Palermo – Presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia si è svolto il Convegno La crisi dello Stato e il sistema delle garanzie. L’evento promosso dalla Fondazione Centro Siciliano di Studi sulla Giustizia, è stato patrocinato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, da Unioncamere Sicilia e da Banca Nuova.
Elevato lo spessore dei relatori che hanno preso parte al Convegno, tra professori universitari dell’ area giurisdizionale (Antonio Scaglione, Salvatore Sammartino, Salvatore D’Aleo, Giuseppe Vecchio, Bartolomeo Romano, Angelo Mangione), della magistratura, (Giovanni Silvio Coco, Roberto Passalacqua, Santi Consolo, Tommaso Virga) che hanno dato il loro prezioso contributo unitamente all’A.G.C.M. (Autorità Garante della Concorrenza) nel suo presidente, il Prof. Giovanni Pitruzzella, di Unioncamere e Confindustria rappresentati da Alessandro Albanese, presidente Confindustria Palermo.
Il presidente onorario della Corte Suprema di Cassazione, Giovanni Silvio Coco, sostituendo S.E. Vincenzo Oliveri – Presidente della Corte di Appello di Palermo, impedito per motivi di salute, ha presieduto l’evento.
Tra gli interventi quello di Raimondo Cerami, presidente della Fondazione, il quale dopo i ringraziamenti ha evidenziato che:Siamo dinanzi a d una crisi economica radicale e globale che negli ultimi anni ha colpito il mondo occidentale e l’Italia in particolare che ha messo in moto una serie di meccanismi per fronteggiarla. Non si può negare che emerge la supremazia della Finanza, non della Guardia di Finanza, ma supremazia del capitale finanziario. Quello che più colpisce è che oggi non si sente tanto parlare di fattori di produzione, di imprese e di lavoro, ma siamo sempre più abituati a parlare di pareggio di bilancio, di rapporti deficit PIL, fiscal compact, spread, Agenzie di Rating. Abbiamo imparato, che uno dei canoni imposti dall’UE è il pareggio di bilancio, che abbiamo scoperto deriva, non tanto dalla necessità di pagare i debiti dello Stato, ma serve solo per pagare gli interessi del debito dello Stato.
Il Prof. D’Aleo – Ordinario di diritto penale dell’Università di Catania. – ha volutamente parafrasare una espressione di Mario Morcellini, Ordinario di sociologia della comunicazione, secondo cui “abusare del termine crisi è di per sé destrutturante. Tecnicamente possiamo parlare di destrutturazione di un modello culturale ed istituzionale dello Stato di diritto, studiato sui libri. La nostra è una società democratica, multiforme, pluralistica, multiculturale, multirazziale, in cui sono legittimamente rappresentati interessi diversi, che fa leggi di compromesso che durano pochissimo, che si fanno non per durare tutta la vita come i codici.
Alessandro Albanese, in rappresentanza di Confindustria e Unioncamere Sicilia, ha evidenziato, parlando di Crisi dello Stato che, in quanto rappresentante di una parte dello Stato, realizza lo scontro con la P.A. che blocca per due, tre anni chi vuole fare impresa, perché dall’altro lato non c’è la consapevolezza del valore che ha il tempo, maggiore all’investimento stesso, proprio per realizzare l’idea impresa. Albanese ha evidenziato come lo sforzo deve essere comune, per riuscire ad avere delle buone pratiche di burocratizzazione da quei pezzi dello Stato preposti al rilascio di Autorizzazioni che siano al tempo stesso celeri e veloci.
Secondo D’Aleo, la certezza del diritto che si è eretta nei secoli era la certezza di un diritto dei detentori dei poteri politico ed economico. La crisi della giustizia è una crisi di efficienza di questa giustizia; di quella costruita dai detentori dei poteri politico ed economico.
Continuando con gli interventi, il Prof. Giovanni Pitruzzella – ordinario di diritto costituzionale presso l’Università di Palermo, parlando di crisi, ha accennato a quella più recente, quella economica, iniziata nel 2007, da cui stiamo lentamente uscendo – che secondo il Prof. – non può essere semplicemente configurata come una parte negativa del ciclo economico, ma al contrario, secondo me e secondo altri – ha asserito Pitruzzella – come una crisi strutturale che esprime il venir meno dell’equilibrio tra democrazia, mercato e questione sociale. Perché il vero successo del costituzionalismo del secondo dopoguerra è stato quello di far quadrare il cerchio tra democrazia, mercato e questione sociale. In questo momento storico, il mercato sembra entrare in conflitto con la questione sociale. Anche le istituzioni politiche sono in crisi, ma non è un fenomeno solamente nazionale. Una delle componenti di questa crisi riguarda il rapporto tra democrazia e mercato con cui tutti ci confrontiamo in questo momento storico. Abbiamo situazioni in cui c’è un mercato in affanno e c’è una democrazia che dipende troppo dai mercati., dalle logiche dei mercati finanziari. Di fronte a questa crisi le vecchie ricette non sono applicabili. Un Paese come il nostro che ha bisogno di 400 milioni di euro di rinnovo del debito pubblico ogni anno, oltre alla fiducia, se non c’è la fiducia dei mercati finanziari, abbiamo la bancarotta e la bancarotta determina la crisi della democrazia perché oggi, noi ci troviamo a forme di crisi che non possono essere affrontate a livello nazionale, per le quali lo Stato è impotente ad affrontarle. Lo scenario è quello di un cambiamento importante. Cosa c’entra tutto questo con l’Antitrust? C’entra perché l’Antitrust regola la concorrenza e sanziona gli illeciti concorrenziali, gli abusi, i cartelli, che si sono sempre trovati come crocevia tra mercati, democrazia e questione sociale. Questo è stato così fin dalle origini.
Successivamente è intervenuto il Prof. Bartolomeo Romano, Ordinario di diritto penale presso l’Università di Palermo, componente del Consiglio Superiore di Magistratura. Egli ha messo in evidenza, parlando di crisi dello Stato, che con la nascita del Diritto dell’Unione Europea, se non si hanno norme penali dirette, in realtà si lavora sotto dettatura, nel senso che, il 70% della produzione normativa italiana è meramente il risultato di Direttive, Risoluzioni, che ci provengono dall’Unione Europea. La grafia è la nostra, ma in realtà, autonomia non ne abbiamo, tranne la tematica dei reati ambientali a cui abbiamo dedicato un lavoro frutto di studi universitari pluriennale.
TrinacriaNews.eu ha intervistato
Alessandro Albanese
D. Stante la dichiarazione di Sergio Squinzi, Presidente di Confindustria: “Strisciamo sul fondo, avanti con le riforme, perché c’è troppa austerità. L’obiettivo è quello di combattere la prepotenza della finanza per favorire il manifatturiero e l’industria”. E’ solo una enunciazione di principio o veramente si cerca di venire incontro all’industria ed al manifatturiero?
R. No, Squinzi ha materialmente rappresentato quello che la Confindustria, da due anni cerca di mettere in atto. Vale a dire, non ci può essere aumento di valore in una società civile se non c’è materialmente l’industria d trasformazione. Cioè, l’unico vero generatore, moltiplicatore di ricchezza è l’industria di trasformazione. E noi lo stiamo attuando in Confindustria, rimettendo al centro della Confederazione la produzione, senza dimenticare che siamo nel 2000 avanzato e che, ci sono una serie di attività che reggono l’economia della nazione e soprattutto che ci sono oramai delle attività fondanti: le comunicazioni, i servizi alle imprese, i call center. Questi non sono produzione, ma sono un pilastro importante, che tuttavia non creano un grande valore aggiunto, come i call center, pensiamo alla facilità nell’impiantare o nell’esportare questo tipo di attività. Cioè io posso attivare un call center in Brasile e rispondere alla telefonata di un cliente italiano. Puntare sulla produzione è diverso, perché c’è il Made in Italy, c’è l’intelligenza, l’abilità, il gusto, la storia e la creatività. Allora noi stiamo ripuntando sulla produzione, Squinzi sta creando una squadra, lo chiede da due anni
D. Squinzi, quanto ascolto sta realizzando, visto che già sono passati due anni?
R. Intanto, noi abbiamo riformato la Confindutria, nel senso della produzione. Non dimentichiamo che Confindustria è l’Associazione più rappresentativa del territorio italiano e soprattutto più prestigiosa. Non ascoltare, far finta di non volere ascoltare, significa non ascoltare il cuore pulsante dell’economia italiana, sarebbe una follia. Sono le imprese che con la loro fiscalità tengono in piedi l’economia italiana. La fiscalità in Italia la creano le imprese, i privati, non la crea il pubblico. Il pubblico fa poi partita di giro. Ha detto bene Squinzi, parlando di raschiare il fondo del barile lo dice riferendosi ad alcuni indicatori, soprattutto, assistere alla degenerazione al sistema della finanza è un richiamo per tutti. Stiamo attenti, sia alla finanza, sia ai suoi indicatori, perché quando prendiamo a modello lo spread che è soltanto un rapporto tra il tasso italiano e quello tedesco, non dimentichiamo che quello della Grecia si è abbassato molto di più e ci sta addirittura raggiungendo: Ma con chi ci rapportiamo con i tedeschi o con i Greci che sono con un’economia ormai in disfatta. Su tutto questo c’è un principio di relatività che andrebbe tenuto nel conto.
D. Riferendoci al titolo del Convegno e discutendo sul sistema di garanzie, vogliamo estenderlo alla classe dei disoccupati il cui tasso di disoccupazione ha raggiunto quello del 1977? Perché allora, si fece un provvedimento straordinario, con legge 285/78 che diede lavoro a 800 mila lavoratori ed oggi, è come se questa capacità non ci fosse più, perché si adottano dei provvedimenti che sembrano echeggiare tanto la campagna elettorale ma, che di fatto non hanno una ricaduta a medio termine, non acquietando la psicosi della disoccupazione dilagante? Persino Monti, due anni fa disse, che a partire dal 2014 si sarebbe avuto la ricrescita del Paese
R. Monti voleva fare la sua campagna elettorale e grazie a Dio gli è finita come gli è finita. Però c’è da dire una cosa importante: la crisi che stiamo vivendo è una crisi di sistema perciò una crisi di sistema, finanziaria, produttiva, non solo economica, culturale che sta rivedendo i consumi di tutti. Oggi le persone a casa stanno attente a quanto pane comprano. Prima ne compravamo di più e lo buttavamo.
D. L’iniziativa di Mario Draghi che punta ad abbassare il tasso di interesse a meno 0,15% sul credito alle famiglie e imprese, che ne pensa?
R. Draghi non può fare altro. Per la prima volta abbiamo in Europa un tasso negativo . E’ quello che succedeva in Svizzera tanto tempo fa, con la differenza che noi però noi non abbiamo soldi da portare in Svizzera come si faceva tanto tempo fa. Invece, manovre che si sono fatte,come quelle degli 80 Euro sono state delle “manovre assolutamente geniali dal punto di vista elettorale”, perché hanno fatto stravincere Renzi, e una manovra infelice per un altro problema completamente diverso: sarebbe bastato fare la stessa cosa con l’IRES, cioè rilanciare le imprese in modo che queste riassumessero e creare lavoro vero. Invece si è dato un piccolo contributo ad una fascia di persone che, già comunque, poteva sostentarsi tranquillamente, senza pensare a quei milioni di disoccupati, di indigenti, di pensionati sotto la soglia del reddito minimo per la sopravvivenza, ma soprattutto per tutti quelli che il lavoro non ce l’hanno. Perché non si è fatto una manovra strutturale con gli stessi soldi, per aiutare le imprese a rimettersi in moto? Perché è stata una manovra elettorale.
D. Si attuano tavoli di concertazione e Forum interpartenariali. Accade tuttavia che, nonostante questi forum è come se ci fossero delle presenze di facciata, e il gioco fosse già fatto a priori, dall’alto. Questo fenomeno si può combatterlo per dare respiro e democrazia?
R. Il problema è: o si ricrede alla contrattazione negoziata, cioé si ricrede al fatto che tutti danno un contributo, poi se ne fa la sintesi e l’accordo che un soggetto prende la decisione, investito dal popolo con le elezioni. Però è giusto prima sentire tutte le parti. Quello che sta venendo è proprio questo, ma già avviene da tanti anni: “i Tavoli non sono altro che una sorta di teatro dove alcuni burattini si barcamenano l’uno con l’altro.
D. Per rompere questo sistema?
R. Bisogna tornare ala sovranità della politica. “Non dobbiamo delegittimare la politica, dobbiamo stare più attenti quando votiamo”.
Giovanni Silvio Coco
D. Un titolo di Convegno “La crisi dello Stato e il sistema delle garanzie”, in cui, è come se ci fossero delle conflittualità dei poteri, in barba alla suddivisione classica del potere legislativo, esecutivo, giudiziario. Però in questa sede tuttavia, è come se fosse stato fatto emergere, uno strapotere giudiziario, dall’altro lato invece, assistiamo ad una magistratura che viene attaccata, minacciata, con ordini di attentati. Come conciliare la verità e le misure da adottare?
R. Anzitutto debbo porre in risalto che sono professionalmente un magistrato e sto dalla parte dei magistrati. Però questo abuso di potere da parte dei magistrati sono convinto, è una convinzione più intuitiva che meditata e fondata su dati precisi. Io sono inoltre convinto che, molte volte, gli attacchi alla magistratura si fanno non quando la magistratura sbaglia, ma quando la magistratura centra giusto, specialmente la magistratura penale. C’è stata questa strage, degli “eroi”, secondo qualcuno. Si sono colpiti i magistrati che si sono occupati della lotta contro la mafia. Io ricordo una volta che, un giornale fece tutta una serie di interviste, fece un sorta di baccano sull’eccesso di scorta che aveva il giudice Falcone e che avevano altri magistrati. Oggi, tutte le battaglie, che si fanno contro la magistratura, contro le sue funzioni è proprio determinata da questo: “quando la magistratura ha colpito in alto, ha colpito giusto”.
D. Ma circa le minacce di attentati al Palazzo di Giustizia, ritenute attendibili d parte degli inquirenti, per degli spazi più vulnerabili, più suscettibili di applicazione di marchingegni che possano attentare alla sicurezza e l’incolumità, cosa può dire?
R. Ma su questo non ho dati precisi, per rispondere. Io ritengo che la tutela nei confronti dei magistrati, sia tutto sommato, efficiente. Quante se ne sono dette cose sulle scorte, sui vicini che non possono sopportare le scorte. Io sarò ripetitivo e noioso, però ribadisco che quando un magistrato non fa quello che dovrebbe fare, nessuno lo attacca. Ma quando il magistrato vuole colpire in alto, allora si fanno indagini pure sul colore dei calzini.
D. Lei sente lo Stato vicino ai magistrati, o c’è una parte di Stato parallelo allo Stato, di un sottobosco che invece non vuole garantire lo Stato? Le riforme sulla responsabilità civile o disciplinare dei magistrati possono condizionare l’indipendenza della magistratura nei confronti degli altri poteri dello Stato?
R. I poteri dello Stato sono tutti istituzionalmente poteri legali: il Parlamento, il Governo, la Magistratura. La magistratura deve applicare le leggi votate dal Parlamento, con il limite di legittimità costituzionale di queste leggi, garantito dalla Corte costituzionale. Possiamo anche ipotizzare che ci sia una tendenza dell’esecutivo ad un maggiore controllo sulla magistratura. Oggi i pericoli all’interno della Magistratura, più che da questi poteri legittimi dello Stato, vengono dai poteri forti del denaro, dai poteri forti della corruzione,dai poteri forti della illegalità, di tutti quei poteri forti che abusano della soppressione del reato di falso in bilancio, che non considerano la trasparenza del bilancio come invece è e dovrebbe essere il fondamento dell’economia di mercato. Sono questi poteri che vorrebbero una magistratura meno garantita per poterla maggiormente attaccare in difesa dei loro interessi e comportamenti illegali. Io non dico che i magistrati devono comandare su tutto, debbono decidere su tutto. Si sono verificati negli ultimi anni una serie di attacchi da parte di una certa stampa contro la magistratura, rappresentata come il cancro della Nazione Italiana perché ha questo brutto difetto di condannare i potenti.