Periodico registrato presso il Tribunale di Palermo al n.6 del 04 aprile 2012

Anno XI - Num. 54 - 30 dicembre 2023

Anno I - Num. 02 - 18 giugno 2012 Sport

Il Palermo tra cronaca e fantasia

di Benvenuto Caminiti
         
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Lo stadio Renzo Barbera
Lo stadio Renzo Barbera

Ero un “picciriddu” col moccio al naso e le ciabatte sfondate quando per la prima volta vidi con i miei occhi lo stadio della Favorita: me lo sognavo pure la notte ormai da qualche anno, non potevo farne a meno, perché uno dei miei fratelli, Vladimiro, una decina d’anni più grande di me, scriveva, da qualche tempo, per la pagina sportiva di Sicilia del popolo, edizione isolana de Il Popolo, quotidiano della democrazia cristiana. Lui era ai primi ardimentosi passi di quella che sarebbe diventata una splendida carriera giornalistica, io andavo ancora alle elementari ma ero già innamorato marcio del mio grande fratellone, che scriveva sempre e dappertutto, lasciando in giro per casa i suoi “magici” quadernetti dalla copertina nera zigrinata, che io rubacchiavo di nascosto per divorarmeli famelicamente riga per riga. Tutto quello che scriveva su quelle paginette “a quadretti” mi suggestionava al punto che poi non ci dormivo la notte, sognando e risognando le “gesta” dei giocatori rosanero del Palermo di quei primi anni cinquanta: Vicpalek, Broneé, Masci, Boniforti, Buzzegoli, Conti, Milani, Piccinini, Marzano, De Sanctis: come li raccontava lui, a me sembrarono subito dei giganti, degli eroi invincibili e, nella mia testolina tutta immaginazione, subito mi dissi: Anch’io voglio fare il giornalista! E non diedi scampo a mio fratello: Portami con te, voglio venire allo stadio!. Ma lui, pur volendomi un bene dell’anima e, pur non dicendomi mai di “no”, allo stadio non mi ci portava mai. Ogni domenica, una scusa diversa. Finché, aguzzai l’ingegno e … lo seguii: allora si andava a piedi dovunque, al massimo, col filobus, che era un autobus ad energia elettrica. Ogni tanto le aste si staccavano ed allora bisognava riattaccarle. Un sali e scendi continuo per il quale tu sapevi quando partivi, ma mai quando arrivavi.

Ma dicevo: seguii mio fratello, che da via dei Cantieri, dove abitavamo, prese d’infilata (lui era giovane e forte, mica un pischello come me) la lunga e tortuosa via Sampolo, poi attraversò piazza Don Bosco, quindi proseguì per viale del Fante e quella sua marcia forzata  – lo ricordo bene tuttora, a quasi sessant’anni di distanza – mi sembrò interminabile. E non solo per l’ansia di arrivare allo stadio, che mi divorava, ma proprio perché non ce la facevo più a seguire il suo ritmo forsennato con le mie gambette gracili e il cuore che mi batteva sempre più forte, come volesse scoppiarmi in mezzo al petto. Ma – come si dice – se per arrivare in alto hai sputato sangue, una volta raggiunto, il traguardo ti apparirà più bello. Più bello persino di come te l’eri sognato e, si sa, i sogni la realtà non li batte mai. Quella volta, invece, accadde: arrivato davanti allo stadio non bastarono occhi per guardarlo, restai non so quanti minuti come ipnotizzato, lì fermo, impalato, con la gente che mi sbatteva addosso, tutti presi da una strana frenesia, un frastuono d’intorno da rintronarmi le orecchie e… intanto mio fratello non c’era più, anch’egli sparito tra la folla, un autentico vortice umano, che le diverse porte dello stadio sembravano risucchiare con una velocità sovrumana: Dove vanno così di fretta?. E subito tentai di entrare anch’io, ma venni respinto brutalmente da un tipaccio con un occhio solo (come si fa a dimenticare una prima volta della vita se ti capita uno così?), che mi urlò qualcosa che io non riuscii a capire, perché, nel frattempo, ero rotolato per terra. Mi rialzai e tremavo come una foglia: Ma come – mi dicevo – sono finalmente arrivato fin qui per niente? e stavo per scoppiare in lacrime quando un signore dall’aria raffinata, mi chiese. Sei da solo? E, alla mia risposta affermativa, aggiunse. Sei troppo piccolo… ti conviene aspettare perché tra poco faranno entrare anche quelli senza biglietto!

Aspettai e mi sembrò un’attesa senza fine, ma ebbi il tempo di guardare meglio la meravigliosa facciata stile “Liberty” dello stadio, quel suo rosa pallido che io collegai subito con il colore delle maglie del Palermo. Ogni volta che la riguardo, quella facciata, mi chiedo perché la trovai così bella, quella prima volta: forse perché ero un ragazzino e a quell’età le cose si vedono più con la fantasia o perché nel frattempo tutto cambia, dentro e fuori di te.

A mezzora circa dalla fine della partita, quelle porte magiche, che ad un certo punto si erano chiuse, si riaprirono e io seguii la fiumana di persone, rimaste come me ad aspettare, che si riversarono come saette dentro lo stadio. E lo feci anch’io e stavolta non mi tremarono le gambe;  mi ritrovai in un imbuto e poi davanti a degli scaloni enormi, ma non mi persi d’animo: li saltai come uno stambecco l’uno dopo l’altro e, nel frattempo, l’urlo immane dello stadio mi trapanava le orecchie, finché… Finché non mi si parò davanti agli occhi, col suo baluginare di colori e l’infuriare delle voci, dei canti e dei cori, lo sventolare delle bandiere, lo stadio… Lo stadio “dal di dentro”, il prato verde e quelle maglie rosanero, che mi avrebbero “segnato” per sempre. Eccoli lì, finalmente, gli “eroi” descritti con la sua prosa immaginifica da mio fratello; erano laggiù, lontani decine di metri, sembravano soldatini di piombo, eppure mi sembrava poterli toccar con mano. E me ne innamorai perdutamente ed è una passione che, lungi dallo scemare col tempo, cresce con gli anni e chissà se mai finirà.

IL PALERMO.

Ovvero, la mia squadra del cuore, ma non basta per dire quel che rappresentano per me quelle maglie rosanero, due colori unici nel panorama calcistico mondiale, nel senso che di bianconeri, rossoneri, nerazzurri, giallorossi, biancazzurri eccetera ce ne sono a bizzeffe, mentre di squadre con la maglia rosanero c’è solo il Palermo. E già questo sembra un segno del destino! Ma non voglio esagerare. Dico solo che per amore del Palermo ho sopportato di tutto, retrocessioni, penalizzazioni, radiazioni; insomma, umiliazioni d’ogni tipo, la peggiore delle quali quando vivevo al nord e mi ridevano in faccia perché tifavo Palermo e il Palermo : Miii… il Palermo, ma che squadra è? Dove gioca?, mi chiese una volta un collega di studio (allora, giovane laureato, muovevo i primi passi da avvocato). Io gli risposi: In serie B, ma abbi pazienza, un giorno ci arriveremo anche noi in A … e vedrai!

Ci arrivammo dopo 32 anni e di quel collega strafottente, e della sua fede juventina, mi ricordai all’indomani del 3-2 rosanero, con gol finale di Cassani, a due minuti dalla fine. Lo chiamai al telefono, non potei ridergli in faccia, ma per lui fu pure peggio …

E per avermi ridato soddisfazioni indescrivibili come questa non finirò mai di ringraziare,  Zamparini, l’uomo venuto dal nord dieci anni fa giusto per riportarci in serie A.

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