Periodico registrato presso il Tribunale di Palermo al n.6 del 04 aprile 2012

Anno XI - Num. 52 - 24 aprile 2023

Anno III - Num. 15 - 24 gennaio 2015 Politica e società

Il “No” delle associazioni ambientaliste alle trivellazioni nel canale di Sicilia

di Andrea Ferruggia
         

no trivelle URL IMMAGINE SOCIALPalermo – In molti certamente ricorderanno il gigantesco disastro ambientale avvenuto nel 2010 sulle coste del Golfo del Messico e causato dal massiccio sversamento di petrolio nelle acque che, rapidamente, seguendo le correnti marittime dalla piattaforma Deepwater Horizon della compagnia British Petroleum si è abbattuto sulle spiagge messicane. Tutti noi abbiamo nitide le immagini e i video che ritraggono centinaia di cetacei spiaggiati, migliaia di pesci morti e galleggianti su un’estesa chiazza nera o ancora pellicani intrappolati sulle rocce a causa della melma vischiosa e tossica, insomma uno scenario apocalittico che ha provocato ingenti e duraturi danni all’industria locale della pesca, al settore turistico oltre ad aver fatto salire alle stelle il prezzo del petrolio stesso.

In Italia, finora, non si è verificato un evento di tale proporzione ma è di pochi giorni la preoccupante notizia, sostenuta dal governo Renzi, di consentire dal 2015 un’intensa attività di trivellazione sui fondali marini del Canale di Sicilia interessando circa 12.908 chilometri quadrati, estesi lungo un ampio tratto di costa che da Mazara giunge a Pozzallo, spazi che saranno coperti da 5 note compagnie petrolifere (tra cui ENI ed Edison) mentre altri 15 permessi di concessione sono al vaglio da parte del governo.

Tutto ciò, nonostante, già oggi a largo della Sicilia vengano estratte circa 301.471 tonnellate, il 41% del totale nazionale del petrolio estratto in mare.

Una scelta di politica energetica portata avanti con incredibili giustificazioni anche dall’attuale premier nazionale e che non trova scusanti valide neanche dal punto di vista strategico energetico, viste le ridicole quantità di petrolio in gioco. Inoltre gran parte delle richieste oggi in fase di valutazione provengono da compagnie straniere, la cui attività non porterà benefici all’economia nazionale, esportando tutti i barili di greggio e relativi ricavi oltre confine.

Ma il governo Crocetta sta facendo qualcosa per arrestare questa folle corsa all’oro nero? La risposta è No.

A tal proposito, infatti, giorno 20 marzo è stato organizzato  dai GRE – Gruppi Ricerca Ecologica a Palermo un interessante convegno presso la sede dell’associazione cultuale Doppio Binario (via Maltese n. 87) dal titolo “Trivelle nel Canale di Sicilia: le ragioni del No al quale hanno preso parte attiva i maggiori gruppi ambientalisti e culturali (WWF, Verdi, C.A.I., Italia Nostra, Legambiente, Sicilia Antica) oltre a funzionari regionali del dipartimento Agricoltura e Foresta e politici siciliani impegnati in prima linea sui temi della difesa del territorio e della natura.

Tra i primi a tuonare contro la politica locale e nazionale che pressa insistentemente per dare inizio al lucroso e “selvaggio” processo di estrazione del greggio, è stato il deputato regionale Pd, on. Fabrizio Ferrandelli segretario della IV Commissione Territorio e Ambiente presso l’ARS, nonché presidente di Doppio Binario, che ha affermato: Se tutte le attività di perforazione si dovessero concretizzare, l’isola sarebbe ricoperta e circondata da pozzi petroliferi e trivelle. Uno scenario che comprometterebbe l’enorme patrimonio ambientale, naturalistico, archeologico, architettonico, paesaggistico che la Sicilia possiede e che, già compromesso da anni di incuria, inquinamento e speculazione edilizia, verrebbe ulteriormente e particolarmente minacciato.

concessioni-e-richieste-compagnie-petrolifere-attiveAltro importante intervento è stato fatto dal presidente della IV Commissione, on. Giampiero Trizzino che ha detto: L’obiettivo che ci poniamo è quello di creare una ‘zona di protezione ecologica’ sul modello della convenzione di Montego Bayche tuteli il nostro mare oltre la fascia delle 12 miglia marine. Le note vicende del disastro della piattaforma americana Deepwater Horizon hanno ulteriormente fugato ogni dubbio sulla pericolosità degli impianti petroliferi, non solo verso l’ambiente marino ma anche nei confronti dell’economia della regione che, in caso di incidenti, verrebbe irrimediabilmente compromessa. La nostra economia non è il più petrolio come finora si è pensato. È la pesca, il turismo,la cultura e la storia di un popolo che nel mare ha trovato le sue origini.

Spiegazioni di carattere tecnico, sono invece state date dal arch. Mimmo Fontana rappresentante di Legambiente Sicilia dicendo che le trivellazioni e i saggi scientifici sul fondale che dovranno essere fatti di fronte le coste di Sciacca, all’altezza della piccola faglia Ferdinandea, andrebbero fortemente ad intaccare una zona ricca di biodiversità marina. Attualmente siamo riusciti a contare lì circa 19 specie protette dalle convenzioni internazionali oltre ad una decina di habitat. Il Canale di Sicilia è il luogo da cui si estende e mantiene la catena nutritiva e biologica di gran parte del Mediterraneo e se venisse rotta tutto il sistema ecologico collasserebbe.

Quindi è stata la volta del prof. Carmelo Sardegna del gruppo Verdi che ha cercato di spiegare come trivellare ed investire sul petrolio è quasi come seguire una moda antiquata bisogna piuttosto concentrarsi seriamente su politiche energetiche che sfruttino forze pulite e naturali come il vento, l’acqua o il sole, e la Sicilia ne ha in abbondanza. Queste forme di energia rinnovabili sono state  capaci di fruttare allo stato italiano ogni anno 6 miliardi di euro e 64 mila posti di lavoro. Noi, qui, nell’arco di 5 o 10 anni potremmo triplicare questi numeri se solo fossimo capaci di mettere in atto un piano politico serio.

A seguire è intervenuta la portavoce regionale dei Verdi Beatrice Feo Filangeri, dicendo Io sono qui stasera in rappresentanza di tutti quei siciliani che queste trivelle non le vogliono. Ho ricevuto in queste settimane migliaia di messaggi da parte di tutta la Sicilia allertata dallo spettro di questa barbara opera di sistematica distruzione dell’ecosistema marino. Mi chiedo: come mai il nostro governatore Crocetta non ascolta il suo popolo? aggiungendo inoltre che in Italia, questi tipi di operazioni sono agevolate dal fatto che “Chi inquina non paga!” lo abbiamo visto con il problema ILVA di Taranto o con la TAV, tutti i reati ambientali dal 2004 al 2013 o sono caduti in prescrizione oppure non sono stati mai risarciti. Oggi, nel nostro paese, ci sono 7 mila chilometri quadrati da bonificare, 15.000 siti contaminati mai ripuliti e circa 10 mila morti per motivi di inquinamento.

Infine è stata la volta della Dott.ssa Valeria Restuccia del Dipartimento regionale Azienda Foreste Demaniali che ha parlato di risorse ambientali e nello specifico del caso di eccellenza della riserva protetta dello Zingaro nata in maniera casuale, per via di un impedimento burocratico nella costruzione di una strada litoranea sopraelevata che congiungesse Castellammare a S. Vito Lo Capo, riserva che sin dalla sua istituzione è stata fortemente osteggiata dai comuni limitrofi perché vista come un ostacolo al decollo e allo sviluppo del boom edilizio e alberghiero delle proprie coste. E oggi quali sono i risultati dopo tante critiche? Lo Zingaro è una delle riserve più visitate in Sicilia e non solo che ha prodotto e continua a produrre, un rapido e sempre crescente trend economico della zona

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