“Questo mio comunicare facile, questa mia gioia di vivere, questo mio essere orgogliosa di esserci nella vita. Ma un angolo del mio cuore era sempre triste ed era questo angolo del mio cuore che riusciva a guardare e sentire il cuore dell’altro.”
A scrivere è Francesca Ferragine, autrice di “Terra calda” (ed. De Luca Edizioni D’Arte) un diario di racconti, di vite vissute. Il 27 maggio presso la Libreria Paoline di Via Emanuele Notarbartolo, a Palermo si è svolta la presentazione. Ad intervenire Teresa Di Fresco, giornalista e Fernanda Di Monte, responsabile eventi Librerie Paoline e giornalista. Ad allietare l’incontro le letture di Patrizia Genova.
L’incontro viene amabilmente condotto dalle due giornaliste, che alternandosi alle letture diventa un incontro tra amici, un momento di ristoro dove l’accoglienza caratterizzata proprio dallo stile Paoline, riesce a far diventare una presentazione in un pomeriggio purtroppo piovoso, un incontro semplice fra amici; Fernanda sottolinea quanto l’incontro con gli altri ci riveli noi stessi, lei l’autrice, Francesca, psichiatra, psicoterapeuta, medico e docente per la formazione della Croce Rossa Italiana e grande appassionata di scrittura, riesce a scoprire che oltre una testa c’è un’anima che ha bisogno di dimensioni di affetto, di amicizia, che ci aiutino a scoprire l’amore; un libro dunque scritto con passione e con una capacità di esprimere sentimenti e attese in modo naturale.
Teresa Di Fresco invece sottolinea l’armonia del testo e sottolinea la bravura di Francesca nel cimentarsi sia da un punto di vista maschile, sia da un punto di vista femminile. Il testo così suddiviso in cui presente e passato si mescolano fra le pagine in cui la descrizione dei luoghi, delle persone, il racconto minuzioso, diventano insieme ai sentimenti raccontati uno splendido ritratto, un quadro.
A Francesca la vita ha regalato tanto e il suo bisogno di condividere questo tanto con gli altri è prepotente, l’autobiografia nel testo infatti regala quel suo lato gioviale, quella vita vissuta in un piccolo centro, in una strada soprattutto, Via Santa Sofia in cui le persone diventano parte integrante della vita di Francesca, di quella dolce bambina amata da tutti. Una donna, come si definisce lei stessa fortunata, che mai si risparmia, che in sé ha il calore della sua terra ma anche il suo dolore: lei è il frutto di tutto questo. Francesca si mette a nudo fra quelle pagine, senza timore di essere giudicata… anzi viene fuori il suo carattere risoluto già da piccola, che va sempre avanti tenendo dentro di sé qualunque sofferenza; i suoi amici vengono quasi scannerizzati nella loro fisicità e nella loro personalità. L’umanità nel racconto diventa importante, quei ricordi così lucidi, nitidi che invece Francesca riesce a rappresentare in quelle pagine con un linguaggio descrittivo, immediato ma soprattutto attento. Francesca tiene a sottolineare che il libro è stato scritto di getto senza costruzioni, e anche la scelta di intitolare i primi capitoli con un numero romano e il resto invece intitolati col nome dei personaggi che via via venivano raccontati non è una scelta bensì il frutto di una scrittura che viene direttamente dal suo cuore, senza alcun ragionamento. Francesca viene raccontata anche da un amico nella platea che assiste alla presentazione: “lo spessore della sua umanità straordinaria che le appartiene e che regala agli altri non è frutto delle sue conoscenze mediche bensì da ciò che ha dentro.”
Incontrare Francesca Ferragine è sicuramente qualcosa che ti lascia dentro un’emozione: lei pacata, tranquilla, ti mette a tuo agio… nell’intervistarla, e lo dico con molta sincerità, sembrava di parlare con una vecchia amica: il suo testo è particolare e dunque le chiedo della scelta stilistica, ovvero questo suo modo di raccontare in cui sembra che passato e presente si confondano, in cui il testo sembra dividersi, prima un presente, poi la lettura di un passato e poi di nuovo un presente nuovo ma valorizzato dalla scoperta di quel passato. Non è facile scrivere in questo modo e mantenere la scorrevolezza di cui il testo gode; l’autrice così risponde: “Ho scritto questo libro in venti serate di getto, tutto ebbe inizio una sera di luglio in cui non riuscendo a dormire, una sera d’estate decisi di mettermi alla scrivania… nessuna scelta stilistica, ma la forza di un impeto nient’altro.”
La passione dei due amanti all’inizio è audace, tenera allo stesso tempo e in un passaggio il protagonista sostiene che la debolezza di lei sia diventata la sua forza… Francesca sostiene infatti che il personaggio maschile abbia attinto la sua forza da lei, dalla libertà di questa donna, la libertà interiore del mondo femminile… il passaggio dal presente al passato diventa il ponte di collegamento fra i due amanti.
Il titolo nasce alla fine del romanzo, “Terra calda” è madre, non tanto come la terra delle origini della protagonista, bensì la terra come madre che accoglie, che prende e che dà tanta forza all’autrice, alla scrittrice, ma soprattutto al personaggio.
Il messaggio che Francesca vuole trasmettere è che l’amore di un uomo e di una donna può essere vero, si può vivere una vita insieme e la forza che ognuno di noi può avere va trasmessa e regalata agli altri, perché non si deve essere triste. La genuinità del personaggio rivela anche la forza dell’amicizia, che regala armonia, colti non colti, ricchi, poveri tutti insieme. Dunque attraverso un viaggio fra tante vite si tende ad intraprendere un viaggio in noi stessi, in una vita spesso provata e messa a dura prova dalla ragione, dove l’amore resta fuori.