto riguarda la Magistratura, è chiaro che noi possiamo fare degli interventi chirurgici, mirati, attraverso gli strumenti che abbiamo ma, ci troviamo dinanzi ad un fenomeno di una dimensione storico-sociale talmente grande che non può esser governato con gli strumenti giuridici ma, che deve essere affrontato sul piano culturale e sul piano del ripristino pieno della garanzia dei valori della Costituzione che perora invece, sono sotto attacco.